Due fatti e un conto
di La Fionda (Andrea Romani)
Il 15 ottobre segnerà un nuovo punto di svolta nel triste calendario della stupidità. Con l’avvio delle misure previste dal cd. decreto Green pass, infatti, l’Italia sarà l’unico paese al mondo a prevedere un certificato di questo tipo per entrare in ufficio e in fabbrica. Degno punto di arrivo di una classe dirigente indegna, accecata dalla sua cupidigia di servire e di rincorrere le ideologie più aberranti, il certificato verde rappresenta l’ultimo e più grave attacco alla dignità dei lavoratori. In tal senso, le manifestazioni di popolo delle ultime settimane, insieme alle mobilitazioni operaie di Firenze e di Trieste, confortano chi ancora non vuole rassegnarsi a calare la testa: all’offensiva reazionaria pare finalmente intravedersi una risposta, ancora spontanea e disorganica, ma di certo genuina, diretta espressione delle masse subalterne.
Per chi ancora crede alla legalità costituzionale in senso sostanziale, quindi lavoristico, la risposta operaia non può che rappresentare una giornata di sole in un oscuro inverno che dura ormai da vent’anni. La realtà pratica anticipa e forma la teoria, portando nelle strade la risposta migliore all’asservimento sanitario. A mio parere, vi sono due elementi centrali: la formazione di un fronte del dissenso in grado di riempire Roma e le principali città italiane ogni sabato, a cui s’aggiunge il risveglio operaio a Firenze e Trieste. Per un paese che ha attraversato due decenni di declino senza mai organizzare uno straccio di manifestazione “contro”, tutto ciò appare notevole, spia di un malcontento diffuso ormai a tutti i livelli.
Il cittadino che dice No
La mobilitazione di un individuo in quanto cittadino assume connotati e modi assai diversi da quelli tipici dell’organizzazione operaia. Infatti, le fonti della lotta non derivano direttamente dal luogo di lavoro: non è una questione sindacale a farlo scendere in piazza. Il fattore derivante è dunque ideologico, nel senso di una presa di posizione su un elemento preciso della sua realtà quotidiana. Nel caso in discorso, possiamo sintetizzare nella discriminazione introdotta dal certificato verde il quid decisivo: vedere nella realtà quotidiana il formarsi di due gruppi sociali, cittadini di serie A e di serie B, insieme ai problemi di tipo economico – il costo dei tamponi – e psicologico – lo stress del tampone, l’organizzarsi in base alle limitazioni – porta il cittadino che dice no a un punto di svolta della propria esistenza. Dal diniego del vaccino, scelta autonoma e perciò decisamente personale, si passa al rifiuto dell’intero modo di governare attraverso l’emergenza sanitaria. Con i social la ricerca di altri “dissidenti” appare agevole e confortante: non si è soli nel “dire no”. Dopo aver taciuto per anni di fronte alla compressione dei diritti sociali, la tensione derivante dalla questione biopolitica è tale da portare l’inerme piccolo borghese alla mobilitazione, che assume naturalmente le vesti tipiche di una società atomizzata e ormai in larga parte esistente solo sul virtuale. Qui sta il punto nuovo: il movimento circolare del web esce dai pixel e corre nella realtà, tra i sampietrini e le bandiere, spostando infine dal divano al corteo decine di migliaia di pacifici italiani che dicono di no. Con tutte le tare di uno spontaneismo non organizzato, assistiamo comunque a un fatto di massa, come non si vedeva in Italia da decenni. Che ciò derivi da classi sociali di tradizione moderata, è un dato che conta veramente poco: l’importante, ad oggi, è il movimento, il riunirsi, il vedersi in carne e ossa e discutere, parlando e parlandosi, riconquistando lo spazio fondamentale della democrazia, la piazza.
Individuo e massa nella coscienza operaia
L’elemento più interessante della realtà italiana attuale consiste, come anticipato, nella coesistenza di due fenomeni vicini ma non sovrapponibili: la risposta delle piazze e, insieme, la mobilitazione operaia. La lotta dei lavoratori della GKN di Firenze ha rappresentato l’avvio di una nuova fase della risposta allo strapotere padronale, rappresentato dalla summa della porcilaia capitalistica, la finanza cosmopolita. Da lì il tema del greenpass si è innestato nel quadro generale di una nuova, germinale coscienza di classe, dettata dalle condizioni ormai drammatiche del lavoro in Italia: il dominio del padrone non si ferma più ai modi e ai tempi dello sfruttamento, ma si porta fino a dentro il corpo, imponendo – attraverso la subdola ipocrisia dell’obbligo non obbligato – trattamenti sanitari la cui scelta, date alcune premesse, deve competere solo all’individuo. Che l’uso strumentale dell’emergenza sanitaria ponesse oggettivamente in discussione gli ultimi diaframmi di democrazia formale, era un’ovvietà che solo certa compagneria poteva non cogliere: dal marzo 2020 abbiamo assistito a innumerevoli manovre di palazzo, tese a costruire governi conformi ai diktat europei, fino all’assurdo di dare carta bianca a un ex banchiere centrale, responsabile ex multis della svendita delle partecipazioni statali e del disastro della moneta unica. Per fortuna, nella cenere della deindustrializzazione covava ancora qualche barlume di rabbia proletaria. Lo sciopero generale del sindacalismo di base ha dimostrato il radicamento degli unici veri sindacati italiani tra i lavoratori della logistica e dei trasporti, spina dorsale di un nuovo movimento operaio che ha intuito le potenzialità del proprio ruolo: bloccando le merci si inceppa il processo capitalistico, si svuotano gli scaffali, si blocca la circolazione. A brigante, brigante e mezzo. Ecco allora delinearsi la grande battaglia dei portuali di Trieste, compagni che lottano non per il tampone gratuito – prontamente concesso dai padroni preoccupati – bensì per la dignità di tutti i lavoratori, per uno scontro che si risolverà soltanto attraverso l’abolizione del green-pass. Quale elemento determina un simile atteggiamento? La coscienza di classe.
Ecco l’elemento nuovo e formidabile degli ultimi giorni. L’unità dei portuali rappresenta una forza determinante, insieme alla consapevolezza che un blocco prolungato degli scali significherebbe un sostanziale tilt di tutta la struttura economica italiana. È un rischio che i padroni e i loro servi sono disposti a correre? Ancora più pericoloso – e per noi assai auspicabile – consisterebbe nella progressiva espansione del movimento triestino verso tutti i settori del lavoro, con lo stesso spirito e la stessa combattività, senza intermediari prezzolati e intimoriti. Centralità del lavoratore, azione diretta e unitaria: con queste armi il padronato può finalmente tornare ad avere paura.
Che fare?
Tutte le forze che guardano con orrore alla realtà contemporanea e vorrebbero superarla in senso socialista, e perciò rivoluzionario, non possono non salutare con commozione le lotte degli operai e la mobilitazione delle piazze. A un tempo, sarebbe ora di abbandonare la teoria e passare proficuamente ai fatti: inserirsi nei movimenti, dialogare, elaborare una linea e seguirla con costanza e coerenza, nel progetto complessivo di una riunione delle forze socialiste, diretta espressione delle masse lavoratrici e popolari. Sul green-pass si gioca una battaglia decisiva, per molti l’ultimo appuntamento della democrazia in Italia prima della barbarie definitiva. Appare dunque necessario mantenere la calma, individuare e denunciare ogni provocazione e ogni infiltrazione, senza cadere nel trito gioco del pericolo fascista, ribadendo ancora una volta che la democrazia si sviluppa e vive nello scontro dialettico, giammai nella repressione. Isolare i provocatori significa anche alleggerirsi dai detriti che rallentano la marcia: a chi predica bene e razzola male, ponendosi accanto a Draghi e Bonomi, spetta un posto opposto al nostro, poiché la legalità costituzionale non potrà mai applicarsi attraverso un principio di discriminazione e offesa del mondo del lavoro.
Il posto di ogni democratico è dunque con i compagni di Trieste, con i lavoratori e gli studenti, i precari e i disoccupati, con l’Italia che non si rassegna alla schiavitù e lotta coraggiosamente per la conquista della propria dignità.
Fonte: https://www.lafionda.org/2021/10/15/due-fatti-e-un-conto/
Le lotte, si possono fare in mille modi… nel passato con l’occupazione nazista, si sono fatte operazioni molto interessanti.