Filippo Boni: Il China-Pakistan Economic Corridor tra negoziati e narrazioni
di SINOSFERE
Introduzione
“I feel as if I am going to visit the home of my brother”. Con queste parole il Presidente Cinese Xi Jinping annunciava, in un editoriale pubblicato dal quotidiano pakistano Daily Times, la propria visita ufficiale in Pakistan nell’Aprile del 2015. L’intento principale del viaggio era quello di lanciare ufficialmente il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), comprendente una serie di investimenti cinesi in infrastrutture, quale parte della più ampia Belt and Road Initiative (BRI). Da quel momento in avanti, il CPEC è stato uno dei progetti più seguiti sotto l’egida della BRI. Avendo ricevuto dalla Cina investimenti per circa 25 miliardi di dollari – la somma più ampia tra tutti i Paesi che partecipano all’iniziativa – il CPEC non solo è stato soprannominato il “progetto di punta” della BRI dal Premier Cinese Li Keqiang, ma svolge anche un ruolo centrale nelle ambizioni globali di Pechino, considerata la visibilità accordata ai progetti in Pakistan nel quadro della BRI. Infatti, oltre alle ingenti somme investite dalla Cina, il CPEC è rappresentativo anche della natura multiforme della BRI: una vasta serie di progetti, che comprendono strade, porti, linee ferroviarie, fibre ottiche, progetti energetici, cooperazione industriale e agricola. Per i suoi sostenitori, il CPEC rappresenta uno spartiacque nella vita economica e politica del Pakistan. Per i detrattori, al contrario, i progetti BRI in Pakistan evidenziano l’espansionismo di Pechino, considerato anche che lo sbocco fisico del corridoio economico, il porto di Gwadar, ha rappresentato (e continua a rappresentare) oggetto di dibattito riguardo a un potenziale utilizzo delle sue infrastrutture dalla marina militare cinese.
Mentre molto è stato detto e scritto sulle implicazioni geopolitiche del CPEC, sia per l’India che per gli Stati Uniti, meno attenzione è stata dedicata ad approfondire le modalità con cui la BRI viene attuata. Aspetto, questo, rilevante in quanto ci offre l’opportunità di estendere lo sguardo oltre le macro-dinamiche geopolitiche, ponendo al centro le prospettive dei Paesi che ospitano i progetti BRI, da non considerare come meri riceventi passivi della volontà di Pechino. Infatti, l’asimmetria di potere tra i partner lungo la nuova via della seta ha contribuito all’errata rappresentazione che Pechino stesse imponendo il CPEC ad Islamabad. Al contrario, questo articolo intende porre l’accento sulla capacità che avuto il Pakistan di indirizzare e guidare attivamente i progetti infrastrutturali ed energetici, realizzati a partire dal 2013 assieme alla Cina. Vengono quindi analizzati i verbali del Joint Cooperation Committee (JCC), il principale organo decisionale all’interno del quadro istituzionale del CPEC, nonché la stampa urdu a livello regionale, con particolare focus sul principale quotidiano del Balochistan, il “Daily Azadi Quetta”. Quest’ultimo approccio ci consente di valutare come i progetti vengono recepiti a livello locale.
I progetti energetici del CPEC
L’energia ha rappresentato il cuore pulsante della fase iniziale del CPEC (2013-2017), principalmente a causa di una drammatica crisi energetica che stava colpendo le vite e i mezzi di sussistenza dei pakistani, la macroeconomia del paese e (di conseguenza) le prospettive elettorali di chi deteneva il potere. La promessa di risolvere la crisi energetica era un impegno chiave del manifesto elettorale del Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N) nel 2013. Mentre la narrazione riguardo alla BRI pone spesso la Cina come principale promotore nella costruzione di centrali a carbone, la forte attenzione iniziale del CPEC sulla generazione di energia, e sul carbone in particolare, è nata principalmente dalle priorità politiche interne del Pakistan.
Il fatto che il Pakistan abbia fatto valere le sue priorità energetiche su Pechino è dimostrato dal verbale della prima riunione del JCC nell’agosto 2013. La parte pakistana “ha condiviso [che] il settore energetico è il settore più importante e critico e senza la sua rinascita, le attività economiche non possono essere rigenerate nel paese”. Nella stessa riunione il vicepresidente della National Development and Reform Commission (NDRC) cinese ha accettato di seguire la linea pakistana “affermando che i progetti . . . identificati dal ministro [pakistano] [avrebbero rappresentato] . . . la base per la futura cooperazione bilaterale riguardante il corridoio”.1)
All’interno del settore energetico, il carbone ha giocato un ruolo chiave. Le autorità pakistane hanno chiaramente dettato questa priorità e le loro controparti cinesi si sono adattate di conseguenza. Ad esempio, la National Power Policy 2013, uno dei primissimi documenti politici approvati dal neoeletto governo PML-N nel luglio 2013, prevedeva l’esplorazione di un “corridoio del carbone”.
Questo piano è stato realizzato per generare elettricità a basso costo e per diversificare le fonti energetiche del Paese con l’obiettivo di ridurre la sua eccessiva dipendenza dal petrolio. Di conseguenza, il 47% dei progetti energetici prioritari nell’ambito del CPEC tra il 2013 e il 2021 riguardava centrali elettriche a carbone. Questi progetti rappresentavano il 65% dei megawatt di potenza previsti che i siti CPEC avrebbero prodotto, un potente promemoria della centralità che il governo pakistano attribuiva al ruolo del carbone.
I leader pakistani non solo hanno guidato i tipi di progetti su cui investire, ma hanno anche chiesto alle aziende cinesi di accelerare la costruzione di alcune centrali. Il governo pachistano ha esercitato pressioni sulla Power Construction Corporation of China (PowerChina), l’impresa statale (SOE) che detiene una partecipazione del 51% nella centrale a carbone di Port Qasim, in Sindh, per svilupparla rapidamente in modo che fosse pronta per le elezioni del 2018.2) La centrale è stata collegata alla rete elettrica del paese in soli trentadue mesi e ha iniziato le operazioni commerciali sessantasette giorni prima del previsto e prima delle elezioni del luglio 2018. In breve, i progetti di generazione di energia che hanno dominato la prima fase del CPEC sono stati il risultato di adattamenti cinesi alle priorità politiche ed economiche del Pakistan.
Il porto di Gwadar
In aggiunta alle centrali elettriche, il progetto che meglio rappresenta la capacità del Pakistan di indirizzare i progetti della BRI è il porto di Gwadar. Situato nella regione del Balochistan, per molti politici ed analisti indiani e statunitensi, Gwadar incarna le ambizioni militari e l’espansionismo della Cina. Tuttavia, sarebbe più corretto interpretare lo sviluppo del porto di Gwadar come un’iniziativa di matrice pakistana, non cinese. La forte spinta dietro al progetto proviene infatti dai vari governi pakistani, che hanno cercato a lungo di costruire infrastrutture in grado di consentire al paese di controbilanciare il suo arcirivale, l’India, una causa a cui la Cina è stata ricettiva per molti anni. In ogni caso, il progetto di Gwadar, come molti altri sulle rotte del BRI ha origini non recenti.
La prima proposta per sviluppare Gwadar come porto è stata avanzata non da Pechino, ma dall’allora presidente pakistano, il generale Pervez Musharraf, durante la sua prima visita in Cina nel gennaio 2000. In effetti, Pechino era scettica sulla proposta di Musharraf, poiché Gwadar si trovava in un’area remota ed era essenzialmente scollegato dalle principali vie di trasporto con il resto del Paese. In aggiunta alle carenze infrastrutturali, le modeste prospettive commerciali e l’ubicazione in una regione, il Belucistan, con sentimenti separatisti forti e di lunga data, rendevano Gwadar poco appetibile e con un forte potenziale di rischio.
Nonostante lo scetticismo iniziale, al momento della sua visita in Pakistan nel maggio 2001, l’allora premier cinese Zhu Rongji annunciò che Pechino aveva deciso di investire nel porto, con il completamento della prima fase del progetto previsto per il 2006. Nonostante l’interesse del Pakistan nello sviluppare Gwadar, nel periodo 2006-2013 il porto è rimasto in larga parte inutilizzato e senza grandi prospettive. Nel febbraio 2013, la China Overseas Port Holding Company ha assunto ufficialmente la gestione del porto. L’importanza del porto per il Pakistan è legata a diversi fattori, tra cui la rivalità del paese con l’India e la possibilità di utilizzare Gwadar per il commercio attraverso l’Afghanistan e l’Asia centrale.3) Il porto è stato un argomento costante di discussione negli incontri del JCC, con Pechino che ha aderito a varie richieste di costruzione pakistane.
Ad esempio, durante la prima riunione del JCC nel 2013, il presidente della National Highway Authority pakistana, l’agenzia incaricata dell’attuazione di progetti stradali nell’ambito del CPEC, ha suggerito che il potenziamento “della Makran Coastal Highway per collegare Karachi con Gwadar” avrebbe dovuto essere una priorità chiave. Nelle sue osservazioni conclusive alla stessa riunione, il vicepresidente dell’NDRC ha accordato di “dare priorità” a progetti che sosterrebbero un piano per “lo sviluppo sostenibile del porto di Gwadar”. A riprova dell’importanza che gli attori cinesi attribuiscono alle richieste del Pakistan, le due parti hanno concordato al terzo incontro del JCC il 27 agosto 2014 di firmare un accordo quadro, che includeva la Eastbay Expressway che collega Gwadar a Karachi attraverso la costa di Makran.
È importante anche sottolineare come alcuni dei progetti prioritari sotto l’egida della BRI, tra cui l’Eastbay Expressway, hanno preso in considerazione le preoccupazioni originarie di Pechino sulla mancanza di reti di collegamento intorno al porto e sul suo isolamento geografico dalle reti di trasporto del Pakistan. In altre parole, Pechino non ha semplicemente accettato le richieste pakistane prive di qualsiasi logica commerciale o logistica. Ciò riflette da una parte il desiderio di accomodare tali richieste, e dall’altra il desiderio della Cina di perseguire i propri obiettivi strategici per sviluppare un hub importante nell’Oceano Indiano.
Il porto di Gwadar nella stampa Urdu
Oltre alle interazioni tra élite analizzate fino ad ora, è importante comprendere anche le narrazioni sul porto di Gwadar, attraverso la stampa locale in lingua urdu. Questo perché una lettura multi-livello (locale, regionale, nazionale) dei progetti BRI consente di comprenderne le vari sfaccettature in maniera più accurata. Il Daily Azadi Quetta è il principale quotidiano in lingua urdu del Balochistan, e viene pubblicato a Quetta, la capitale provinciale. Dall’analisi degli articoli pubblicati nel Daily Azadi nel corso del 2021, emergono una serie di temi interessanti, come dimostrato dal grafico seguente.
Le percentuali nel grafico fanno riferimento ai 24 articoli (su 112 complessivi) pubblicati nel 2021 che hanno per oggetto il porto di Gwadar. Tra questi 24 articoli, il 46% – 11 su 24 – riportano le preoccupazioni della popolazione locale riguardo alle modalità con cui i progetti sono stati implementati. Ad esempio, un articolo pubblicato nell’ottobre del 2021 riportava come “la gente del Balochistan pensa di essere stata venduta a nome di Gwadar” e che i benefici del CPEC sarebbero stati esclusivamente per le altre province, e non per il Balochistan.4) Un editoriale del mese di agosto segnalava invece la crisi energetica nella regione di Makran, evidenziando come nonostante la centralità di Gwadar per il CPEC, “la gente è privata dei suoi frutti. Il CPEC non è altro che una frode per il popolo del Belucistan”.5) Questo senso di deprivazione provato dalla popolazione del Balochistan in virtù del CPEC, è un tema ricorrente nelle narrazioni riguardanti il corridoio economico, e si inserisce nel più ampio quadro dei rapporti tra governo centrale e province in Pakistan.6) Se da una parte il governo pakistano ha sempre sostenuto che il CPEC avrebbe rappresentato un punto di svolta per tutto il Paese, tale visione è stata spesso contestata sia in Balochistan che in Khyber Pakhtunkhwa, le due province che storicamente sono state sotto rappresentate nelle istituzioni federali.
In aggiunta a questo leitmotiv riguardo all’assenza di reali benefici per le comunità locali, è interessante notare come le autorità provinciali e nazionali continuino a presentare il porto di Gwadar come un potenziale hub regionale, in virtù della propria collocazione geografica. In un articolo di aprile 2021, ad esempio, il Chief Minister del Balochistan, Jamal Kamal, “ha affermato che la posizione di Gwadar, la porta dell’Asia centrale, e la sua importanza geostrategica, hanno dato impulso al CPEC”.7) In maniera simile, il Presidente della Commissione parlamentare sul CPEC, ha ribadito come la posizione geografica di Gwadar lo renda estremamente importante.8)
Conclusioni
A quasi dieci anni di distanza da quando i primi accordi sono stati siglati tra Cina e Pakistan, attraverso l’evoluzione del CPEC è possibile evidenziare come, a dispetto dell’enorme squilibrio di potere tra Cina e Pakistan, quest’ultimo sia stato in grado di indirizzare a proprio vantaggio il suo sviluppo. Come rilevato in questo articolo, sia in tema di progetti energetici che in relazione al porto di Gwadar, le priorità pakistane hanno avuto un ruolo determinante nella definizione dello sviluppo del CPEC.
Nello stesso tempo, è importante sottolineare come le narrazioni sui benefici del CPEC mutino in maniera significativa a seconda degli attori che si prendono in considerazione. A livello nazionale, la narrazione standard propone il CPEC come volano per l’economia Pakistana affermando che i benefici di quest’ultimo sono equamente distribuiti tra le vari province. A livello provinciale e locale, tale narrazione si scontra invece con le reazioni da parte della popolazione, che stenta ancora a vedere gli effetti tangibili del CPEC nella vita quotidiana.
Dopo una fase di stallo tra il 2018 e il 2022 sotto la leadership dell’ex Primo Ministro Imran Khan, il nuovo governo di Islamabad, guidato da Shahbaz Sharif, fratello dell’ex Primo Ministro Nawaz Sharif, sta cercando di rimettere il CPEC al centro dell’agenda politica Pakistana. Le difficili circostanze economiche (il Pakistan ha chiesto per la 22esima volta nella sua storia un prestito al Fondo Monetario Internazionale) e le turbolenze della politica interna, stanno rendendo i progetti della seconda fase del CPEC (tra cui le Zone Economiche Speciali) di difficile realizzazione.
Immagine: Panoramica di Lahore dalla Moschea Wazir Khan, foto di Filippo Boni.
Filippo Boni è Lecturer in relazioni internazionali presso la Open University in UK, e Research Fellow nel progetto “REDEFINE” finanziato dallo European Research Council. È autore del libro Sino-Pakistani Relations. Politics, Military and Regional Dynamics (Routledge, 2019), e i suoi articoli sono stai pubblicati, tra gli altri, in Carnegie Endowment for International Peace, Asian Survey e Asia Policy. Dal 2019, Filippo è co-editor della rivista italiana “Asia Maior” e nel 2020/21 è stato consulente accademico per il documentario della BBC “Trump Takes on the World”.
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