Il cortocircuito tra Nato e Difesa europea
da TERMOMETRO GEOPOLITICO
(Alberto Negri)
Tra la Nato e i grandi discorsi che si fanno sulla necessità di una Difesa europea si è innescato una sorta di cortocircuito. Non si capisce cosa debba servire l’una e cosa dovrebbe fare l’altra. Inoltre gli accordi militari tra Francia e Grecia sottolineano un’altra grave contraddizione all’interno del campo occidentale: sono in funzione anti-turca, cioè contro un altro membro della Nato. La situazione è assai confusa perché abbiamo un’idea contrastante su chi sono gli amici e i nemici.
Le parole pronunciate da Mario Draghi al vertice europeo di martedì sui Balcani in Slovenia meritano davvero un approfondimento. Tanto più che Angela Merkel nel suo addio a Roma ha di fatto consegnato a Draghi le chiavi dell’Unione europea come “il difensore dell’euro”, senza dimenticare di ricordargli la ferita aperta della crisi europea in Libia.
“Il ritiro dall’Afghanistan per il modo in cui è stato deciso _ ha dichiarato Draghi in Slovenia _ comunicato ed eseguito, il cambio di intenzioni che ha riguardato il contratto tra l’Australia e la Francia sono due messaggi molto chiari che dicono che la Nato sembra meno interessata dal punto di vista geopolitico all’Europa e alle zone di interesse dell’Europa e ha spostato le aree di interesse ad altre parti del mondo”. In sintesi, il disastro afghano e il patto transatlantico Aukus _ una sorta di premio all’”anglosfera” e alla Brexit _ mostrano la svolta degli Stati Uniti e insieme proporrebbero un riarmo perché come ha fatto intendere lo stesso Draghi “chi ci doveva difendere non ci difende più”.
Si apre così il dibattito sulla nuova Difesa europea “indipendente”, ma sempre dentro la Nato. Siamo al contorsionismo perché ci si chiede quanto ci costa già la Nato, quanto sarà il nostro impegno, nella strategia rischiosa dell’allargamento ad Est di basi, sistemi d’arma e militari; e soprattutto da chi ci dobbiamo difendere. Ma davvero la Russia di Putin rappresenta un pericolo militare che insidia i nostri confini e la nostra sicurezza? Si porta ad esempio l’annessione di Mosca della “russa” Crimea ma non si può ignorare che quella fu una risposta alla crisi ucraina, ambigua e tutt’altro che democratica, alimentata proprio dagli Usa, dall’Ue e dalla Nato stessa. L’Unione europea non può far finta di non accorgersi che il proliferare di basi americane e atlantiche in tutti i Paesi dell’Est-Europa ha costruito un’area più fedele al complesso militare industriale di Washington che alle istituzioni di Bruxelles. In questa ottica la Nato e un’ipotetica Difesa europea appaiono più concorrenti che alleati.
Non solo. Si delineano conflitti economici non irrilevanti. La Ue è fortemente interessata a un rapporto con la Cina, il nuovo nemico degli Usa, e alle forniture strategiche di energia rappresentate dalla Russia, fortemente osteggiate dagli Usa: basti pensare alla lunga opposizione americana alla realizzazione del gasdotto Nord Stream 2 tra Berlino e Mosca.
La nuova Difesa europea dentro la Nato cara ci costerebbe. Già spendiamo 26 miliardi annui, ai quali si aggiungono gli stanziamenti per il ministero dello Sviluppo economico, che a tale scopo dispone di un fondo di 30 miliardi, cui se ne vogliono aggiungere altri 25 richiesti dal Recovery Fund e secondo gli impegni presi dalla Nato la spesa militare italiana dovrà salire a circa 36 miliardi annui. Ma soprattutto emerge il conflitto, sul quale è tornata in visita a Washington, proprio la presidente della Commissione europea Ursula von del Leyen: ha infatti criticato i Paesi europei che spingono per rafforzare la Difesa europea perché la nascita di “strutture concorrenti” indebolirebbe la Nato.
Senza dimenticare il nodo dell’atomica francese e il fatto che su molti fronti, compreso quello del conflitto che oppone nell’Egeo Grecia e Turchia, paesi decisivi come Francia e Germania sono due fronti opposti per la fornitura di nuovi sistemi d’arma; per non parlare del ruolo antagonista della Francia in Libia e delle sue nuove avventure militari nel Sahel alle quali ci siamo accodati perché lì sarebbe la frontiera dell’Europa, dove fermare la marea montante delle migrazioni.
Emblematico delle contraddizioni europee è proprio il patto militare tra Parigi e Atene, voluto fortemente sia dal premier greco Mitsotakis sia dal presidente Macron per esigenze diverse ma convergenti. Atene voleva mostrare alla Turchia di avere alle spalle un alleato forte, pronto a intervenire in sua difesa in caso di grave “interferenze” di Ankara nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale. Parigi aveva la necessità di piazzare un colpo di mercato da tre miliardi di euro per coprire almeno in parte la perdita del contratto con l’Australia per i sottomarini, naufragato per colpa di Aukus. E lo ha fatto vendendo tre fregate alla Marina ellenica, battendo così anche la concorrenza di Fincantieri.
Ma quello che conta è il segnale politico di una sinergia, quella con la Grecia, che a questo punto si sta cementando in qualcosa di molto simile a un’alleanza strategica che corre in parallelo rispetto alle organizzazioni di cui fanno parte entrambi i Paesi, e cioè Nato e Unione europea. Oltre al rafforzamento della flotta ellenica, è stata inserita una clausola di mutuo soccorso per la tutela della Grecia. Nell’accordo è prevista una garanzia di intervento in caso di attacchi da parte di Paesi terzi anche se parte di alleanze in cui sono coinvolte Atene e Parigi come la Nato. Un modo per non dire “Turchia”, che a questo punto diventa il vero avversario di un’alleanza franco-ellenica che vuole incidere sul Mediterraneo orientale. Ecco perché quando si parla di Nato e di Difesa europea il cortocircuito è sempre in agguato.
FONTE: https://www.facebook.com/alberto.negri.9469/posts/1792609257590633/
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