“Scendo in piazza e non sono un ultrà, ma una persona senza stipendio e tutele”
di TODAY (Roberta Marchetti)
Da Nord a Sud monta la protesta contro il nuovo Dpcm, ma la stigmatizzazione di scontri e violenza rischia di oscurarla. Dopo ristoratori, commercianti e artisti anche il mondo sportivo alza la voce. Su today.it lo sfogo di uno dei tanti manifestanti a Roma: “Siamo invisibili”
L’altra faccia della medaglia. Anzi, quella vera. La condanna politica – e non solo – nei confronti degli episodi di violenza che da giorni riempiono le principali piazze italiane, da nord a sud, rischia di oscurare la vera protesta. Quella che nasce dalla pancia dei cittadini e dai loro portafogli vuoti. Le immagini di cassonetti dati alle fiamme, di vetrine distrutte e negozi saccheggiati, di petardi lanciati contro le forze dell’ordine, si prendono la scena, lasciando alla reale contestazione i titoli di coda. La stigmatizzazione – giusta e doverosa, per carità – di delinquenti infiltrati – che siano frange di estrema destra o centri sociali quasi non importa, ben vengano anche gli ultrà – non rende merito a chi in piazza ci scende per far sentire la propria voce in un momento drammatico.
Dopo i ristoratori – costretti dal nuovo Dpcm ad abbassare la saracinesca della loro attività praticamente dopo pranzo, rinunciando all’incasso più redditizio che, fino a pochi giorni fa, gli permetteva di tirare in qualche modo avanti – i lavoratori del mondo dello spettacolo, sedotti e abbandonati da un ritorno in sala o dietro le quinte durato il tempo di un’apertura di sipario, anche lo sport scende per strada. Non quello professionistico, si intende, ma la fetta più larga fatta di palestre e piscine, che dopo l’ennesimo colpo basso rischia di non rialzarsi, o di farlo con ferite profonde. Martedì 27 ottobre a Roma, in Piazza del Pantheon, circa 400 persone tra imprenditori, gestori di strutture, personal trainer, istruttori, hanno manifestato per il loro diritto al lavoro. Di ‘serie a’, esattamente come tutti gli altri, ma in questo periodo storico un'”attività non primaria”.
“Ci hanno preso in giro”
C’era anche Jacopo alla piazza del Pantheon, martedì. 31 anni, istruttore di nuoto con contratto a prestazione, come quasi tutti i suoi colleghi. Tradotto, se non lavora non guadagna. “Sono tesserato, riconosciuto dal Coni. Pago le tasse, i rinnovi degli attestati, tutto. Dallo Stato per le tasse sono riconosciuto, per le tutele no”. Sopravvissuto al lockdown grazie al bonus, se così si può dire: “A marzo e aprile non ho percepito stipendio. Ho ricevuto il bonus di 600 euro di Sport e Salute, ma mi è arrivato anche tardi. L’ultima tranche ad agosto. 1800 euro in tre mesi, praticamente quello che guadagno quasi in un mese. Come ci vivi? Alcuni colleghi ancora devono prenderli”. La nuova chiusura una doccia gelata: “Ci hanno preso per i fondelli. Nell’ultimo Dpcm Conte ci aveva dato una settimana di tempo per regolarizzare tutte le strutture, anche se già ci eravamo adeguati alle norme dettate da loro. Se sapevi già che avresti chiuso palestre e piscine, perché fargli sprecare ulteriori soldi per farle mettere ancora più a norma, illudendo imprenditori e gestori? E anche noi che campiamo di quello. Tanto valeva chiuderle una settimana fa. Ci siamo sentiti presi in giro”.
“Un contratto a prestazione e nessuna tutela”
Jacopo è un fiume in piena: “Non abbiamo nessuna tutela – spiega a Today.it – Ho un contratto a prestazione, vengo pagato solo se lavoro. Non ho ferie, malattia. Siamo invisibili. Non siamo lavoratori di serie b. Lo sport non è indispensabile? E tutte le patologie che il mondo sportivo cura? Passano in secondo piano. Ci hanno promesso altri 800 euro, per noi collaboratori sportivi, ma non si sa quando arriveranno. É lo Stato che deve sbloccarli e mandarceli sul conto corrente. Ci danno il contentino”. Sulla sicurezza delle strutture no ha dubbi: “In nessun centro sportivo, così come in nessun teatro, cinema o ristorante, sono stati riscontrati focolai”. E a proposito di sicurezza e di contenimento del contagio aggiunge: “La situazione non si risolve in un mese, bloccando l’attività sportiva. Anzi, secondo me si crea un altro problema. Ora che i ragazzi stanno a casa, non possono fare sport, dove vanno? Si incontrano comunque per strada il pomeriggio. Tanto vale farli stare in una struttura protetta, dove vengono rispettati tutti i protocolli di sicurezza, invece che lasciarli per strada senza controlli e senza essere tutelati”.
Lo scenario è drammatico
Se è vero che dal passato si impara, guardando alla prima ondata, la seconda non promette meglio per Jacopo e per tutti gli altri che, come lui, sono scesi in piazza. “Se aumentano i contagi continueremo a restare chiusi anche oltre il 24 novembre – commenta preoccupato – Tanto noi siamo considerati tra le attività non primarie, anche se io con quei soldi ci devo campare”.
La marcia non si ferma
L’autunno si fa sempre più caldo. “Vorremmo fare altre manifestazioni, non fermarci solo a ieri – continua – Ci sono state tante proteste questi giorni, la nostra è stata pacifica. Non soltanto la nostra. Quelle che lo sono state meno, diciamo così, non sono solo strumentalizzate. C’è gente esasperata che non ne può più. Sono sempre pronto a scendere in piazza per far sentire la mia voce”. Intanto stasera la protesta si sposta anche a Trieste, Udine, Pordenone e Gorizia, e il 1 novembre un’altra in programma a Roma: il Sit Om, una manifestazione meditante. Ma a meditare dovrebbero essere altri.
Fonte: https://www.today.it/attualita/protesta-palestre-chiuse.html
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