Crisi dei partiti e riforma elettorale
di OSSERVATORIO GLOBALIZZAZIONE (Verdiana Garau)
Esiste un legame tra riforme del sistema elettorale e cambiamenti nella forma mentis della politica italiana dall’inizio della Seconda Repubblica a oggi? Su questo indaga Verdiana Garau nel suo secondo lavoro sulla destrutturazione della politica.
Con la riforma elettorale del 1993 a vocazione maggioritaria, che prevedeva per la prima volta un sistema misto, (riforma denominata Minotauro per la sua mista composizione e ribattezzata Mattarellum dal nome del suo relatore, il futuro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella), si agevolava l’alternanza di governo fra due partiti, o coalizioni, sul modello delle altre maggiori democrazie occidentali, continuando a favorire il bipolarismo.
Questo fu il passaggio con cui entrammo nell’era della Seconda Repubblica e che sancì la fine della prima.
Fino ad oggi, da allora, fu proposto il Porcellum del 2005, giudicato incostituzionale nel 2013 e l’Italicum del 2015 e per le sole Camere, ma mai entrato in vigore.
Attualmente votiamo con il Rosatellum Bis, in vigore dal 2017, un sistema elettorale sempre misto, a separazione completa, in cui l’elettore non dispone del voto di preferenza, né del voto disgiunto.
Il “colpo di fucile” di Pannella
Era il 1991 quando, al tramonto della Prima Repubblica, Pannella per primo cominciò ad invocare la necessità di una riforma elettorale di sistema, con l’adozione dell’uninominale secca di maggioranza assoluta sul modello anglosassone, in nome dei fondamentali della cultura popolare.
L’uninominale secca, prevede che chi prende più voti vinca, chi ne prende meno vada a casa.
Come in America si sceglie con l’elezione diretta lo sceriffo, il deputato, il magistrato – diceva – per distruggere la partitocrazia e la logica della spartizione, per scongiurare la lottizzazione della politica, per spezzare il bipolarismo in favore di un bi o tri-partitismo.
L’Europeo lo definì “secca, come un colpo di fucile”. Niente ballottaggi alla francese, niente secondi turni o ripescaggi. Niente formule miste maggioritario-proporzionale.“Una botta sola, vincere o morire”.
Per Pannella le uniche democrazie occidentali che non avevano fino ad allora prodotto “mostri” erano quelle anglosassoni, dove vige infatti l’uninominale secca, senza sistemi a doppio turno. Le democrazie occidentali, siano esse parlamentari o presidenziali, come la Gran Bretagna nel primo caso o gli Stati Uniti nel secondo, non ammettono recuperi e quindi si mantengono votate all’antibipolarismo.
Pannella sosteneva che il polarismo è un “monopartitismo imperfetto”, voluto e volto a respingere la totale rottura con il fascismo, che si verificò, secondo lui, soltanto a parole.
Sosteneva che la logica dell’appartenenza e del corporativismo non dovrebbe dominare nella democrazia, se questa si reputa tale, e diventa “una deriva del regime, perfetto e compiuto”.
A quel tempo, siamo nei primi anni ’90, la gente era abituata a votare col sistema proporzionale e la democrazia dei partiti stava dimostrando in quel momento la sua incapacità di autoriforma.
Su iniziativa referendaria nel 1993 si ottenne il Mattarellum con il quale, per la prima volta in Italia, siintrodusse un sistema misto maggioritario-proporzionale.
L’ondata di cambiamento degli Anni Novanta
Erano gli anni in cui la politica italiana entrò definitivamente in crisi, era necessario un ricambio generazionale della classe dirigente, la sinistra cercava una ragione democratica che li unisse, si cercava una intesa tra le diverse forze che costituivano tutto il vasto mondo tra verdi, cattolici, laici, socialdemocratici, liberisti, comunisti, socialisti e d’azione.
La sinistra non era mai stata monolitica come lo fu invece la DC, ma di fronte a questa necessità di ritrovare una strada, dopo i fatti sovietici del 1989, c’era chi preferiva il partito monolitico pattista, chi invece tentava di suggerire a sinistra almeno due schieramenti, uno progressista e l’altro conservatore, che avrebbero poi trovato – si diceva – in un consociativismo, una unificazione politica e rappresentante.
Non vi era ancora un programma unico e tanto si discuteva.
Ma il problema principale era che la DC aveva perso la sua ragione di esistere con la fine della guerra fredda, il sogno andreottiano di egemonia DC era giunto al termine e a sinistra, dove intanto si era dato vita al PDS (Partito Democratico di Sinistra) e al PRC (Partito di Rifondazione Comunista), nati rispettivamente dopo lo scioglimento del PCI tra il 1989 e il 1991 con da una parte l’iniziativa di Achille Occhetto e dall’altro il partito a guida Cossutta, si cercava una soluzione centrista.
Craxi fu definitivamente messo fuori gioco l’anno successivo con l’inchiesta di Mani Pulite e il PSI definitivamente liquidato.
Decadeva ogni riferimento morale ed etico in politica, nessun partito definito, nessuna guida solida, grande necessità di riforme, e si pensava che quella elettorale potesse essere un punto di partenza, per consentire un processo di aggregazione fra partiti e dare una guida al governo.
Pannella era contrario alle logiche centriste e alle coalizioni, la chiamava “la maledizione pseudo-pluralista” dell’Italia. “No accordi, no coalizioni, no illusioni”, gridava. Era il 15 settembre 1991, Bologna, festa dell’Unità.
L’anno successivo, 1992, furono le ultime elezioni per la Prima Repubblica e le ultime elezioni alle quali si presentava la DC. Il governo cadde subito dopo due anni e nel 1994 si andò al voto con il Mattarellum, anno in cui Berlusconi divenne presidente del Consiglio per la prima volta.
Le radici del proporzionale
Si deve ricordare che la scelta del proporzionale nacque nel 1947, subito dopo la seconda guerra mondiale con la proclamazione della Repubblica, dall’esigenza dei grandi partiti dell’epoca di garantirsi reciprocamente e per assicurarsi un ruolo nella nuova nascente repubblica parlamentare democratica post-fascista.
L’intesa su uno stato, che in virtù dell’Art. 3 della Costituzione rimuovesse le diseguaglianze sociali, non comportò grandi scontri, così come abbastanza lineare fu determinare il ruolo costituzionale dei partiti, ma fu impossibile il rinnovamento del sistema parlamentare ereditato dal pre-fascismo.
Sia la DC che il PC, avevano paura di essere messi fuori legge in extremis, così fu preferibile non porsi mai il problema di avere un governo forte e si optò per il proporzionale, che ha accompagnato gli italiani fino al 1993.
L’importante era che tutti i partiti fossero rappresentati nel Parlamento e che con gli stessi diritti e doveri rispecchiassero tutto il Paese.
Con il sistema proporzionale, i partiti accrebbero la loro importanza e il loro potere decisionale a scapito dei luoghi e degli spazi del cittadino in cui si discuteva la politica, che piano piano, infatti, diminuirono nel corso degli anni.
Nel 1947 il proporzionale fu però fondamentale per quei partiti popolari che altrimenti non avrebbero avuto accesso al Parlamento.
Fu dunque una necessità storica, non certo una direttiva ideologica.
Vi era una sostanziale e fondamentale necessità di educare il popolo alla democrazia, attraverso l’inclusione di questo all’interno dell’attività politica.
La tendenza più evidente, dal dopoguerra in poi, diventerà quella volta a cercare un equilibrio attraverso il consociativismo e quindi una mediazione politica, invece che basata su due poli, con maggioranze che si alternavano.
Nel 1953, anno della morte di Stalin, in Italia venne così approvata una riforma elettorale con un premio maggioranza, bollata dalla sinistra come “legge truffa”.
La Democrazia Cristiana puntava ad una stabilità di governo in chiave filoamericana e al PC non andava giù.
Nonostante la riforma, la DC fu comunque bloccata sotto la soglia del 50% e fu la fine della politica di De Gasperi, che dopo otto governi, venne definitivamente sconfitto.
Nel 1953 poi nacque l’ENI con Mattei in piena ascesa, si mandarano sulla sedia elettrica negli Stati Uniti Ethel e Julius Rosenberg con l’accusa di spionaggio in favore dell’URSS, noi italiani mandammo un convoglio militare al confine sul fronte jugoslavo per scongiurare l’avanzata di Tito che minacciava sul territorio libero e Wilma Mantesi venne trovata uccisa; la sua morte avrà conseguenze politiche non indifferenti, essendo questa stata vicina al delfino di De Gasperi.
Maggioritario, proporzionale, sedicenni…
Il popolo è immaturo? Ci si chiede ancora oggi. Pensare che proprio in questi giorni in Italia è stato addirittura proposto l’allargamento del voto ai sedicenni.
Quindi, il popolo, è immaturo?
Pannella risponderebbe: “Il popolo italiano spara col cannone la sua maturità!”
Maggioritario o proporzionale? O fifty fifty?
Il dibattito sulla legge elettorale è dunque abbastanza antico per la storia della nostra giovane Repubblica, iniziata 73 anni anni fa. Certamente, stando alla storia, non si può ridurre la necessità della legge elettorale e la sua attuazione a principi ideologici, ma a necessità pragmatiche e alla consapevolezza del contesto storico in cui tale dibattito va producendosi.
È sancita dalla legge la libertà dei cittadini di riunirsi e liberamente associarsi, per quella che gli inglesi chiamano “deliberation”, come ci ricorda il prof. Cassese in una sua recente intervista, ovvero “la lunga e accurata discussione che avviene in seguito ad una riflessione”, in una parola più riduttiva, “dibattito”.
La storia si ripete e tanto si discute questi giorni dentro il Parlamento sul da farsi in materia elettorale. C’è chi invoca al maggioritario assoluto e chi un ritorno al proporzionale puro.
“Tutte le crisi di governo si chiudono sempre con qualche compromesso, ma adesso le prospettive e i fondamenti non ci sono” riferisce in un’intervista di qualche giorno fa Calogero Mannino, esponente di lungo corso della DC, che aggiunge:
“Violante, che nel ’92-94 sosteneva il maggioritario, più funzionale alla -gioiosa macchina da guerra- di Occhetto e D’Alema, adesso ha un’altra posizione: a suo avviso un sistema proporzionale con liste brevi e bloccate e con uno sbarramento del 4% è la cosa migliore. Andrebbe bene a Renzi, a M5s e paradossalmente allo stesso PD, perché in questo modo Zingaretti, in contraddizione con la linea Prodi, se l’accettasse manterrebbe la sua proiezione a sinistra e potrebbe tornare a dialogare con il partito renziano”.
“Se si fa una legge proporzionale con sbarramento al 4%, il giorno dopo Renzi vuole il voto e il Pd anche; ma, se si fa una nuova legge elettorale, subito dopo cade il governo”.
In questa fase di totale destrutturazione politica e di incertezza, di mancanza identitaria dei partiti, c’è chi suggerisce addirittura il ritorno al proporzionale puro, perché solo con questo – dicono – si può auspicare alla riaffermazione della vera politica e la sua ricostituzione, chi invece sostiene l’esatto contrario e invoca l’uninominale secca.
Non ci sono adesso, come nell’ormai lontano 1991, le grandi feste dell’Unità come luoghi di dibattito politico e tutto si arena sulla necessità di un riassetto tecnico e tattico del Parlamento, nel Parlamento.
Dove sono i partiti? Sarà davvero una riforma della legge elettorale a tirarci fuori da questo pantano?
No, ma sicuramente un passo avanti.
Ci sono le cose della politica e la politica delle cose.
Sappiamo che il bipolarismo italiano, i suoi sistemi proporzionali e poi misti, non hanno dato buoni frutti alla luce di ciò che è avvenuto fino ad oggi, sistemi che hanno garantito l’alternanza di vari schieramenti, ma che di fatto hanno reso il paese ingovernabile e di fatto hanno creato un deficit di riforme strutturali necessarie oggi più di ieri.
Il modello di sistema elettorale tedesco è quello a cui fa riferimento Mannino nella sua intervista, suggerito da Violante. Una legge elettorale proporzionale con preferenza e sbarramento al 4%.
Innanzitutto nella fase di destrutturazione politica, la politica va ricostituita e ristrutturata e questo lo si può fare garantendo l’ingresso a tutti gli schieramenti e facilitando la loro formazione, garantendo il dialogo tra le varie posizioni di sinistra moderate e di destra moderate.
Insomma, la democrazia innanzitutto.
In un contesto continentale poi “la riforma più importante deve essere compiuta a livello europeo al fine di evitare il deficit democratico”, appuntava Gianni de Michelis nel 2012.
La priorità è oggi il federalismo a livello europeo, in Europa e verso l’Europa e per far questo abbiamo bisogno di un sistema proporzionale, abbiamo bisogno di avvicinare i cittadini alla politica e coinvolgerli nelle decisioni che li riguardano da vicino.
Così come le priorità saranno quelle di mettere in salvo il principio democratico della divisione dei poteri ed evitare di consegnare il potere e la scelta degli organi ad una sola forza maggioritaria.
Scongiurando la democrazia diretta, la lotta agli organi istituzionali, il vincolo di mandato e il taglio dei parlamentari senza adeguate riforme a monte, impariamo intanto quanto sia fondamentale il Parlamento, unico strumento che può mettere fine ad ogni deriva populista.
Deliberation, deliberation, deliberation.
Nel frattempo i problemi matureranno e speriamo che questo temporeggiare non porti il paese a marcire.
Al cittadino resterà comunque la lezione didattico magistrale messa in scena dalla nostra politica, sull’importanza del dibattito e della scelta.
Fonte: http://osservatorioglobalizzazione.it/progetto-italia/crisi-dei-partiti-e-riforma-elettorale/
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