Il futuro dell’Università: libertà e collaborazione o competitività e valutazione?
di ECONOMIA E POLITICA (Daniele Rinaldi, Paolo Pini)
Il cosiddetto “Processo di Bologna” o “Dichiarazione di Bologna” del 1999[1] segna un punto di svolta per il modo di concepire Università e Ricerca. Non solo perché è posto alla fine di un millennio, ma perché in realtà riassume e realizza quello che è un cambiamento egemonico a livello globale. Il Liberismo Economico su base multinazionale ha vinto la sua battaglia sia sul campo politico sia dal punto di vista di vista Filosofico (come visione del mondo).
L’idea di libera Ricerca e libera Università necessariamente è costretta a chinare il capo davanti ai nuovi padroni.
Ora i nuovi concetti guida nati da quel Processo sono profondamente mutati e mutuati dall’economicismo che pretende che tutto abbia una misura ed un valore di mercato.
Il primo concetto chiave è la Competitività’, contrapposta alla Collaborazione che da sempre è stata la forza della ricerca. Competitività vuol dire antagonismo e lotta per arrivare a portare a casa finanziamenti, e ad essere tra i primi nei ranking nazionali ed internazionali, mentre lo sviluppo scientifico può basarsi solo collaborazione, lo scambio di idee, la condivisione di approcci, metodi e risultati scientifici.
Un altro concetto fondamenta è la Valutazione. Il problema è, che mentre nel passato la “valutazione” era un fenomeno naturale, dove le idee venivano dibattute anche ferocemente (ci furono dissidi anche tra Bohr ed Einstein) e la scienza progrediva in base ed un naturale e dialettico confronto e verifica sperimentale, ora si pretende di misurare numericamente la Ricerca come se ne esistesse una univoca unità di misura. Questo fenomeno è anche dovuto alla riduzione (almeno in Italia) dei fondi della ricerca e alla malsana idea di valutare economicamente a cosa può portare la Ricerca nell’immediato (economicismo di breve e brevissimo periodo). Con un pensiero così limitato ed eticamente potremmo affermare meschino oggi forse non avremmo né i computer né l’elettronica. Tant’è che in mancanza di criteri certi si sono dovuti inventare criteri statistici per dare un numero e una misura alla Ricerca. Ma la statistica in questo caso è solo una foglia di fico manipolabile e dice solo chi vende di più. Proviamo nel cinema a misurare con questo metro Fellini o (non oso fare nomi) qualche regista di saghe natalizie varie. La misura del botteghino sarebbe impietosa.
Un altro concetto è l’Attrattività, cioè quanto un’Università richiama studenti, nazionali o stranieri. Ora questo criterio può essere interessante, in quanto anche nel passato più lontano esso ha premiato Università con la presenza di grandi studiosi. Ma questo significa creare ancora una volta disuguaglianze tra Istituti in crescita e altri in declino, mentre deve essere fondamentale la crescita e soprattutto lo sviluppo anche delle Università delle zone economicamente più in difficoltà (spesso in Italia gli Atenei del sud). Questo potrebbe essere un ulteriore elemento per lo sviluppo capillare per la Ricerca e non un suo confinamento.
Al contrario, noi crediamo che l’Università e la Ricerca siano basate sulla Collaborazione, che non è un mero concetto, ma una idea di sviluppo globale delle risorse intellettuali dell’umanità. Questo implica il concetto di Libertà che significa non essere vincolati alla sola visione della Ricerca in funzione della mera applicazione e ritorno economico immediato. Con questo pensiero ristretto saremmo ancora a studiare come ottimizzare la clava.
Il naturale esito di queste idee porta alla conclusione che sono necessarie Risorse per attuare questo processo. Ora l’esito della riduzione delle risorse porta alla affermazione dei concetti di Competitività, Valutazione, Attrattività sopra descritti rendendo la libera ricerca schiava delle statistiche e di una burocratizzazione nell’assegnazione delle risorse. Al contrario è necessaria una espansione della Libertà di Ricerca e dell’allargamento della sua base. Perché storicamente è stato questo il motore dello sviluppo scientifico.
Per mascherare questa crisi ideologica e finanziaria ad un tempo, in Italia si sono inventati strumenti come l’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) che riduce la valutazione e quindi la destinazione delle risorse ad una burocratizzazione ripetiamo meschina.
A dimostrazione che il re è nudo, è noto che i progetti di ricerca finanziati a livello nazione (PRIN ecc.) siano praticamente scomparsi per le loro tempistiche geologiche e per il limitatissimo budget che viene stanziato.
A questo si aggiunge il problema delle carriere, reclutamento e precariato, il quale sopperisce alla diminuzione drammatica dei docenti avvenuta dal 2010 in poi. Per non dire dell’ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale) che assegna una Abilitazione a professore in funzione di statistiche, fornite da agenzie private con conflitto di interessi, e ad un giudizio di Commissioni che di volta in volta cambiano i criteri come se fosse un concorso a posto e non una semplice abilitazione, lasciando nell’incertezza i candidati.
Tutta questa complessa macchina, che pretende di misurare ciò che non è misurabile, ha portato a disastri enormi, a fronte di un sistema che si regge in buona parte su Precari (Assegnisti, RTDB), e Ricercatori a Tempo Indeterminato (RTI) con modesti livelli retributivi.
Non a caso, le varie proposte di legge sul precariato, in mancanza di un serio finanziamento e di un serio riesame del reclutamento, che finalmente mandi in pensione il vecchio sistema dell’ASN, finiranno con l’eliminare i precari (come persone) e non il precariato (come sistema). In attesa che la politica si decida finalmente ad una revisione dell’apparato di leggi nato con la Gelmini (ma sviluppato dai seguenti governi di centro-sinistra, nessuno lo nasconda) come da più parti si richiede, perdurando questa situazione di sottofinanziamento e di burocratizzazione del reclutamento, a vincere saranno i grandi gruppi e le Università storicamente ed economicamente più forti e a perdere immancabilmente tutte le altre Università, particolarmente quelle del sud.
C’è poi il problema dei RTI che da innumerevoli anni attendono un riconoscimento per il loro lavoro, sottopagato e disconosciuto, che sorregge le Università, tenendo la Docenza di Corsi ufficiali e sostenendo la Ricerca. È necessario un pieno riconoscimento del loro ruolo Docente aldilà degli orpelli legislativi e burocratici per farli uscire dal limbo nel quale si trovano. A pagarne lo scotto in questa situazione ne è tutto il sistema della libera Ricerca come uno dei fondamenti del progresso umano.
La politica deve ora assumersi la responsabilità di risolvere questi nodi, per attuare una inversione di tendenza attraverso i concetti di Libertà e Collaborazione contrapposti a Competitività e Valutazione. Nel contempo tutto sarebbe vano se non si impegnassero risorse necessarie, intese come investimento per il futuro e non come capitoli onerosi di mera spesa.
[1] Si veda https://www.miur.gov.it/processo-di-bologna: “Il Processo di Bologna nasce nel 1999 come accordo intergovernativo di collaborazione nel settore dell’Istruzione superiore. L’iniziativa era stata lanciata con la Conferenza di Bologna alla conferenza dei Ministri dell’istruzione superiore europei, sottoscritta a Bologna nel giugno 1999 ed ispirata dall’antecedente incontro dei Ministri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito del 1998 (Dichiarazione della Sorbona 1998). L’obiettivo era appunto costruire uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore che si basasse su principi e criteri condivi tra i Paesi firmatari”
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