TrumpAmerica – Atto secondo
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Emanuel Pietrobon)
Chiunque vinca, sarà guerra. Guerra nelle strade, nelle aule delle università, in televisione, in Congresso, ovunque. La società americana non è mai stata così divisa, avvolta da una cappa d’odio che da fine maggio ad oggi ha provocato più di 20 morti, 14mila arresti e tra l’uno e i due miliardi di dollari di danni. Il bilancio dei morti può sembrare basso, considerando che le violenze politiche e le rivolte razziali vanno avanti da fine maggio, ma la verità è che sono molti di più. Potrebbero essere centinaia. Il bollettino di guerra, che illustra soltanto i decessi registrati nel corso di saccheggi, scontri e proteste, per essere completo dovrebbe essere includere anche le vittime collaterali dell’odio, come i poliziotti, i difensori della libertà d’espressione, i morti causati dai saccheggiamenti e dall’anarchia, e coloro che sono stati uccisi per non essersi piegati alla dittatura del pensiero unico.
L’America del 2020 è simile, terribilmente simile, a quella descritta nella serie cinematografica distopica La notte del giudizio (The Purge): pullulano le aree libere dalla polizia, come la Zona autonoma di Capitol Hill, la voglia di distruzione ha provocato un’impennata nei crimini violenti nelle maggiori città e, soprattutto, si può morire con una facilità impressionante.
L’America del 2020 sembra l’ambientazione di un film post-apocalittico dove gli uomini hanno dimenticato di essere umani e sono regrediti ad una dimensione primordiale e bestiale, sostituendo la bontà, la comprensione, la propensione al dialogo, la tolleranza e il rispetto con il male, l’egoismo e l’odio. Nell’America del 2020 si può morire, e si muore, perché colpevoli di essere andati contro la dittatura del pensiero unico imposta da una minoranza agguerrita che vuole cancellare il passato e tutto ciò che lo rappresenta: statue, monumenti, strade, libri, persone. È per questo che nella contea di Milwaukee è stato ucciso in un agguato Bernell Trammell, un attivista afroamericano repubblicano e protestante, che nell’Indiana è stata uccisa una giovane madre perché durante un diverbio con degli attivisti di Black Lives Matter (BLM) ha esclamato “All Lives Matter“, e che in tutto il paese stanno venendo assaltate chiese e decapitate statue all’indomani di un appello lanciato da Shaun King, uno dei capi di BLM, contro il cristianesimo e ciò che esso rappresenterebbe in realtà: suprematismo bianco.
L’America del 2020 è divisa in due blocchi contrapposti che non sanno e non vogliono dialogare, ciò a cui aspirano è la prevaricazione dell’uno sull’altro. Non sarà l’eventuale vittoria di Joe Biden a ristabilire la pace sociale perduta, così come non sarà la rielezione di Donald Trump il casus belli di una nuova guerra civile: la pace sociale è un ricordo, e la guerra civile è già scoppiata.
Ma come si è arrivati a questo punto? Imputare a Trump la colpa di questa polarizzazione è sbagliato ed è indicativo di una scarsa conoscenza della realtà americana. La verità è che gli Stati Uniti nascono nel sangue e non hanno mai avuto il privilegio di possedere una società coesa; è l’odio che ha plasmato l’identità dell’unica superpotenza del mondo. I cattolici hanno le loro chiese, ma italiani, irlandesi e latinoamericani pregano nel 2020 come nel 1910: separati, ognuno con i propri preti, le proprie feste, i propri luoghi di culto. I protestanti hanno le loro chiese, ma wasp e afroamericani non si incontrano mai; hanno persino teologi che predicano dottrine radicalmente differenti.
Nelle aule delle università a imperare non è il dialogo costruttivo, mirante alla crescita reciproca, allo scambio di conoscenze e all’arricchimento del proprio bagaglio culturale, ma la segregazione delle idee. La situazione nei campus delle università americane è preoccupante al punto tale che Trump ha dovuto firmare un ordine esecutivo per imporre la libertà di manifestazione del pensiero; e questo non è accaduto in un regime illiberale e/o dittatoriale, ha avuto luogo negli Stati Uniti, il cuore pulsante della democrazia liberale per antonomasia. In breve, non è Trump colui al quale si deve la colpa per lo stato di salute precario dell’America del 2020. Trump ha ereditato una situazione già incandescente, di cui si erano intravisti i prodromi durante l’ottennato Obama, e che sarebbe sfociata nel caos anche con Hillary Clinton. Quel caos, probabilmente, non avrebbe raggiunto una simile intensità, ma ci sarebbe stato, sarebbe esploso comunque: tutto quel che è accaduto dal 2016 ad oggi era inevitabile.
Il motivo di una simile polarizzazione, di gran lunga superiore alle decadi passate, è da ricercarsi nelle trasformazioni che hanno plasmato l’opinione pubblica dagli anni ’60 ad oggi. La società è meno propensa al cambiamento di prospettiva rispetto al passato; quando una persona adotta un’idea, una visione del mondo, un sistema di valori, tende a cambiare posizione molto raramente. Questo è il motivo per cui la cosiddetta fascia degli “indecisi” si è ristretta fino a rasentare quasi lo zero: nell’America del 2020 si è Democratici oppure si è Repubblicani, non vi è spazio per il compromesso e per l’indifferenza. Non saranno i disordini nelle strade a spronare un Democratico a votare per Trump; al contrario, il presidente è stato ritenuto responsabile per l’accaduto e mandante morale delle brutalità poliziesche contro gli afroamericani. E non saranno un dibattito televisivo vinto da Trump o da Mike Pence e/o l’esposizione al pubblico dei crimini della famiglia Biden a far cambiare idea a un Democratico sulla bontà dell’anziano senatore ed ex vicepresidente. Gli elettori repubblicani, allo stesso modo dei seguaci di QAnon, vedono in Trump una guida messianica di natura semi-divina, il katechon, l’uomo della provvidenza venuto per impedire che Jesusland diventi la culla della sinistra radicale. Gli elettori democratici, invece, da oltre un decennio inquadrano le elezioni presidenziali come un appuntamento in cui si gioca il futuro della democrazia americana (e mondiale), una partita tra libertà e totalitarismo, tra civiltà e barbarie.
Nel 2020, quindi, è guerra. Una guerra per il futuro della civiltà all’interno del cuore della civiltà occidentale. Trump o Biden potranno accelerare o rallentare il ritmo dello scontro, dal quale dipenderà anche la primazia egemonica degli Stati Uniti nel mondo, ma nulla potranno per ristabilire completamente la pace sociale e riportare l’ordine delle cose alla tranquillità. La guerra tra i due opposti estremismi potrà concludersi in un’unica maniera: la vittoria completa e totale dell’uno sull’altro, ovvero l’omogeneizzazione integrale della società in un blocco massificato e monopensiero. Fino ad allora, e non è dato sapere quando e se questo processo avverrà nel medio periodo, la polarizzazione continuerà ad aumentare di intensità e violenza, portando democratici e repubblicani ad assumere posizioni sempre più radicali ed estremiste.
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