In questi giorni, sto molto riflettendo (non lo negherò: in prospettiva del voto) sulle società del passato.
Abbiamo inventato il termine “società aperta” per contrapporci alle “società chiuse”. Per antonomasia, le società aperte sono quelle che sposano: liberalismo, mercato, identità liquide. Mentre le società chiuse sono tutte quelle che vogliono valori, stato/società, identità forti.
Pensando alle società del passato, ci si rende facilmente conto di come quelle più attive negli incontri e negli scambi (sul mio profilo Facebook di recente ho parlato di Asia Centrale, Insulindia e Oceano Indiano) fossero quelle più tolleranti, più creative, di cui oggi conserviamo romanzi, spettacoli, idee.
La cosa che, però, mi ha colpito proprio parlando e sviluppando (assieme a voi) questi pensieri è che l’Oceano Indiano era caratterizzato per una pluralità di identità, etnie, popoli, religioni che si incontravano senza mai fondersi completamente. Le città di Giava, Sumatra, della costa indiana o dell’Oman, potevano ospitare quartieri ed empori cinesi, arabi, ebraici, cristiani, indiani, di Zanzibar, malgasci, persino giapponesi fino ad una certa età, senza che questi perdessero mai completamente la loro identità.
La diaspora cinese è al riguardo emblematica: la cultura e la lingua cinese furono conservate attraverso decenni e secoli senza mai venir cancellata. Queste società hanno generato porti ricchissimi (o forse lo fecero le spezie, l’avorio, l’incenso e la seta), quartieri colorati, città tolleranti, popoli multi-lingue con tradizioni complesse e variegate. Spesso dalla somma delle parti emerse qualcosa di nuovo senza che questo cancellasse la specificità del precedente.
Per il futuro, questo potrebbe essere un modello interessante e da tenere più in considerazione. Un’integrazione più simile all’Oceano Indiano e alla Via della Seta medievale che alla periferia di New York.
Il modello americano di tolleranza inizia con il massacro degli indiani e prosegue con la storia edipica del “siamo tutti uguali, anche nella colpa, perché tutti abbiamo degli schiavi”. Basta contrapporre il Nord abolizionista e il Sud schiavista: il Nord non sarebbe mai diventato ricco ed industriale, quindi abolizionista, senza un cinquantennio di esportazioni di cotone e tabacco del Sud schiavista.
Il modello liberale di integrazione e società multiculturale cancella identità specifiche a vantaggio di una (presunta) modernità che, in realtà, serve solo gli interessi di una grande forza: il mercato. Quindi, la società aperta (come la pensiamo) è in realtà una società piatta, la società chiusa (e credo proprio che secondo gli standard vigenti Sumatra nel 1300 ci rientrerebbe) è una realtà più complessa, che include modelli sociali molto variegati: dalle repubbliche marinare ai BRICS, dallo teocrazia militare Cruzob all’Impero Ottomano, dalla Russia degli zar all’URSS.
Riprendendo la riflessione pasoliniana su Sabaudia e la sua struttura architettonica, mi chiedo ancora oggi se il vero fascismo non sia quello della società dei consumi e la sua capacità di distruzione. Il documentario “Io e la città” (che trovate a pezzi su YouTube), parte dalla descrizione di Sana’a per poi parlare di come la modernità socialista/capitalista sta (stava) impattando sulle città di tutto il mondo.
E qui si arriva al vero significato di modernità (che storicamente facciamo partire dal 1492 in Europa). Quali caratteristiche ha la modernità? L’omologazione del potere, delle coscienze, la nascita di una società della sorveglianza e dell’auto-sorveglianza.
Tra ‘500 e ‘600 la diversità umana viene ridotta, le chieste protestanti creano il mito del cristiano laborioso che si suda il denaro col lavoro, l’America precolombiana viene cancellata, la schiavitù diventa un fenomeno enorme, la chiesa cattolica omologa ogni sua manifestazione dai canti alle preghiere. La religione in Europa (motivo per cui ci saranno decine di guerre di religione e l’Evo moderno sarà il vero evo della caccia alla streghe e dei pogrom) diventerà la palestra generale con cui gli Stati militarizzeranno la popolazione (senso del dovere, controllo sessuale, controllo sulla masturbazione, psichiatria, caccia alle streghe, nascita del paradigma biomedico, ecc). La rivoluzione francese rappresenta la laicizzazione di un processo iniziato secoli prima.
Il paradigma cambia con il 1968.
Si è passati da un dogma del controllo a un dogma della libertà atomistica. L’imperativo del godimento individuale passa sopra tutto e distrugge ogni legame (“la mia vita vale di più” dicono le persone riguardo alla religione, alla politica, i genitori dei figli, gli sposi gli uni degli altri, i figli dei genitori, gli amici tra di loro). Senza capire bene come la società aperta è diventata una società della slealtà, in cui le persone, nel tentativo di esistere godendo (l’unico modo che conoscono), finiscono per ripetere continuativamente gesti che negano l’umanità dell’Altro, lo reificano al massimo livello (e le fantasie sessuali più comuni lo dimostrano).
Il paradigma della società odierna è la paura della vecchiaia, che un tempo era saggezza (ora è rincoglionimento); la paura dei legami, che un tempo erano stabilità (oggi sono prigioni e noia). Persino, la paura di fare per tutta la vita lo stesso lavoro (W il precariato) “perché sai che noia?”, meglio fare gli schiavi di un capetto diverso ogni sei mesi e farci raccontare che i poveri imprenditori devono pagare tante tasse e noi vogliamo anche il reddito di cittadinanza!
Poveri imprenditori: altro grande mito dei tempi moderni: poveri imprenditori, che pagano anche le tasse per aiutare i disoccupati e i poveri, regaliamogli un mese a Bali o a Santo Domingo così possono svagarsi!
Alle elezioni andrò a votare e non sceglierò tra una società aperta o chiusa, ma tra una società piatta e una profonda; voterò per la profondità e per la pluralità. Quella vera, che riconosce identità e diversità e non per una pluralità di facciata.
FONTE: https://giubberosse.news/2022/08/03/del-voto-utile-e-del-passato/
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