Israele: Naftali Bennett, alfiere della destra nazionalista con una «scheggia nelle natiche»
di L’INDRO (Gabriella Peretto)
Se Yair Lapid riesce a formare il ‘governo del cambiamento’, Naftali Bennett sarà l’azionista di riferimento e probabilmente fino al 2023 premier.
Entro domani si saprà se l’era di Bibi è finita, oppure se in Israele ci sarà ancora qualche mese di accanimento terapeutico attorno al più longevo dei premier del Paese, e un quinto turno elettorale.
Mercoledì 2 giugno, infatti, è la data entro la quale Yair Lapid, il capo dell’opposizione centrista del Yesh Atid, che da quasi tre settimane sta lavorando per cercare di mettere in piedi l’Esecutivo, dovrà presentare al capo dello Stato la composizione del governo o rinunciare.
Lapid è stato chiamato a provare formare un governo dopo il fallimento del premier uscente, e nuovamente incaricato, Benjamin Netanyahu. Mentre il tentativo di Lapid di formare una coalizione per un ‘governo del cambiamento’ procedeva discretamente bene, è scoppiata la quarta guerra di Gaza. 11 giorni di fuoco e di ripensamenti tra i partiti consultati da Lapid. Quando il leader di Yamina, Naftali Bennett, si è ritirato dal gruppo dei volonterosi di Lapid e ha ripreso le consultazioni con il Likud di Netanyahu -consultazioni che prima aveva interrotto facendo naufragare il tentativo del premier uscente di un nuovo Esecutivo-, è parso che Lapid avesse fallito. Così non è stato.
Le carte si sono rimescolate per l’ennesima volta, e il tentativo di Lapid ha ripreso vigore. Domenica, poi, Naftali Bennett ha fatto una dichiarazione che in molti non si attendevano: «Vi annuncio che farò un governo di unità nazionale con Lapid per far uscire Israele dalla voragine». «Con Lapid ci sono diversità ma siano intenzionati a trovare l’unità. Lapid è molto maturato», ha aggiunto, mettendo al centro della scena politica i suoi 7 seggi alla Knesset ottenuti nelle elezioni del 23 marzo. «Intendo agire con tutte le mie forze per formare un governo unitario con Lapid. Quattro tornate elettorali hanno indebolito il Paese. Si tratta di una crisi politica senza eguali nel mondo. Stiamo smontando l’edificio dello Stato e rischia di crollare tutto», spiegando così il suo ennesimo cambio di posizione in corsa.
Quello a cui il premier incaricato Yair Lapid, sta lavorando è una coalizione molto variegata, con forse sette forze politiche, di destra, centro, sinistra (si va dalla destra nazionalista di Yamina di Bennett, ai conservatori di Gideon Saar -New Hope-, passando per i centristi di Yesh Atid e Blu e Bianco, fino ai laburisti e alla sinistra radicale di Meretz) e con l’appoggio esterno, ma non è detto che non entri nel governo, della Lista Araba Unita di Mansour Abbas, o quanto meno del suo partito, Ra’am, per il quale il capo degli islamisti conservatori avrebbe chiesto per il suo partito, in queste ore, un posto di vice al Ministero degli Interni. L’aiuto degli islamisti conservatori è imprescindibile per permettere la nascita dell’Esecutivo: con i deputati a disposizione dei partiti disponibili a entrare in coalizione, si arriverebbe a 58, tre sotto la maggioranza necessaria -forse quattro, visto che si parla di un parlamentare di Yamina contrario all’intesa.
Una ‘governo del cambiamento‘, tenuto insieme dal solo obiettivo minimo di mandare a casa Benjamin Netanyahu, mettere una pietra tombale sui 12 anni di governo di Bibi.
L’annuncio potrebbe arrivare a ore, al momento, infatti, si starebbe trattando per la spartizione del potere. Tutto potrebbe ancora accadere in una scena così affollata e con tanti appetiti a cui dare un tozzo di potere e visibilità, ma Lapid sembra essere sulla buona strada.
In base al principio di rotazione concordato da Yamina e Yesh Atid, Bennett sarebbe primo ministro fino a settembre 2023, quindi passerebbe poi il testimone a Yair Lapid.
Posto che domani Lapid riesca recarsi dal Presidente Reuven Rivlin con la lista dei Ministri, sicuramente il suo sarà un ‘governo del cambiamento’ nel senso che avrà mandato a casa Netanyahu, -raggiungendo già il suo obiettivo minimo-, ben difficilmente sarà un ‘governo di cambiamento‘, o addirittura l’inizio di una ‘nuova era‘, e a certificarlo sarà il premier in persona, Naftali Bennett, delfino di Bibi e della stessa caratura politica del premier uscente, uomo della destra nazionalista più convintamente dura. E questo governo, se nascerà, nascerà per sua precisa volontà, e starà in piedi soltanto fin tanto che lui lo vorrà. Certo, in una coalizione così, tutte le forze politiche sono vitali, nel senso che venendo meno una crolla l’intero edificio, ma Bennet si sta imponendo come il muro maestro.
Sono in pochi a scommettere sulla durata e sulla capacità operativa di un tale governo. E’ considerato un governo decisamente fragile. Di programma in queste ore non si parla, se non per dire che almeno inizialmente non saranno affrontati i tempi più divisivi. Possibile, secondo alcuni osservatori, che le forze più accanitamente anti-Bibi riescano far approvare una legge che impedisca a qualsiasi politico accusato di reati di candidarsi alle elezioni, bloccando così l’eventuale ritorno in pista di Netanyahu -il quale probabilmente verrà privato della immunità parlamentare e dovrà affrontare il processo per corruzione come un normale cittadino. E tra i sostenitori di un tale provvedimento potrebbe esserci proprio Naftali Bennett.
Nato ad Haifa il 25 marzo 1972, da una coppia ebrea americana immigrata in Israele subito dopo la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, Bennett ha trascorso i suoi 49 anni tra business, forze armate, e in ultimo la politica.
Dopo aver vissuto parte della sua infanzia in Nord America, dove i suoi genitori erano in anno sabbatico, ha frequentato un liceo religioso ed è stato un leader di Bnei Akiva, un movimento giovanile ebraico sionista, poi ha servito nelle forze di difesa israeliane, nell’unità di commando delle forze speciali d’élite Sayeret Matkal e nell’unità delle forze speciali Maglan. Nel 1996, ha guidato un commando contro Hezbollah durante i combattimenti nel sud del Libano. In seguito è stato accusato dalla pubblicazione israeliana ‘Yedioth Ahronoth‘ di essere coinvolto nel massacro di Qana, in cui almeno 106 civili libanesi sono stati uccisi dal fuoco dell’artiglieria israeliana. Tra i feriti ci sono quattro caschi blu delle Nazioni Unite. Oltre 800 civili si erano rifugiati dai combattimenti in un complesso delle Nazioni Unite. Bennett è stato accusato di aver innescato una catena di eventi che ha portato al micidiale attacco di artiglieria, accusa che Bennett respinge.
Dopo il servizio militare, ha conseguito una laurea in giurisprudenza presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, mentre stava costruendo l’edificio della sua ricchezza. Nel 1999, infatti, fonda la società statunitense Cyota, il cui business era la prevenzione delle frodi online. La società è stata venduta nel 2005 per 145 milioni di dollari. In quegli anni ha anche ricoperto il ruolo di CEO di Soluto, un servizio di cloud computing israeliano, venduto nel 2013 per un valore di 100-130 milioni di dollari.
Lasciati gli affari, entra in politica con il marchio del politico più ricco di Israele, grazie all’affare Cyota, e dal 2006 al 2008 Bennett è capo dello staff di Benjamin Netanyahu. Nel 2010 è stato scelto come direttore generale del Consiglio Yesha, il principale movimento dei coloni in Cisgiordania, e ha lavorato contro il congelamento degli insediamenti.
Nell’aprile 2012, Bennett lascia il Likud e entra nel partito politico sionista ebraico ortodosso The Jewish Home. Nelle elezioni politiche del 2013, il partito vince 12 seggi, diventando così il quinto partito più grande. Nel marzo 2013, Bennett e Yair Lapid si uniscono a Netanyahu per formare un governo di coalizione. Bennett viene nominato Ministro dell’Economia e del Commercio. Nel 2015 viene poi nominato Ministro dell’Istruzione e Ministro di Gerusalemme e degli affari della diaspora.
Nel dicembre 2018, Bennett lascia The Jewish Home ed entra nella nuova formazione New Right, che nelle elezioni del 2019 non riesce ottenere seggi in Parlamento e a quel punto Netanyahu estromette dal governo Bennett. Alle elezioni del settembre 2019, però, il suo partito ottiene un buon risultato e si allea a Bibi, il quale nomina Bennet Ministro della Difesa.
Il partito Yamina di Bennett ottiene buoni risultati sia nelle elezioni del 2020 sia in quelle del 2021, e a quel punto Bennett lascia libero sfogo alla sua accredine contro Netanyahu e rifiuta l’offerta di entrare con Yamina nuovamente nell’Esecutivo di coalizione del premier uscente.
La sua decisione è alla base del fallimento di Netanyahu delle scorse settimane di formare un nuovo governo dopo la quarta tornata elettorale inconcludente.
Uomo che passa da un partito all’altro con grande facilità, di scarsa se non nulla fedeltà nei confronti di forze politiche, capace di tradimenti di alleati, a partire, appunto, dal suo mentore Netanyahu, ma molto stabile nel suo credo politico, quello dell’ultra-destra sionista, ‘alfiere della destra religiosa israeliana‘, come lo etichetta ‘Reuters‘, e strenuo sostenitore degli insediamenti ebraici e dei coloni. «Ex leader di Yesha, Bennett ha fatto dell’annessione di parti del territorio che Israele conquistò in una guerra del 1967 una delle caratteristiche principali della sua piattaforma politica».
Bennett è l’autore del ‘Piano Bennett‘ per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Bennett è contro la creazione di uno Stato palestinese, ha affermato che la creazione di uno Stato palestinese sarebbe un suicidio per Israele per ragioni di sicurezza. Il piano, molto criticato anche negli ambienti più moderati, punta all’annessione della maggior parte della Cisgiordania occupata e, tra il resto, prevede Gaza governata dall’Egitto.
La retorica incendiaria contro i palestinesi è un tratto ben conosciuto della sua biografia politica. Nel 2013, ha affermato che «i terroristi palestinesi dovrebbero essere uccisi, non rilasciati».
Ha sostenuto che la Cisgiordania non è sotto occupazione perché «non c’è mai stato uno Stato palestinese qui» e che il conflitto israelo-palestinese non può essere risolto, deve essere sopportato, come una «scheggia nelle natiche». Conservatore intransigente ed ex leader dei coloni una volta giurò che i palestinesi non avrebbero mai avuto uno Stato. «Giudea e Samaria è uno Stato ebraico da circa 3.300 anni, ben prima che i primi americani raggiungessero il nuovo continente americano. E resteremo qui per sempre».
Sostenitore della liberalizzazione dell’economia, considerato un ultra-liberale in alcuni ambienti, Bennett ha espresso il suo sostegno per il taglio della burocrazia e delle tasse governative. Come Netanyahu, è durissimo contro l’Iran.
A differenza di alcuni dei suoi ex alleati sulla destra religiosa, sostengono alcune fonti israeliane, Bennett è relativamente liberale su questioni come i diritti degli omosessuali e il rapporto tra religione e Stato.
La pandemia sembra aver offerto l’occasione a Bennett di smorzare la sua retorica di ultra-destra per concentrarsi invece sul contenimento del virus e il rafforzamento dell’economia. «Nei prossimi anni dobbiamo mettere da parte la politica e questioni come l’annessione o uno Stato palestinese e concentrarci sull’ottenere il controllo sulla pandemia di coronavirus, sulla guarigione dell’economia e sulla riparazione delle spaccature interne». Quasi un programma moderato.
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