“La lista di Kaja”: la mezzanotte della democrazia in Europa
DA L’ANTIDIPLOMATICO (Di Clara Statello)

Siamo alla buia mezzanotte dell’Unione europea. Ad un passo dal fallimento dei nostri valori, ideali, ad un passo dalla guerra. Al capolinea della nostra civiltà, come la conoscevamo.
Dopo la vergognosa cancellazione della conferenza contro la guerra organizzata dal professor Angelo D’Orsi, che vedeva tra i tanti relatori le eccellenze e i maggiori intellettuali del nostro tempo (quei pochi rimasti) come Alessandro Barbero e Carlo Rovelli, sono tre gli atti persecutori e di censura che devono destare la nostra preoccupazione:
- Gli attacchi a Limes
Il professor Lucio Caracciolo, direttore di Limes, è stato accusato da 4 dei suoi (ormai ex) collaboratori di essere “filorusso”. Le formule usate per delegittimare la più autorevole rivista di geopolitica italiana in un paese normale desterebbero risate o compassione: uno dei quattro definisce gli autori di Limes degli “antiputiniani” sfegatati, un altro parla di disinformazione e “nube tossica” sul pubblico.
In Italia, invece, alimentano la macchina del fango contro Caracciolo, reo di volersi mantiene fedele alla complessità della realtà, e non ad una ideologia evidentemente assurta a verità di Stato. L’analisi deve tener conto di tutte le voci, non è un atto di fede. Per fare strategia bisogna conoscere il proprio nemico, evitare di cadere nell’errore di credere alla propria propaganda. In una parola l’analisi deve essere libera, non asservita ad un obiettivo politico o ideologico. È questa libertà che nella “democrazia” europea è diventata pericolosa, trattata con un tradimento o un crimine.
- Il rapper antimilitarista “sgherro di Putin”
In Germania, un famoso rapper è stato accusato di essere uno “sgherro di Putin” da un alto ufficiale tedesco, per un brano antimilitarista. Bisogna fare una dovuta premessa: le autorità tedesche conducono una violentissima ondata repressiva contro chi si oppone alla linea militarista e di politica estera di Berlino. Ne abbiamo preso atto dai video delle violenze di polizia contro i manifestanti pro-pal, anche minori. Gli osservatori più maliziosi e irriverenti (come la scrivente) potrebbero concludere che “le scimmie” che nell’89 “ballavano la polka sul muro”, hanno finalmente intravisto nella guerra russo-ucraina l’occasione per rifondare “il quarto Reich”, per citare De Andrè. Berlino può nuovamente aspirare a ripristinare il suo status di potenza militare, castigato dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Al vaglio del Bundestag, in questi giorni, il bilancio federale con oltre 52 miliardi di euro in spese di Difesa. Una grossa occasione anche per le industrie militari come Rheinmetall – che ha decuplicato il valore delle proprie azioni in tre anni di guerra. In questo contesto, chiunque si opponga al piano di riarmo o critichi la propaganda che lo legittima, diventa una minaccia per i piani di crescita economica e di potenza di Berlino. Così succede che un alto ufficiale dello stato maggiore della Bundeswehr, Marcel Bohnert, ha diffamato sui social come agente di Putin il rapper tedesco Finch per il brano antimilitarista “Kein Bock auf Krieg” (Nessun desiderio di guerra). Queste logiche possono essere giustificate (ma neanche troppo) in legge marziale, che in Germania e UE non è stata imposta, dato che non siamo in guerra con nessuno.
- La lista di Kaja
Il 15 dicembre, su proposta di Kaja Kallas, il Consiglio dell’Unione europea ha incluso nella lista delle sanzioni 12 giornalisti, accademici, analisti geopolitici per “reati” di opinione. Le virgolette sono d’obbligo, visto che non si tratta di veri reati. Tra i soggetti colpiti, non ci sono soltanto cittadini russi e ucraini, ma anche occidentali e cittadini UE. Si tratta di: John Mark Dougan, statunitense ed ex vice-sceriffo della Florida, Xavier Moreau, ex militare francese e il generale Jaques Baud, cittadino svizzero, ex ufficiale NATO e analista. Inoltre, sono sanzionati studiosi e analisti geopolitici del calibro di Fyodor Lukyanov, caporedattore russo della rivista Global Affair. Un caso a parte merita la giornalista ucraina Diana Panchenko è accusata di essere una propagandista e di diffondere narrazioni anti-ucraine, filo-russe e anti-NATO. Questo diventa un pericoloso precedente di criminalizzazione delle opinioni: chi osa criticare Kiev e le guerre della NATO, è passibile del blocco dei conti e chissà quali altri provvedimenti. Il provvedimento getta le basi per colpire legalmente e economicamente il movimento pacifista e NO NATO sulla base delle proprie istanze ed idee politiche. Il documento, inoltre, indica ogni soggetto inserito nella lista come: “responsabile dell’attuazione o del sostegno di azioni o politiche attribuibili al governo della Federazione Russa che compromettono o minacciano la stabilità o la sicurezza in un paese terzo (Ucraina) ricorrendo alla manipolazione e all’interferenza delle informazioni”. Si tratta di una formulazione vaga, che rinuncia intenzionalmente alla dimostrazione di un effettivo vincolo causale tra il soggetto stesso e l’entità individuata come minaccia (il Cremlino in questo caso) e che indica come interesse da tutelare quello di una parte terza che le autorità europee non sono tenute a difendere.
Oggi questa formula è utilizzata per criminalizzare chi si oppone alle politiche di riarmo o non sostiene Kiev, domani verrà utilizzata per i pro-pal, dopo domani per chi scenderà in piazza in difesa dei propri diritti di lavoratore o per chi scriverà libri e articoli contro lo sfruttamento del sistema neoliberista.
Più in generale, le misure del Consiglio UE forniscono la base legale per colpire l’opposizione, attuale e futura, identificando il pensiero o una posizione o un’ideologia critica come una minaccia per la sicurezza. E di conseguenza, individuando una verità di stato che non può essere messa in discussione.
Il salto di qualità: essere “filorusso” è un reato
La democrazia liberale in crisi per superare le proprie contraddizioni interne ha bisogno di criminalizzare il pensiero che è altro da sé, stigmatizzandolo come minaccia esterna. Così facendo prepara il suo suicidio assistito (dagli EUristocratici): non può esistere democrazia senza pluralismo di idee, dove il pluralismo non può intendersi come una pluralità di voci che ripetono lo stesso slogan (bidimensionale, appiattito e semplicistico) ma come dialettica viva tra tesi e antitesi, tra maggioranza e opposizione, tra popolo e potere.
Questi tre episodi differenti ci indicano che siamo davanti ad un salto di qualità. Nel giardino europeo delle meraviglie, essere “filorusso” è diventato un crimine. Se la logica non è ancora stata sanzionata da Kaja Kallas, i cittadini europei per non essere fuorilegge dovrebbero odiare la Russia e tutto ciò che è russo. Da Putin a Dostojevsky. Il piano inclinato con la messa al bando di Sputnik e RT ci sta precipitando in un sistema totalitario, in cui il termine “filorusso” è utilizzato come strumento per gettare discredito, diffamare e imporre la censura su giornalisti, analisti e accademici scomodi.
Siamo anche davanti a un punto di non ritorno. Il diritto esprimere liberamente le nostre opinioni, la libertà politica e di manifestare non ci sono arrivati dal nulla, non ce li siamo ritrovati per caso in costituzione. Sono il frutto della lotta antifascista, l’eredità che i nostri nonni partigiani ci hanno lasciato versando il loro sangue per la nostra libertà durante la Resistenza. Gli EUristocratici hanno trovato la formula per toglierceli. Non ci restituiranno diritti e libertà gratuitamente.





Commenti recenti