Questioni sulla legittimità costituzionale dell’invio delle armi in Ucraina
di LA FIONDA (Filippo Maria Daniele)
I decreti legge n. 14 e 16 del 2022[1], con cui il Governo italiano ha autorizzato la cessione all’Ucraina di “mezzi e materiali di equipaggiamento militari”, hanno sollevato, tra gli esperti di diritto, diverse questioni giuridiche concernenti profili di legittimità costituzionale. In particolare, gli aspetti critici di tali disposizioni normative riguardano il mancato rispetto dell’Art. 11 della Costituzione, la mancata osservanza delle procedure previste dall’Art. 78 della Costituzione, nonché la totale esautorazione del ruolo del Parlamento al cospetto dell’assunzione di una posizione politica di tale rilevanza.
L’Art. 11 della nostra Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Con il riferimento al “ripudio della guerra come mezzo di offesa alla libertà degli altri popoli”, i Costituenti hanno voluto stigmatizzare e condannare quel concetto di guerra aggressiva che aveva segnato, in maniera indelebile, la storia della nascitura Repubblica[2].
L’utilizzo del termine “ripudiare”, non è casuale; esso rappresenta il frutto di una precisa e consapevole scelta da parte dei Costituenti. La guerra, infatti, non costituisce soltanto uno strumento in primis da evitare, e quindi da condannare, ma addirittura da “ripudiare”; la guerra come mezzo di offesa non può mai essere giustificata, non può essere in alcun modo presa in considerazione[3].
Il divieto di una “guerra di aggressione” rientra nel più generale principio del “ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”[4]. La Costituzione impone dunque al nostro Paese di ripudiare la guerra e di adoperarsi, contestualmente, per la pace. Ciò significa che “davanti ad una crisi bellica, sul piano internazionale, l’Italia deve tenere fede all’imperativo etico e giuridico del ripudio della guerra sancito, nella propria Costituzione, tra i principi supremi. E allo stesso tempo deve ritagliarsi un ruolo da protagonista nell’azione diplomatica, attivando politiche pacifiste, favorendo, sul piano internazionale, i processi di distensione”[5]. A questo punto, occorre chiedersi se l’Italia debba essere considerata alla stregua di un Paese pacifista nel senso più radicale del termine, e debba pertanto assumere, a fronte di qualunque scenario bellico, un atteggiamento “ghandiano”.
A dire il vero, l’Art. 11 della Costituzione non esclude tout court la partecipazione dell’Italia alla guerra. È infatti previsto, all’Art. 78 della Costituzione, l’istituto della deliberazione dello “stato di guerra”. Occorre dunque riflettere su quale sia la guerra che il nostro ordinamento considera ammissibile o, almeno, giustificabile.
L’Art. 52 della Costituzione, per cui “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, sembra aprire lo spazio per una guerra, ma di tipo difensivo.
L’unica guerra che sembrava giustificabile, agli occhi dei Costituenti, era quella che avrebbe visto il nostro Paese obbligato a difendersi da un’aggressione diretta[6].
Secondo un’interpretazione sistematica, nonché storica, dell’Art. 11, dunque, la nostra Carta costituzionale proibisce non soltanto la partecipazione dell’Italia a guerre di natura offensiva, ma anche qualsiasi atteggiamento del nostro Paese che possa essere riconducibile ad una strategia bellica, tra cui l’assistenza a Stati che conducano ostilità. Occorre precisare che il concetto di “assistenza” si estende, oltre che ad un impiego delle forze armate sul campo, anche a forme di supporto tecnologico, alla consulenza sulle operazioni militari, nonché alla fornitura di armi[7].
In questo senso, pertanto, l’Art. 52 della Costituzione esclude categoricamente qualunque guerra che non sia quella di “difesa della propria Patria”.
Da tale divieto discende perciò che non è consentito partecipare ad una “guerra difensiva degli altri”, come sta accadendo per l’Ucraina[8].
Di questo avviso è il costituzionalista Michele Ainis, secondo il quale “se adottiamo il punto di vista dei costituenti del ’47, non c’è dubbio che avrebbero fortemente dissentito con una co-belligeranza, anche se questa si traduce, come accade oggi, con l’invio di armi e non di eserciti. Questo è pacifico. Se andiamo a guardare i manuali di Diritto costituzionale del primo Dopoguerra, è chiaro che l’unica guerra ammissibile è quella difensiva rispetto alla nostra integrità territoriale”[9].
Questioni complesse sorgono anche relativamente alla cd. “disciplina della neutralità”[10]. Con essa si fa riferimento a quell’insieme di norme del diritto internazionale che, durante un conflitto armato, regolano i rapporti tra Stati belligeranti e Stati non coinvolti nel conflitto.
Secondo la tradizione, dallo “status di neutralità” derivano obblighi di astensione, ossia di non impegnarsi nel conflitto armato, e di imparzialità, ossia di trattare in modo uguale le parti del conflitto.
A questo punto, occorre chiedersi se l’invio di armi in Ucraina rappresenti una violazione degli obblighi in materia di neutralità. In particolare, ci si può domandare se, e in quale misura, uno Stato non coinvolto nel conflitto possa assumere comportamenti non neutrali nei confronti di Stati che abbiano invece di fatto violato la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale generale, essendo ricorsi alla forza delle armi. Secondo Michael Bothe, Professore di diritto pubblico all’Università Goethe di Francoforte, una violazione degli obblighi di neutralità, seppur motivata dalla volontà di prestare soccorso ad uno Stato aggredito, non si potrebbe giustificare “neppure sulla base di un diritto alla legittima difesa collettiva”[11].
Ad avviso del Professore, “qualsiasi sostegno a una parte in conflitto costituisce una violazione della legge di neutralità, che giustifica l’adozione di contromisure”[12]. Pertanto, secondo Bothe[13], non rileva se lo Stato sostenuto sia stato vittima di un attacco illegittimo poiché, secondo il principio di uguaglianza delle parti in conflitto, la causa o la liceità dell’attacco è irrilevante; va piuttosto operata una netta distinzione tra jus ad bellum, all’interno del quale rientra il diritto di legittima difesa collettiva e jus in bello, che concerne le norme sulla neutralità. Nella dottrina americana, a tal proposito, è stata utilizzata l’espressione “dragging into the war”[14]. Con tale espressione si allude a quel complesso di procedure e di atteggiamenti, all’apparenza equivoci, con cui uno Stato sia avvia ad entrare in un conflitto.
Ma vi è di più. Il supporto militare fornito all’Ucraina da parte del nostro Paese non sembra giustificabile nemmeno alla luce di un presunto esercizio di “legittima difesa collettiva”. Anzitutto, infatti, non risulta che alcuno Stato, compresa l’Italia, abbia invocato la legittima difesa collettiva quale motivazione dell’invio delle armi in Ucraina[15]. Inoltre, la fornitura di equipaggiamenti militari a favore di un esercito regolare, che combatta esclusivamente all’interno del territorio del proprio Stato, deve essere considerata, semmai, come un supporto all’esercizio della legittima difesa individuale da parte dell’Ucraina[16]. Inoltre, nel caso della guerra in Ucraina, non sussiste alcun obbligo derivante da un accordo internazionale, non essendo il Paese aggredito un membro dell’alleanza Nato.
I decreti con cui il Governo ha autorizzato l’invio delle armi all’Ucraina non sono giustificabili nemmeno in relazione alla seconda parte dell’Art. 11 della Costituzione, secondo cui la Repubblica “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Infatti, l’Art. 11 non giustifica qualunque limitazione alla sovranità della Repubblica, non trattandosi di una “delega in bianco” a favore del diritto internazionale.
Tutt’al più, il nostro ordinamento finalizza “cessioni di sovranità” a organizzazioni che si prefiggono come scopo preciso “la pace e la giustizia fra le nazioni”[17].
Ciò significa che eventuali conflitti non potranno mai essere risolti attraverso lo strumento della guerra, proprio perché la nostra Repubblica “ripudia tale mezzo come risoluzione dei conflitti internazionali”. Questo comporta che l’“apertura” della Carta costituzionale al diritto internazionale non può condurre al rovesciamento totale delle fonti del diritto, con relativa paralisi e svuotamento del diritto costituzionale[18].
Secondo una complessiva interpretazione letterale, storica, e sistematica dell’articolo 11 della Costituzione, dunque, si giunge al risultato dell’illegittimità costituzionale della cessione di armamenti all’Ucraina; la chiara intenzione dei padri Costituenti era quella di tenere il nostro Paese lontano da sciagurate e sanguinose guerre di aggressione; tale volontà risulta oggi chiaramente non rispettata.
Da ultimo, risulta piuttosto evidente l’esautorazione del ruolo del Parlamento a fronte di scelte politiche di tale portata. Così come avvenuto durante l’emergenza pandemica, anche in tale occasione si assiste ad un profondo svuotamento della centralità delle istituzioni democratiche. Infatti, per poter procedere all’autorizzazione dell’invio delle armi in Ucraina, il Governo ha dovuto ricorrere, ancora una volta, all’emergenza ed alla decretazione d’urgenza, financo a derogare le leggi vigenti[19]. Di fatto non si conoscono il tipo di armi inviate, la loro natura e nemmeno le modalità che sono state seguite per la loro fornitura.
È evidente che il Parlamento non ha esercitato la funzione di controllo che gli spetta[20].
Come sostenuto anche dalla costituzionalista Roberta Calvano[21], il dibattito parlamentare è stato intenzionalmente evitato, e non si comprende perché “l’Italia debba applicare principi diversi che ci allontanano dalle democrazie parlamentari”[22]. L’invio delle armi, di cui peraltro, appunto, non si conosce neppure la concreta portata offensiva, “dovrebbe essere l’extrema ratio e ridotto al minimo indispensabile in attesa della soluzione diplomatica. Se non si assiste ad un tentativo di soluzione diplomatica, e si incrementa un invio di armi, questo margine di compatibilità costituzionale si assottiglia sempre di più. Abbandonare la via diplomatica andrebbe di fatto contro la Costituzione”, prosegue la costituzionalista[23].
Alla luce della politica che il nostro Paese sta perseguendo nell’affrontare il conflitto russo-ucraino, è opportuno ammettere che si sta assistendo impotenti all’abbandono del diritto, nell’ottica kelseniana[24], come strumento di soluzione delle controversie internazionali.
[1] https://temi.camera.it/leg18/temi/disposizioni-urgenti-sulla-crisi-in-ucraina-d-l-n-14-2022.html
[2] In particolare, si segnala l’intervento del socialista Paolo Treves il quale, nel corso dei dibattiti costituenti, affermava che nell’articolo dedicato al ripudio della guerra da parte della Repubblica, “vorremmo che fosse codificato che la guerra non deve essere strumento di risoluzione dei conflitti internazionali, un principio che veramente risponde a quella che è l’essenza della nostra democrazia” e che “oltre il diritto, sembra che debba esistere anche la moralità internazionale: un principio che vorremmo vedere nettamente affermato nella Carta costituzionale della Repubblica italiana”;
[3] Così Allegretti, secondo il quale “le risoluzioni guerresche di organizzazioni internazionali non possono essere riconosciute dall’ordinamento internazionale, altrimenti il ripudio della guerra non è preso veramente sul serio”. Sul punto, per approfondimenti, si veda, sempre di Allegretti, l’articolo del 1991 (Guerra del Golfo e Costituzione, in Foro it., 1991, V, 382-413);
[4] Nell’autorevole commentario all’Art. 11 della Costituzione, Antonio Cassese precisa che per controversie internazionali si intendono “tanto le controversie giuridiche quanto quelle politiche” (Cassese, Art. 11, in Branca-Pizzorusso, p. 575);
[5] Così Claudio De Fiores, Professore Ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, intervista a “Fatto Quotidiano”, 30 aprile 2022;
[6] Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (https://www.nascitacostituzione.it).
[7] Tra gli altri, Ferrari, voce Guerra (Stato di), in Enc. Dir., XIX, p. 831);
[8] Si segnalano alcune voci in dottrina che hanno sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale di alcuni trattati internazionali sottoscritti dall’Italia nelle parti in cui prevedono l’entrata in guerra del Paese in ipotesi diverse da quelle di una guerra difensiva all’interno del territorio nazionale (ad. es. l’Art. 5 del Trattato Transatlantico, o l’Art. 51 della Carta Onu). Sul punto, Bettinelli in Branca-Pizzorusso, p. 93).
[9] Intervista a “La verità”, del 9 maggio 2022, p. 7;
[10] Alla neutralità sono dedicate la V e la XIII Convenzione dell’Aia del 1907; si ritiene che tali norme assurgano a ruolo di diritto internazionale consuetudinario
[11] in Fleck, Handbook of International Humanitarian Law, 4a ed. 2021 , pp. 603-4). Altrove ( MPEPIL , 2015, par. 36);
[12] in Fleck, op.cit. Bothe menziona specificamente le consegne di armi come supporto inammissibile (vedi anche Art. 6 Aia “Convenzione (XIII) relativa ai diritti e ai doveri dei poteri neutrali nella guerra navale, 18.10.1907);
[13] in Fleck, loc.cit., p. 612;
[14] A titolo esemplificativo, The AP Interview: Belarus admits Russia’s war ‘drags on’ By Ian Phillips, May 5, 2022;
[15] Infatti la Nato avrebbe qualificato come difesa collettiva soltanto le misure di deterrenza poste in essere nel territorio dei propri membri in seguito all’invasione da parte della Russia;
[16] Sul punto, v.Castellarin;
[17] Fra gli altri, Allegretti U., Guerra del Golfo e Costituzione, in Foro it., 1991, V, 382-413;
[18] Sul punto si richiama la giurisprudenza costituzionale circa la “teoria del controlimiti”, nonché la sentenza n. 238 del 2014;
[19] Così Claudio De Fiores, intervista a “Fatto Quotidiano” 30 aprile 2022, cit.;
[20] Di questo avviso anche il costituzionalista Michele Ainis il quale, nell’ Intervista a “La verità”, del 9 maggio 2022, p. 7, sostiene che ormai il Parlamento sia stato relegato ad un ruolo meramente passivo e viene coinvolto solo episodicamente, a fronte di scenari che mutano anche rapidamente;
[21] Professoressa ordinaria di Diritto costituzionale all’Unitelma Sapienza, intervista a “Fatto Quotidiano”, 30 aprile 2022;
[22] Basti fare l’esempio della Germania o di altri Paesi europei, in cui il dibattito sull’invio delle armi avviene nella massima trasparenza e democraticità;
[23] intervista a “Fatto Quotidiano”, cit.;
[24] Kelsen H., Das problem der souveränität und die theorie des völkerrechts” (“Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale”).
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