Perché il lavoro non può essere condizionato al possesso del green pass
di DAVIDE MURA
Per evitare fraintendimenti e ambiguità, non intendo qui parlare del rapporto tra lavoro e obbligo vaccinale, questo perché l’obbligatorietà del vaccino in relazione al lavoro richiede valutazioni differenti, fermo restando che il sottoscritto è fermamente contrario all’obbligo vaccinale, soprattutto perché la profilassi obbligatoria non sembra trovare alcuna cittadinanza nella nostra carta fondamentale (nonostante ci sia chi riesca a farcela rientrare).
Il ragionamento che andrò a fare parte dal fatto che il vaccino contro il Covid oggi non è obbligatorio. Eppure, nonostante questo, il DL 111/21 (art. 1, che introduce l’art. 9-ter al DL 52/21 conv.) prevede che i docenti e il personale scolastico, per garantire la scuola in presenza, siano muniti di green pass per poter esercitare la propria attività lavorativa. Il documento è rilasciato solo per avvenuta vaccinazione ovvero a seguito di tampone negativo (da effettuarsi però ogni 48 ore).
Ebbene, in relazione a quanto detto sopra, tre sono le norme della Costituzione che voglio mettere in luce. L’art. 4, comma 1, e l’art. 35, comma 1 e 36. Vediamole:
Art. 4 – La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. […]
Art. 35 – La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. […]
Art. 36 – Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. […]
Come si può notare la nostra Repubblica riconosce il diritto al lavoro, che, proprio per la collocazione sistematica e il dovere della Repubblica di renderlo effettivo, è diritto fondamentalissimo (cfr. art. 1 e 3, comma 2, Cost.). Come tale, insuscettibile di essere compresso o condizionato o attenuato per altre finalità. Ciò significa che gli altri diritti costituzionali (ivi compreso il diritto alla salute) devono essere attuati, salvaguardando il diritto al lavoro.
La ragione è chiara: il lavoro è un’attività il cui scopo primario è permettere al cittadino di soddisfare le proprie esigenze di vita primarie. Cioè, lo scopo finale è permettere al cittadino di vivere una vita libera e dignitosa: senza libertà e dignità, del resto, non c’è nemmeno la salute. E non è certo un caso che questa finalità sia racchiusa nell’art. 36, nel quale viene stabilito che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, e comunque sufficiente per garantirgli una vita libera e dignitosa. Sicché, vita libera e dignitosa si assume come componente essenziale della retribuzione lavorativa, di guisa che proprio perché la retribuzione è elemento essenziale della prestazione lavorativa, la libertà e la dignità del lavoratore sono finalità che solo il lavoro (adeguatamente retribuito) può offrire.
Impedire a una persona di esercitare liberamente la propria attività lavorativa o condizionare questa attività al possesso di un “lasciapassare”, in virtù di una profilassi sanitaria (peraltro non obbligatoria per legge), significa violare la nostra Costituzione, perché si impedisce al lavoratore di vivere una vita libera e dignitosa, in quanto gli viene negato l’unico strumento per sostenersi e dunque per perseguirla. A maggior ragione, poi, se egli avesse una famiglia da mantenere. In questo caso, la vita libera e dignitosa sarebbe negata non solo la lavoratore, ma anche ai suoi famigliari stretti, magari di cui alcuni minori.
Peraltro, come detto nel mio precedente articolo, non salva certo la situazione l’alternativa del tampone ogni 48 ore, questo perché la difficoltà nel farlo ogni due giorni, i rischi per la salute psicofisica legati a questa pratica invasiva (se fatta frequentemente), rendono lo strumento una falsa alternativa che, anzi, è mirata a fare pressione sul lavoratore, affinché, per sfinimento, si sottoponga alla profilassi vaccinale che, per libera scelta, non intendeva affrontare.
Per concludere, il diritto al lavoro è un diritto fondamentalissimo, finalizzato a garantire al cittadino lavoratore una vita libera e dignitosa, che per giunta è diritto umano inviolabile, che la Repubblica è tenuta a riconoscere e garantire (v. art. 2 Cost.). Qualsiasi norma che miri a tutelare la salute individuale e collettiva deve sempre essere prevista e attuata fermo restando l’intangibilità di questo diritto e il suo libero esercizio. Lo Stato non può, dunque, imporre l’obbligo di possedere un documento di attestata vaccinazione o un attestato di negatività al tampone (che per come è offerto, forza palesemente l’interessato a sottoporsi alla profilassi di vaccinazione), in difetto del quale viene negato il libero esercizio del diritto al lavoro. Soprattutto qualora la vaccinazione non sia prevista come obbligatoria dalla legge (e in questo caso, sottolineo, esistono mille altre ragioni costituzionali per considerare quest’ultima ipotesi fuori da ogni argine costituzionale). Sicché, per quanto mi riguarda, il DL 111/21 risulta essere palesemente incostituzionale per contrasto con gli artt. 4, 32, 35, 36, 2 e 3 Cost. Affermare il contrario, è più una questione di partigianeria politica che un’obiettiva valutazione giuridica-costituzionale.
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