Quanto fanno male le pallottole al piombo
di SCIENZA IN RETE (Claudia Scillitani)
Un’importante conquista per la conservazione degli uccelli: il Parlamento Europeo ha appena votato a favore di un regolamento per bandire l’utilizzo di munizioni al piombo per la caccia nelle zone umide. L’approvazione definitiva è arrivata il 25 novembre, quando il parlamento si è riunito per discutere le mozioni presentate da due gruppi politici di destra, Ecr – Riformisti e conservatori europei e Id – Identità e democrazia, che sono state rigettate. Il divieto delle munizioni al piombo nelle zone umide era già stata approvato lo scorso settembre dal comitato tecnico REACH istituito con il regolamento CE 1907/2006 concernente la registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche nel territorio europeo). Ora si attende l’adozione della legge da parte del Consiglio Europeo. Il divieto entrerà in vigore entro 24 mesi dall’atto formale.
Metallo pesante comodo da lavorare perché facilmente malleabile, il piombo ha avuto molti impieghi nella storia dell’umanità: antichi Greci, Egizi e Romani già lo utilizzavano. Una delle caratteristiche vincenti del piombo è la sua resistenza agli agenti atmosferici e infatti è stato impiegato come stabilizzatore di vernici e combustibili, oltre che come rivestimento delle tubature. Man mano che le conoscenze scientifiche ne hanno rivelato la pericolosità per la salute umana, il piombo è stato eliminato nelle sue applicazioni. Ad esempio la benzina è senza piombo dagli anni Novanta. Le munizioni da caccia però restano prevalentemente a base di piombo.
Perchè il piombo è un problema per la conservazione
«Le prime evidenze scientifiche sugli effetti tossici del piombo nelle zone umide risalgono alla prima metà del secolo scorso, quando si registrarono delle morie di massa di anatre negli Stati Uniti e vennero fatti degli studi che ancora adesso sono considerati dei riferimenti» spiega Alessandro Andreotti, ricercatore presso l’ Area Avifauna Migratrice dell’ISPRA, e coautore di un report1 del 2012 che fornisce una esaustiva sintesi del problema del piombo nelle munizioni per la caccia. «Nelle zone umide si verificano condizioni particolari che rendono questo problema più evidente, soprattutto per le anatre, anche se non sono gli unici uccelli colpiti. Le anatre si alimentano di semi e cibi vegetali molto duri, che necessitano di una triturazione per essere assimilati. Gli uccelli hanno il becco e non i denti, ma ovviano attraverso uno stomaco muscolare molto forte, che grazie all’ingestione di sassolini – tecnicamente chiamati gastroliti o grit– permette la macinazione dei semi e quindi la loro digestione. Questo grit viene mantenuto nello stomaco finché non si consuma completamente». Nei sedimenti possono esserci, però, i pallini di piombo contenuti nelle cosiddette munizioni spezzate, usate per la caccia a uccelli e mammiferi di piccole dimensioni, che al momento dello sparo cadono in parte sul terreno. Questo può riguardare anche aree in cui la caccia non è più praticata, perché se le acque sono stagnanti (come nel caso di paludi, stagni e lagune) i pallini possono rimanere sul fondo per tempi molto lunghi. Gli uccelli ingeriscono volontariamente i pallini per usarli come grit, in particolare nelle zone umide in cui il sedimento è molto fine e i sassolini sono merce rara. Una volta ingeriti, i pallini di piombo vengono tenuti nello stomaco finché non sono completamente triturati, e così le anatre si avvelenano.
«Per un germano reale basta l’ingestione già di 2 o 3 pallini per causare un’intossicazione acuta che può portare in breve tempo alla morte. Per una specie più piccola come l’alzàvola ne bastano meno. Nel caso venga ingerito un solo pallino si possono avere degli effetti subletali» spiega Andreotti. L’intossicazione da piombo, nota anche come saturnismo (da saturno, nome che gli antichi alchimisti davano al piombo), può essere sia acuta che cronica. Quando un individuo ingerisce basse dosi di piombo a più riprese, si determina un avvelenamento cronico, che danneggia il sistema nervoso, respiratorio, escretore e digerente. Nei casi più gravi gli animali con avvelenamento cronico perdono la coordinazione nei movimenti e faticano a volare. Di conseguenza è facile che vengano predati o muoiano in modo accidentale prima ancora che per causa del veleno. L’avvelenamento cronico provoca inoltre una riduzione della fertilità e diminuisce le probabilità di sopravvivenza dei nidiacei 2, e ha potenziali ricadute su tutta la popolazione3. Uno studio coordinato da ISPRA pubblicato nel 20184 stima che nel territorio dell’Unione Europea siano almeno 40 le specie di uccelli acquatici a rischio di avvelenamento da piombo e circa 700.000 gli individui che muoiono all’anno, che rappresentano circa il 6% delle popolazioni acquatiche svernanti in Europa. Un numero non indifferente.
Gli uccelli acquatici non sono gli unici a utilizzare i pallini delle cartucce come “macine” e ad avvelenarsi ingerendoli: «il problema riguarda un po’ tutte le specie di granivori, che, per frantumare i semi ingeriti, usano questo sistema. In zone in cui la caccia è praticata in maniera intensa, ad esempio dove ci sono i capanni fissi di caccia per il prelievo sulle specie migratrici o nelle riserve di caccia, le quantità di pallini sul terreno non sono trascurabili e aumentano anno dopo anno, col susseguirsi delle stagioni di caccia, perché il piombo è un elemento stabile, la cui degradazione richiede decine o centinaia di anni, e quindi rimane e si accumula negli strati superficiali del suolo. Uno studio fatto in Inghilterra sulle starne dimostra che dagli anni 30 agli anni 90 c’è stato un aumento significativo dei pallini presenti nell’apparato digerente: dallo 0,3 al 3,4% del contenuto stomacale» spiega Alessandro Andreotti.
Una catena trofica avvelenata
«Nel dicembre del 2008 Ikarus, un giovane gipeto rilasciato nel giugno dello stesso anno in Alto Adige in un progetto di reintroduzione, fu avvistato sui tetti delle case in due paesi del Trentino, in val di Rabbi. Incapace di volare, dopo due o tre settimane cadde al suolo. L’animale fu recuperato ed esaminato, e dalle analisi del sangue emerse che era affetto da saturnismo acuto. L’animale fu trasferito all’Università di Vienna, sottoposto alle cure del veterinario Hans Frey, uno dei massimi esperti di gipeto e responsabile storico del progetto internazionale di reintroduzione sull’arco alpino. Una volta guarito, 8 mesi dopo, fu rilasciato in natura munito di GPS per monitorarne gli spostamenti. Dopo pochi mesi fu trovato morto in Svizzera. Chiedemmo un pezzo di osso che fu sottoposto alle analisi. I valori di piombo erano stellari: 58 mg/Kg! Almeno sei volte superiori al livello di tossicità subcronica del piombo» racconta Enrico Bassi, consulente faunistico per ERSAF-Parco Nazionale dello Stelvio, dove si occupa di ricerca e monitoraggio degli uccelli rapaci.
«I rapaci hanno dei succhi gastrici estremamente acidi – in alcune specie il pH è 1- che servono per poter digerire e sciogliere le ossa. Per via di questa caratteristica però sono in grado di aggredire anche il piombo metallico velocizzandone l’assorbimento» spiega Alessandro Andreotti. Quando il proiettile di piombo penetra nel corpo di un animale, rilascia tanti minuscoli frammenti di varie dimensioni, la maggior parte talmente piccoli da non essere percepibili a occhio nudo. La gran parte di questi frammenti resta al livello della ferita, altri vanno si disperdono nei tessuti anche a molti centimetri di distanza dalla zona attraversata dal proiettile. I rischi per i rapaci sono sia quello di predare un animale ferito o intossicato, che quello di nutrirsi delle viscere degli ungulati cacciati, che vengono molto spesso lasciate sul luogo dell’abbattimento. Il Parco Nazionale dello Stelvio, con la collaborazione della provincia di Sondrio, ha avviato nel 2008 un progetto per la raccolta dei visceri degli ungulati abbattuti, che ha visto una attiva partecipazione dei cacciatori. I campioni, analizzati dall’Università di Milano, rivelarono che, su 132 campioni il 63% in media conteneva tracce di piombo5.
Il caso di Ikarus è stato inoltre un input per avviare una raccolta dati su grande scala: «Il Parco Nazionale dello Stelvio fa parte di IBM (International Bearded vulture Monitoring), una rete di partner internazionali per il monitoraggio del gipeto. Quindi abbiamo chiesto ai colleghi di Francia, Svizzera, Italia e Austria di inviarci, per tutti i rapaci trovati morti, campioni di fegato, rene, cervello e di osso lungo e corto. Il progetto è iniziato nel 2008 e proprio in questi giorni abbiamo sottomesso i risultati in una pubblicazione scientifica. Abbiamo analizzato 595 campioni di tessuto di 252 rapaci, le specie sono grifone, gipeto, avvoltoio monaco e aquila reale. I risultati indicano che il 50% delle aquile ha livelli di piombo nelle ossa cronici o subcronici, mentre nel grifone il valore è del 48%. Per l’avvoltoio monaco la percentuale è di circa il 40%, intorno al 20% per il gipeto. Va considerato che queste ultime due specie hanno piccole popolazioni, ad esempio per l’avvoltoio monaco si contano in Francia 36 coppie nidificanti. Il campionamento è stato casuale, perché abbiamo raccolto tutte le carcasse ritrovate, di individui morti per le cause più disparate, dal bracconaggio alla collisione con pale eoliche alla folgorazione su cavi elettrici. Spesso animali morti per cause sconosciute all’esame veterinario vengono indicati come debilitati. Con le analisi cha abbiamo fatto possiamo dare un nome a questa debilitazione, che è il saturnismo, che in alcuni casi è concausa della morte, anche se poi la causa ultima è un’ altra» racconta Enrico Bassi.
Una questione di salute globale
Il rapporto ISPRA1 sul piombo spiega con statistiche puntuali il rischio che la carne di un selvatico contenga tracce di piombo, sia pallini, che schegge. Il piombo metallico in realtà passa attraverso il tratto digerente umano senza dare particolari problemi e viene espulso con le feci. Però dipende molto dal tasso di consumo: ad esempio analisi condotte sulle popolazioni dell’estremo nord -Groenlandia, Alaska, Scandinavia, Russia- che mangiano in modo abituale la selvaggina, indicano livelli di piombemia nel sangue piuttosto elevati. «Quando si cucina la carne con una componente acida che possono essere i pomodori, ma soprattutto l’aceto, il pH si abbassa e con le alte temperature necessarie per la cottura il piombo metallico, difficilmente assorbito, rilascia la forma ionica che invece è facilmente assimilabile» spiega Alessandro Andreotti, che prosegue: «a bassi livelli il piombo è asintomatico oppure i sintomi che provoca sono molto generici, comuni a tante altre malattie, e difficilmente vengono associati all’intossicazione da piombo. Gli effetti del piombo per la salute umana sono stati studiati a livello epidemiologico, su grandi numeri, per vedere l’incidenza di determinate problematiche sanitarie (come malattie renali, circolatorie o a carico del sistema nervoso) in funzione dei livelli di piombo nel sangue. Grazie alle moderne tecniche analitiche, infatti, si è in grado di rilevare anche delle percentuali molto basse. In base a questi studi le autorità sanitarie, come l’ISS, o EFSA, ma anche l’OMS hanno sancito che non c’è una soglia di sicurezza per il piombo, ma dovrebbe essere eliminato perché anche a livelli minimi fa danni. I danni più gravi sono per i soggetti in crescita, bambini, perché interferisce con lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Una donna incinta passa il piombo al feto, ma anche l’allattamento può essere pericoloso». Va ricordato che oltre alle munizioni da caccia, e quindi al pericolo delle carni di selvaggina contaminate, il piombo viene ancora impiegato a livello industriale in numerosi Paesi extraeuropei per la produzione di vernici, smalti impiegati anche per i giocattoli o bigiotteria, e persino per la cosmetica. Anche il fumo è una potenziale fonte, perché la pianta di tabacco assorbe il piombo dal terreno.
La complessa strada politica
I primi divieti per l’utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide sono stati introdotti in Canada, Stati Uniti Olanda e Danimarca negli anni ’90. L’Italia, e l’UE in genere, aderisce all’ AEWA (Accordo internazionale sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa-Eurasia) un accordo internazionale siglato a L’Aia in Olanda nel 1995, con lo scopo di tutelare gli uccelli acquatici migratori. Secondo gli accordi, si doveva arrivare al divieto delle munizioni al piombo per le aree umide entro il 2000. L’Italia ha sottoscritto l’accordo nel 2006 e nel 2007 ha bandito l’utilizzo delle munizioni al piombo per le aree umide incluse nella rete natura (istituite in applicazione della direttiva uccelli e della direttiva habitat). Grazie all’azione di ricercatori e ong che operano nel campo della conservazione, è stato quindi avviato il lungo iter che ha portato al divieto approvato a fine novembre 2020 al Parlamento Europeo.
Come abbiamo visto però, le zone umide non sono le sole ad essere interessate dal problema delle munizioni al piombo. Su questo in Italia sono diverse le realtà locali che si sono attivate. Ad esempio la provincia di Sondrio vieta l’utilizzo di munizioni al piombo, e anche altre regioni hanno espresso limitazioni all’interno dei calendari venatori6. Il Parco Nazionale dello Stelvio, per i selecontrollori che operano il controllo del cervo all’interno dell’area protetta ha indetto l’obbligo di munizioni senza piombo. Il coordinatore dell’area scientifica del Parco, Luca Pedrotti, racconta: «quello che abbiamo cercato di fare durante questi anni è stato di avviare una collaborazione con i cacciatori che operano le azioni di controllo. Su tutti gli animali abbattuti veniva registrato il numero e il tipo di munizioni usate, punto entrata ed eventuale uscita del proiettile, spostamento dell’animale dopo essere stato ferito. Con questa analisi quantitativa basata su un grosso campione di dati abbiamo potuto misurare che i risultati ottenuti con i due tipi di munizioni, rispetto alla proporzione di animali feriti e abbattuti, è comparabile». Un risultato importante, visto che una delle obiezioni sull’utilizzo di munizioni senza piombo è la presunta minore efficacia.
Considerato però che il problema riguarda animali che si spostano su lunghissime distanze, come i migratori, ma anche gli avvoltoi che possono compiere spostamenti di centinaia di chilometri, è evidente la necessità di un provvedimento che agisca in modo uniforme su tutto il territorio, e non solo italiano, ma per lo meno europeo. Andreotti spiega che nel corso della lunga istruttoria per bandire l’uso del piombo per la caccia nelle zone umide compilata da ECHA, l’agenzia europea per le sostanze chimiche, sono emersi elementi che hanno portato l’UE a avviare una procedura di studio simile estesa a tutti gli ambienti. L’adozione di regolamenti è necessaria per avviare una transizione a livello della produzione delle armi, incentivando la produzione e l’acquisto di munizioni senza piombo7, fondamentale per limitare gli importanti effetti tossici del piombo, non compatibili con gli obiettivi di conservazione della fauna8 e la tutela degli ecosistemi.
Commenti recenti