Rapporti euro-turchi, il Sofagate è l’ultimo dei problemi
Da: Diplomazia Italiana (redazione)
Il vertice euro-turco di Ankara dello scorso 6 aprile sarà ricordato per il posto a sedere riservato alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Tuttavia, quello che il media hanno ribattezzato Sofagate andrebbe ricondotto alla sua reale portata: una questione marginale.
Innanzi tutto, come sempre accade in occasione dei principali appuntamenti internazionali, lo scenario dei colloqui è stato preventivamente concordato fra il cerimoniale turco e quello Ue.
Il Sofagate è fumo negli occhi
Dunque, se c’è qualcuno cui fare delle rimostranze, sarebbe più corretto cercarlo a Bruxelles. Non ad Ankara dove, foss’anche per ragioni di propaganda, non si ricordano sgarbi di Erdogan a ospiti donne. Altra cosa sono le strumentali richieste di dimissioni del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. Queste sembrano rispondere a logiche interne o a brama di visibilità di peones di seconda categoria. Sono ben altre – e ben più gravi – le ragioni per cui Michel non è all’altezza dell’incarico che ricopre. Non certo il Sofagate.
Il vertice di Ankara, uno scacco per l’Ue
Inoltre – e soprattutto – le polemiche sul Sofagate stanno oscurando il vero dato politico: il vertice di Ankara è stato una dura sconfitta per l’Unione europea. Infatti, gli imbelli Michel e von der Leyen non hanno centrato nessuno degli obiettivi preannunciati alla vigilia. Il vertice di Ankara seguiva la riunione dei membri del Consiglio Ue dello scorso 25 marzo durante il quale si era discusso anche dei rapporti euro-turchi. In particolare, dal Consiglio era emersa l’indicazione di invitare la Turchia ad astenersi “da nuove provocazioni e azioni unilaterali contrarie al diritto internazionale”.
L’agenda dei negoziatori Ue per l’incontro con Erdogan
In linea con le indicazioni del Consiglio, l’agenda di Michel e Von der Leyen in vista del vertice con Erdogan si imperniava su tre punti.
- I rapporti futuri fra Ue e Turchia, da basare su tre pilastri. Primo: la cooperazione economica e il consolidamento dell’unione doganale. Secondo: le politiche migratorie. Al riguardo, Michel e von der Leyen hanno espresso gratitudine ad Ankara per i circa 4 milioni di rifugiati siriani che ospita. Essi, inoltre, hanno impegnato l’Ue a proseguire il sostegno finanziario a favore dei profughi siriani in Turchia, in Libano e in Giordania, così come delle comunità di accoglienza. Terzo: il rafforzamento dei contatti fra persone e della mobilità.
- Il rispetto di diritti e libertà fondamentali. Michel e von der Leyen hanno rappresentato la “viva inquietudine” per la recente evoluzione della cornice turca, sia per lo stato della libertà d’espressione sia per gli attacchi ai media e ai partiti politici. Hanno inoltre espresso “preoccupazione” per il rispetto dei diritti delle donne e per il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul.
- Le divergenze fra Ue e Turchia in materia di politica estera, in particolare su volet quali Libia, Siria, Caucaso meridionale, Mediterraneo orientale. In tale cornice, i negoziatori Ue avevano il mandato di invitare Ankara a fornire un positivo contributo alla pace e alla stabilità regionale. In particolare, il messaggio di Bruxelles era che “combattenti e truppe straniere devono lasciare il territorio libico”.
Michel e von der Leyen, “zeru tituli”
Alla vigilia del vertice con Erdogan, Michel e von der Leyen avevano dichiarato di sperare che la Turchia cogliesse questa opportunità. Nel contempo, si erano detti “determinati a difendere gli interessi dell’Ue e dei suoi Stati membri, così come a difendere i nostri valori”. Michel aveva chiarito che da ora in poi i rapporti fra Ue e Turchia si svilupperanno in modo “progressivo, proporzionato e reversibile”. Un programma “progressivo”, quello dell’Ue, nel quadro del rilancio di una politica della “mano tesa” alla Turchia. La risposta di Erdogan? Nessuna garanzia sui temi sollevati dai negoziatori Ue. Libertà fondamentali, donne, stato di diritto? Neanche a parlarne. E, per evitare equivoci, nei giorni immediatamente successivi al vertice la Turchia ha inviato nuove truppe irregolari in Libia. Per citare un noto allenatore calcistico, Michel e la von der Leyen sono tornati da Ankara con “zeru tituli”.
La vera natura dei rapporti fra Europa e Turchia
Uno dei problemi alla base di questo scacco diplomatico risiede nella circostanza che i burocrati Ue – questo sono Michel e la von der Leyen, sulla cui mediocrità non ci si vuole qui dilungare – si comportano come se mancasse loro una chiara comprensione della profondità dei problemi alla base dei rapporti fra Europa e Turchia. L’Europa è erede della Grecia, di Roma, del cristianesimo medievale, della cultura germanica e di quella slava. Queste radici indoeuropee e cristiane pongono più di una domanda sul legame euro-turco. Figlia di un irriducibile scontro di civiltà che affonda le sue origini nelle invasioni unne del IV e del V secolo dopo Cristo, l’identità dell’Europa e dei suoi popoli si è forgiata anche in opposizione all’imperialismo turco. È, questo, un dato ineludibile: una forma di alterità che caratterizzerà sempre la dialettica fra Europa e Turchia.
Europa e Turchia, un’alterità irriducibile
La Turchia non è europea per ragioni culturali, etniche, religiose e geopolitiche. Con l’ingresso della Turchia – tema per fortuna non più in agenda – l’Ue finirebbe per confinare con Siria, Iraq e Iran. Inoltre, la politica estera della Turchia di Erdogan è una forma di imperialismo di stampo neo-ottomano. Con la sua politica verso i paesi turcici dell’Asia centrale, Ankara intende progressivamente federare sotto la sua guida un’enorme area strategica, che funge da perno geopolitico fra Europa e Asia. Con la sua assertività in Siria, in Libia e nel Mediterraneo Orientale, la Turchia estende nuovamente la sua influenza su aree un tempo sotto il dominio dell’Impero ottomano. Questo non significa che Europa e Turchia non possano trovare intese volte a fornire assicurazioni reciproche in aree o su temi di comune interesse. Anzi, in scacchieri come Mediterraneo, Medio Oriente e Asia centrale oppure su sfide quali la sicurezza e la lotta al terrorismo sarebbe più che auspicabile. Inoltre, se Ankara non ha interesse a recidere le relazioni con l’Europa, ancor meno ne ha a entrarci in collisione.
La politica estera Ue è una politica estera tedesca con altri mezzi
Il secondo problema, in parte occultato dal Sofagate, è che parlare di politica estera europea è come minimo azzardato. Infatti, Bruxelles non è mai stata capace di elaborare una linea unitaria su issues strategiche, come dimostrano la catastrofe Ue davanti alla sfida epocale dell’immigrazione oppure il disastro sull’acquisto dei vaccini. In realtà, la “politica estera europea” altro non è che la somma dei diversi vettori costituiti dalle spinte dei paesi membri, ognuno dei quali persegue il proprio interesse nazionale. Il Regno Unito si è chiamato fuori con la Brexit. L’Italia continua a perseguire più l’interesse europeo di quello nazionale e lascia spesso senza istruzioni i suoi diplomatici a Bruxelles. Resta la Francia, il cui peso non riequilibra quello della più potente Germania. Ne consegue, parafrasando Clausewitz, che la politica estera europea è una politica estera tedesca con altri mezzi.
I limiti della Germania si ripercuotono sulle relazioni esterne dell’Ue
La circostanza che la politica estera europea risponde in prevalenza agli interessi tedeschi pone due problemi. Primo, sul piano storico la Germania ha un rapporto problematico con il concetto di potenza e con le responsabilità che ne conseguono. Non a caso, la condotta internazionale di Berlino ha sempre oscillato fra due polarità.
- Da un lato, strumenti estremi per obiettivi limitati. Senza scomodare la catastrofe delle Guerre Mondiali, si potrebbe pensare alle due crisi marocchine provocate da Berlino nel 1905 e nel 1911, che portarono il mondo sull’orlo della guerra per questioni coloniali dalla portata ininfluente per gli equilibri internazionali del tempo.
- Dall’altro, a partire dal secondo dopoguerra la Germania ha scelto la via della potenza economica slegata dalla responsabilità politica. Tuttavia, inevitabilmente il ruolo di locomotiva d’Europa di Berlino fa sì che le sue politiche economiche si riverberino sui partner europei. In questa cornice, la scelta della Germania di proporsi sul palcoscenico internazionale come una “grande Svizzera” provoca squilibri sistemici su scala continentale. La scarsa crescita e la disoccupazione che affliggono i paesi europei sono conseguenza della ricetta “austerità + deflazione” che sin dalla riunificazione la Germania impone al Vecchio Continente. Una scelta impolitica, quella di Berlino, destinata ad avere effetti centrifughi sul processo di integrazione europea.
La collettività turca in Germania, quinta colonna di Erdogan
Il secondo problema è costituito dal ruolo della comunità turca in Germania, dove vivono i tre quarti delle persone provenienti dalla Turchia che vivono nell’Ue. Si tratta di circa 3,5 milioni di persone tra cittadini turchi, detentori di doppia cittadinanza e tedeschi di origine turca. Insieme, formano la principale minoranza straniera in Germania. Non solo questa diaspora ha trasferito sul suolo tedesco le linee di faglia anatoliche: curdi-turchi, alawiti-sunniti, laici-conservatori, sostenitori e avversari dell’Akp di Erdogan. Soprattutto, sin dalla vittoria dell’Akp del 2002, Ankara utilizza gli emigrati turchi e i loro discendenti come strumento della sua strategia di condizionamento delle scelte politiche di Berlino. Una strategia di regolazione del grado di intensità delle tensioni importate dalla Germania gestita dalla Turchia con un attento dosaggio di propaganda politica, intelligence e indottrinamento religioso. Infine, la Germania considera la Turchia un attore strategico nella geopolitica mediterranea e del Medio Oriente. In questa prospettiva, il rapporto di Berlino con Ankara risponde all’esigenza di bilanciare le potenze mediterranee Francia e Italia e di consolidare la sua influenza nei Balcani, con il fine ultimo di costruire uno sbocco mediterraneo per l’economia tedesca.
Una lezione per l’Italia: le quinte colonne indeboliscono la posizione internazionale della nazione
Punto di convergenza di un insieme di quadranti dagli equilibri precari, quali il Mediterraneo, il Medio Oriente, i Balcani e la stessa Ue, che vive oggi la fase più difficile della sua storia, l’Italia non può permettersi di cadere nella trappola dell’impolitica. Inoltre, le vicende tedesche confermano ancora una volta le insidie dell’immigrazione. Da un lato, quello migratorio è un fenomeno politico che può e deve essere governato. Dall’altro è un dato di fatto che subire un’immigrazione massiccia finisce inevitabilmente per costituire un fattore di vulnerabilità. L’attuale dinamica delle relazioni internazionali impone agli attori come l’Italia di individuare con precisione il proprio interesse nazionale, elaborare dottrine coerenti e dotarsi degli strumenti adeguati. Questa è la linea che passa fra l’essere soggetto della politica internazionale o semplice oggetto. Fra essere artefice del proprio destino o subirlo.
Fonte: https://www.diplomaziaitaliana.it/europa-turchia-sofagate-ultimo-problema/
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