La Germania mette le mani sul porto di Trieste, la Cina (per ora) resta fuori
di KRITICA ECONOMICA (Michele Bonetti)
A Trieste si vivono tempi interessanti. Lunedì 28 settembre 2020 è stato annunciato l’acquisto di una vasta area del Porto Nuovo della città da parte della tedesca HHLA (Hamburger Hafen und Logistik AG), compagnia di trasporti e logistica che gestisce già i tre quarti del porto di Amburgo (il principale porto della Germania).
Si tratta dell’appena ultimata Piattaforma Logistica, una delle più importanti infrastrutture marittime costruite in Italia negli ultimi anni, gestita da una società privata di cui il colosso tedesco si è aggiudicato, con questa mossa a sorpresa, la maggioranza assoluta. Si parla di oltre un miliardo di euro di investimenti, per la costruzione del nuovo molo VIII e di un polo ferroviario di supporto alla piattaforma.
La notizia è di quelle che scottano, e non solo per le cifre enormi in ballo: ormai da qualche anno il porto giuliano è, infatti, una sorta di termometro delle vivaci dinamiche politiche ed economiche che riguardano l’Europa centrale, un microcosmo che rivela, attraverso le sue vicende, intenzioni e strategie delle piccole e grandi potenze che gestiscono i flussi commerciali da e per l’Europa.
Per capirlo basta fare un passo indietro e ricordare il comportamento dell’ultima arrivata nel Mediterraneo, la Cina. Pechino è impegnata da tempo in una poderosa operazione di soft power volta ad espandere la sua influenza economica e politica in tutta l’area balcanica e verso l’Europa Centrale. Tuttavia, dopo l’acquisto del porto del Pireo da parte della COSCO (la principale società cinese di shipping) nel 2016, complice la grave carenza di infrastrutture nei Balcani, l’interesse cinese per Trieste è andato crescendo. Anzi, proprio questo dossier ha giocato un ruolo molto importante nell’avvicinamento diplomatico tra Italia e Cina, culminato con la firma, il 23 marzo 2019, dello storico Memorandum.
Si è così aperta la strada ad accordi più specifici tra il porto di Trieste e le società cinesi, progetti per valorizzare il Made in italy e collaborazioni strategiche tra Autorità Portuale e CCCC (China communications construction company) in Italia, Slovacchia e Cina, il tutto posto sotto il cappello della Belt and Road Iniziative, il grande progetto geopolitico di Xi Jinping. La presenza del porto di Trieste nel progetto della Nuova via della Seta non ha mancato di causare accese polemiche e timori di una possibile “svendita” delle infrastrutture portuali, sulla scorta di quanto accaduto ad Atene.
Zeno D’Agostino con Luigi Di Maio e Jingchun Wang di CCCC.
Crediti: Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale
Eppure, nonostante questo non sono i cinesi i primi ad investire direttamente nello scalo triestino: l’hanno fatto invece i tedeschi, e prima di loro lo aveva fatto addirittura il governo ungherese, che nel marzo del 2019 aveva rilevato la concessione della vecchia raffineria dell’Aquila, con l’ambizioso progetto di creare uno sbocco al mare diretto per le aziende magiare.
Tedesco è anche il recente investimento nell’Interporto di Trieste, infrastruttura intermodale che collega il mare, tramite rotaia, alla rete di trasporti continentale: la protagonista stavolta è Duisport, la società che gestisce il più grande polo intermodale del mondo, il porto fluviale di Duisburg.
Queste nuove attività alimentano la già forte connessione strategica tra Trieste e l’Europa centrale. Lo scalo giuliano è infatti il punto di partenza dell’oleodotto transalpino TAL, infrastruttura che fornisce il 40% del fabbisogno di greggio della Germania (il 100% per Baviera e Baden-Wüttemberg) e la quasi totalità di quello dell’Austria. Non solo: oltre il 90% del traffico che transita per il porto è diretto all’estero, principalmente verso il continente.
L’interesse dei tedeschi per Trieste è duplice: da un lato c’è la necessità di dare respiro alla rete fluviale e ferroviaria, a rischio saturazione prima della crisi del Coronavirus, sfruttando le opportunità offerte dal raddoppio del canale di Suez; dall’altro, l’ancora più impellente necessità di frenare l’espansionismo cinese, mantenendo un equilibrio dei flussi commerciali favorevole per i porti anseatici e conservando la propria posizione di egemonia in Europa, di fronte ad una Cina sempre più competitiva anche dal punto di vista tecnologico (si pensi alla questione della rete 5G).
Non bisogna dimenticare che nonostante tutto è la Germania, in Europa, il vero soggetto dialogante con la Cina, con cui intrattiene proficue relazioni commerciali.
Infine, come se non bastasse, c’entrano anche gli Stati Uniti: dopo aver manifestato grande irritazione per il coinvolgimento di Trieste nella BRI (ricordiamo che ad Aviano, giusto un paio d’ore di macchina dal capoluogo, gli americani hanno una base militare), ad agosto 2020 hanno inserito nella black list delle società oggetto di sanzioni proprio la CCCC, compagnia con cui sia l’Autorità Portuale di Trieste che Fincantieri hanno stretto vari accordi commerciali.
Insomma, non serve altro per capire che la partita che si gioca in questo lembo di Adriatico è ben più di una questione locale.
Il punto è chiarissimo per Zeno D’Agostino, il volitivo presidente dell’Autorità Portuale: “Questo è il traguardo atteso da decenni in cui nord e sud Europa fanno sintesi dal punto di vista portuale e strategico, in un’alleanza che unisce Italia e Germania”, afferma in occasione della firma dell’accordo. “La più compiuta attuazione della Via della Seta non si esaurisce nella Belt And Road Initiative di impronta cinese. Mancava finora una visione forte da parte europea, capace di integrare e bilanciare punti di vista e interessi provenienti dall’Asia. Tale è il contributo strategico che viene oggi da Trieste”
Trieste è il primo porto in Italia per volumi di traffico (62 milioni di TEU nel 2019): sebbene il petrolio nel 2019 costituisse ancora oltre il 70% del volume di traffico complessivo, il trasporto di container è in grande crescita, con un incremento in dieci anni di quasi il 250% (da poco meno di 300.000 a otre 725.000 TEU).
D’altronde, il porto italiano possiede vari punti di forza: non solo la maggiore vicinanza al cuore dell’Europa rispetto agli altri porti del Mediterraneo, ma soprattutto lo status di Porto Franco Internazionale (una prerogativa unica, sancita dai Trattati di pace di Parigi del 1947 e resa operativa dal Decreto attuativo del 2017), un regime di esenzione doganale e fiscale che permette il passaggio e la lavorazione di merci in condizioni molto vantaggiose, con la possibilità di creare un valore aggiunto che vada ben al di là del semplice carico e scarico dei container.
Una applicazione felice di tale opportunità è proprio l’Interporto, che ospita al suo interno il punto franco Free-este, e che non a caso ha attirato l’attenzione della Duisport. A questi vantaggi a cui si aggiungono le notevoli caratteristiche infrastrutturali: fondali profondi fino a 18 metri (il pescaggio naturale più profondo di tutto il Mediterraneo), un’area portuale di 2,3 milioni di metri quadri e una rete ferroviaria interna di oltre 70 km, che consente una spiccata propensione alla logistica intermodale (grazie ai binari il Porto è perfettamente integrato nel sistema di trasporto terrestre).
Soprattutto, a fare la differenza è una idea di sviluppo lungimirante, una gestione pubblica intelligente e coraggiosa che ha saputo sfruttare la posizione e le caratteristiche del porto nella maniera migliore, creando cioè, tramite investimenti pubblici, una crescita capace di generare ricchezza per il territorio. A tal proposito ancora D’Agostino, in un’intervista a Limes, sottolinea: “In Europa abbiamo scartato con troppa sufficienza l’importanza della pubblica amministrazione nell’ambito portuale, anche perché le leggi comunitarie, ancorate al modello liberistico, privilegiano il settore privato.”
Anche se Trieste si è ormai affermato come un luogo di importanza geostrategica fondamentale, questo non sempre sembra essere chiaro a Roma. In effetti, nella gestione dell’attività portuale la città tergestina assomiglia molto ad una pòlis, una città stato come Singapore, che non a caso è citata esplicitamente come modello di riferimento da D’Agostino. Badate bene, l’Autorità Portuale è un ottimo esempio di buona gestione della cosa pubblica, e in fin dei conti se la sta cavando piuttosto bene tra i giganti. Però, in un contesto di questo genere, il Governo rischia di essere tagliato fuori dai giochi, quantomeno se non sarà capace di sfruttare al meglio l’anomalia di Trieste, la sua vocazione naturale a “porta della Mitteleuropa”, integrandola in una visione strategica di portata nazionale.
Intanto, passo dopo passo, si recupera il filo di una storia iniziata nel 1719, quando Carlo VI istituì il Porto Franco di Trieste e trasformò un borgo di pescatori nel primo scalo commerciale (e militare) dell’Impero asburgico. A trecento anni di distanza, ci sono altri imperi a contendersi la città.
La posizione cinese in Europa preoccupa la Germania, di Andrea Muratore https://it.insideover.com/economia/la-posizione-cinese-in-europa-preoccupa-la-germania.html
Storica connessione Trieste-Amburgo, di Paolo Deganutti
https://limes-club-trieste.blogspot.com/2020/09/storica-connessione-trieste-amburgo.html?m=1
Trieste and the “Great Game” in the Balkans, di Francesco Laureti https://www.crossfirekm.org/articles/trieste-and-the-great-game-in-the-balkans
HHLA invests in the Adriatic Port of Trieste
https://hhla.de/en/company/news/detail-view/hhla-invests-in-the-adriatic-port-of-trieste
Xi Jinping in Italia, perché il porto di Trieste è così strategico per Pechino di Raoul de Forcade https://www.ilsole24ore.com/art/italia-cina-perche-porto-trieste-e-cosi-strategico-pechino-AB48zPgB
L’accordo fra Cina e Italia scatena l’ira degli Stati Uniti
https://it.insideover.com/politica/laccordo-fra-cina-e-italia-scatena-lira-degli-stati-uniti.html
Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale
https://www.porto.trieste.it/
Decreto attuativo 13 luglio 2017, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
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