Il modello Talitha Kum
di L’OSSERVATORE ROMANO (Vittoria Prisciandaro)
Sono cresciute nella consapevolezza della propria leadership, maturata a partire dall’esperienza, dalla cura e dalla condivisione della vita con chi vive ai margini. Leader contro il traffico di esseri umani, un ruolo nella Chiesa che le religiose di Talitha Kum, la rete internazionale di contrasto alla tratta, hanno consolidato negli anni, sostenute dalle superiore generali e riconosciute dai vescovi. Un cammino di consapevolezza che hanno percorso insieme. Ma che ciascuno ha iniziato nel suo piccolo, a partire da piccole cose.
Come il frammento di vita che torna alla mente di suor Abby Avelino, dal primo settembre scorso Coordinatrice internazionale della rete, e che spiega senza troppo giri di parole cosa voglia dire lavorare sulla propria consapevolezza. «Il mio parroco continuava a tenere fuori alla porta una serie di persone che erano nel bisogno. Ho deciso di farmi forza e andargli a parlare: “Padre lei ogni domenica nell’omelia dice certe cose e poi nella pratica… Non basta fare l’adorazione, pregare…bisogna accogliere le persone”». Suor Abby, 57 anni, nata nelle Filippine e cresciuta negli Stati Uniti, prima di entrare a far parte delle suore Domenicane di Maryknoll si è laureata in ingegneria e ha lavorato come ingegnere meccanico e di sistema. Da quel confronto con il parroco, dice, ha imparato che «a volte non lottiamo a sufficienza per ciò che riteniamo giusto. Ci sentiamo impreparate, fragili. Per questo bisogna insistere tanto sulla formazione». Non a caso dal 2017 Talitha Kum organizza corsi di formazione alla leadership.
Suor Avelino succede a suor Gabriella Bottani, comboniana, che dal 2014 è stata alla guida di Talitha Kum e ne ha curato la crescita. Nata 15 anni fa in seno all’Unione internazionale delle superiori generali ( UISG ), la rete è un interessante esempio di leadership al femminile. Oggi riunisce più di 6.000 suore cattoliche, collaboratori e amici nei cinque continenti, e promuove la collaborazione tra reti, guidate da religiose, organizzate a livello nazionale, regionale e continentale, dove ogni realtà mantiene la sua identità unica e opera all’interno del proprio paese o regione, mentre il Coordinamento internazionale alla UISG sostiene lo sviluppo delle competenze e la formazione delle reti e dei membri. La forza della rete risiede nel suo impegno della base attraverso una strategia bottom-up (dal basso verso l’alto) e nella sua impostazione incentrata sulla persona e sulla comunità, che garantisce la vicinanza alle vittime e ai sopravvissuti alla tratta.
«Il nostro è un modello di leadership partecipata, perché c’è una reale collaborazione e condivisione dei doni per contribuire a rendere efficace il nostro servizio: siamo religiose di diverse Congregazioni, e nelle nostre scelte vogliamo che sia presente non solo la voce delle suore ma anche quella delle persone che accompagniamo».
Da questa consapevolezza lo scorso anno è nato un appello, “Call to action”, rivolta alle suore, alla Chiesa cattolica, ai leader religiosi di altre tradizioni religiose o spirituali, ai non credenti, ai collaboratori, agli amici e a tutte le persone di buona volontà che condividono la visione di un mondo libero dalla tratta di persone e dallo sfruttamento.
L’impegno che la nuova coordinatrice ha di fronte, in continuità con la strada tracciata, consisterà nel curare la crescita di tutte le reti, nonché nel potenziare le partnership collaborative esistenti con organizzazioni vaticane e con altre realtà. «Ho accolto questo ruolo di leadership all’interno di Talitha Kum, abbracciandone l’identità unica, di rete priva di strutture organizzative tradizionali. Lavorando insieme condividiamo non solo doni e disponibilità, ma una leadership comune. Credo fermamente che ognuno possegga i propri doni, da gestire con profonda fede in Dio.
Se crediamo nella nostra leadership, potremo dare forza e sostenerci gli uni con gli altri, ricevendo sostegno e forza a nostra volta».
Insomma la leader ha un ruolo di coordinamento, che si esercita in modo diverso rispetto a quanto tradizionalmente avviene nella gerarchia ecclesiastica: se la superiora di un Istituto ha un carisma rivolto alla governance, le suore di Talitha Kum si fanno ponte tra la struttura tradizionale e quella della rete, in dialogo e corresponsabilità, non in sovrapposizione con le figure apicali delle Congregazioni. È importante riconoscere che questa leadership delle consacrate matura nelle realtà più marginali e vulnerabili e diventa strumento per la trasformazione della società a partire dai valori del Vangelo. «Noi abbiamo un’esperienza condivisa, dialoghiamo, questa è la differenza. In Talitha Kum come coordinatrice dell’Asia dovevo ascoltare, negoziare, mettere sul tavolo le proposte delle diverse reti e poi cercare una mediazione. Si decide insieme, in un Coordinamento dove si inseriscono anche figure non apicali». In Asia, racconta Abby, «Talitha Kum ha un meeting al mese tra i coordinatori delle 14 reti. La mia leadership era esercitata nel confronto con il mio team e con i coordinatori. E questo, che è stata la mia forza, desidero accada anche in Africa, America latina, negli altri continenti. E qui a Roma».
Una scelta in sintonia con la missione della rete. «La nostra cura alle vittime e i sopravvissuti alla tratta di persone è fondata sulla convinzione che la dignità degli oppressi e degli sfruttati può essere ripristinata attraverso relazioni sororali e fraterne», spiega Abby. «In una relazione tra pari, le suore camminano insieme alle vittime lungo il percorso di guarigione».
Un metodo condiviso, tra le religiose delle diverse Congregazioni che si trovano a fare rete insieme sul tema della tratta e che all’esterno si presentano come realtà con una loro autorevolezza a livello ecclesiale. In Giappone, per esempio, dove ha lavorato Abby, la conferenza episcopale ha inserito la rete tra gli organismi della sezione migrazioni, e così, pur mantenendo la sua autonomia, Talitha Kum ha la possibilità di essere presente nei contesti istituzionali laici e dire la sua sul tema dei diritti e della tratta a nome della Chiesa nipponica.
Suor Abby ricorda gli inizi del suo ministero in Giappone, presso la parrocchia di sant’Ignazio a Tokio. «Non conoscevo la lingua. Capivo perfettamente la condizione delle decine di donne straniere che venivano in chiesa anche solo per trovare un ambiente accogliente». Sono tante le storie, i volti, che tornano in mente. «A Kawazaki abbiamo realizzato una ong, perché sono tante le donne filippine che vengono trafficate in Giappone. Si chiama “Kalakasan” che in tagalog vuol dire “forza”. Abbiamo riscontrato casi di traffico anche di “Japanese Filipino Children” ( JFC )». Sono i figli di donne filippine e uomini giapponesi. Le madri spesso sono state trafficate. I bambini, a pochi mesi, li hanno affidati alla famiglia nelle Filippine, perché a causa dell’alto costo della vita non sarebbero sopravvissuti in Giappone. «È un fenomeno molto diffuso. Questi ragazzi, una volta diventati adolescenti, sono tornati in Giappone, ma spesso sono sfruttati, abusati, bullizzati. Non sanno chi sono, non parlano la lingua, non sono integrati. Abbiamo provato ad aiutarli a trovare una loro identità, con un programma che coinvolge anche le madri». Ma i giovani sono anche al centro dei progetti contro la tratta, per gli interventi nelle scuole.
«Ascoltando le loro osservazioni, vedendo la loro passione, ho imparato molto», dice Abby.
Lavorare con le altre consorelle, studiare insieme, aiuta a darsi forza reciprocamente. E a resistere anche nelle situazioni più difficili. «Abbiamo di fronte un obiettivo preciso, la lotta alla tratta, e come donne consacrate abbiamo qualcosa di specifico da dire che scaturisce da un’esperienza di vita diretta con le vittime e con chi ha vissuto la violenza della tratta. Possiamo fare la differenza, insieme, in rete». Una di leadership condivisa che alla Chiesa in cammino sinodale ha molto da dire. Un suggerimento? Abby lo esprime a partire dalla sua esperienza: «Prima di pensare a come risolvere un problema, quando si ha di fronte una persona occorre curare la relazione, l’incontro. Ascoltare, ascoltare, ascoltare».
Fonte: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-01/dcm-001/il-modello-talitha-kum.html
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