Musk è sempre più parte del complesso militare USA: Starlink all’attacco dell’Iran
da L’INDIPENDENTE (Michele Manfrin)
Elon Musk, nuovo proprietario di Twitter, e tra le altre, proprietario delle celebri Neuralink, Tesla e SpaceX, ha agito e sta agendo in Iran, in pieno accordo con gli interessi del governo statunitense. Infatti, i ricetrasmettitori terrestri utili a connettersi alla rete internet fornita da Starlink, di proprietà di Musk, stanno venendo contrabbandati in Iran. Ed è lo stesso miliardario statunitense ad averlo ammesso così come già successo nel recente passato per quanto concerne il teatro di guerra ucraino. D’altronde, benché con vaghe mosse in favore della libertà di pensiero si sia guadagnato l’improbabile fama di uomo che contrasta l’establishment, l’imprenditore è parte integrante del complesso militare-industriale statunitense fin dai primi passi delle proprie aziende.
Starlink, creata da SpaceX di Elon Musk, è la costellazione di satelliti per l’accesso a internet satellitare globale in banda larga a bassa latenza. La costellazione è costituita da migliaia di satelliti miniaturizzati collocati in orbita terrestre bassa (LEO) che lavorano in sintonia con ricetrasmettitori terrestri. Proprio di questi ultimi, a partire già dal maggio scorso, quindi mesi prima dello scoppio della protesta in Iran a seguito della morte della giovane Mahsa Amini, avvenuta il 16 settembre 2022, sono stati tirati in ballo da Victoria Coates, ex consulente senior del segretario all’energia nell’amministrazione Trump. Il 7 maggio scorso, in un tweet, Coates si chiedeva se Musk potesse fornire internet tramite la costellazione satellitare Starlink agli iraniani, visto che già lo aveva fatto con gli ucraini. All’epoca, la protesta era circoscritta e concentrata in una specifica provincia iraniana, Khuzestan, ricca di petrolio, che si affaccia sul Golfo Persico e confina con l’Iraq, scoppiata in seguito all’aumento del prezzo del pane.
Il 23 settembre scorso, il Segretario di Stato USA, Anthony Blinken, ha comunicato che gli Stati Uniti stavano prendendo provvedimenti per garantire al popolo iraniano di poter usufruire di internet, aggirando quindi la censura da parte del governo del Paese. Al tweet del Segretario di Stato ha risposto Musk: «Attivazione di Starlink…». Nel dicembre 2022, un articolo del Wall Street Journal spiegava che già allora almeno 200 dispositivi erano stati contrabbandati in Iran e che coloro che sono coinvolti in questa rete di rifornimento sono attivisti iraniano-statunitensi e imprenditori della Silicon Valley, in California, i quali hanno raccolto e stanno raccogliendo denaro, da donazioni private e da fondazioni, per poter aumentare la capacità del servizio Starlink in Iran. Sebbene ancora non vi sia stato un trasferimento massiccio come avvenuto per l’Ucraina, per cui lo stesso giornale dice che vi siano oggi circa 25.000 dispositivi, questo indica evidentemente come Musk sia collaborativo con le strategie e gli interessi del governo statunitense. Gli organizzatori stimano che una rete ombra potrebbe essere efficace in Iran con circa 5.000 ricevitori Starlink. «L’obiettivo principale non è dotare tutti gli iraniani di parabole ma è fondamentalmente inviare alcune migliaia di dispositivi e portarli alle persone giuste, quindi un arresto di Internet non è un problema», dice un membro dell’organizzazione che si occupa del contrabbando in Iran dei sistemi di Musk. Ad onor di cronaca, per quanto riguarda la guerra russo-ucraina/NATO, proprio ieri, 8 febbraio, Gwynne Shotwell, Presidente e chief operating officer di SpaceX, durante una conferenza a Washington, ha fatto saperte che l’azienda prenderà provvedimenti circa l’utilizzo offensivo del sistema Starlink da parte dell’esercito ucraino che lo impiega per pilotare i propri droni. Shotwell che però non ha voluto riferire in quale modo SpaceX potrà limitarne l’uso all’esercito ucraino, dimostra ingenuità, forse finta, quando giustifica la decisione dicendo che questo utilizzo non faceva parte di alcun accordo; come se le capacità e le potenzialità del sistema non fossero conosciute dalla stessa azienda che le fornisce. Appare come un sano esercizio di cerchiobottismo tipico del modo in cui Musk vuole apparire, così come il brand delle proprie aziende, cercando di ritagliarsi sempre un ruolo di falso antagonista.
Twitter, che all’epoca dello scoppio delle proteste non era ancora passata in mano a Musk (divenuto proprietario il 28 ottobre 2022) è stato fondamentale per attirare l’attenzione del mondo sull’Iran. I moderatori della piattaforma hanno messo le notizie delle proteste sulla sua barra laterale avvisando gli utenti di tutto il mondo. Anche gli hashtag pro-manifestazione e anti-governativi sono stati potenziati in tutti i paesi occidentali. Secondo il Twitter Trending Archive, il 20 settembre si è registrato un picco con oltre 2 milioni di tweet di utenti americani che utilizzavano l’hashtag Amini in lingua farsi (#مهسا_امینی), rendendolo di gran lunga il più utilizzato negli Stati Uniti quel mese. In Israele, in soli quattro giorni, tra il 21 e il 24 settembre, gli account con sede nel Paese hanno inviato oltre 43 milioni di tweet sulle proteste; tenuto conto che in Israele ci sono circa 634.000 account Twitter, la media sarebbe di 68 tweet per ogni account.
D’altronde, L’Indipendente aveva già scritto della forte commistione tra le Big Tech – compresa Twitter – con il Pentagono e gli apparati di sicurezza statunitensi. Anche i “Twitter files” hanno dimostrato che l’FBI aveva propri uomini all’interno del social network, col fine di dirigere il flusso di informazioni, ma non possiamo pensare che ciò non sia più così anche adesso che Musk è il nuovo proprietario.
Infatti, Musk certamente non è avulso dagli apparati governativi e militari. La Central Intelligence Agency è stata parte integrante sia della nascita che della crescita di SpaceX. Michael Griffin, ex Presidente e direttore operativo dell’ala venture capitalist della CIA, In-Q-Tel, è stato uno dei primi a puntare su Musk, definendolo un futuro “Henry Ford” dell’industria missilistica. All’inizio del 2002, l’anno in cui prese vita SpaceX, Griffin accompagnò Musk in un viaggio a Mosca per acquistare vecchi vettori di missili balistici intercontinentali senza però riuscirci. Nel 2006, la società era in difficoltà finanziaria visti i ripetuti insuccessi e l’incapacità di sviluppare tecnologia propria all’altezza di quanto richiesto. Griffin, però, che in quegli anni era passato ad essere a capo della NASA, ha assegnato a SpaceX un contratto da 396 milioni di dollari. Tuttavia, anche questa iniezione di liquidità non era bastata e SpaceX, come Tesla, navigava in cattive acque. Fortunatamente, l’azienda di Musk fu nuovamente salvata da un inaspettato appalto da 1,6 miliardi di dollari, ancora una volta con la NASA.
Grazie ai legami e alla generosità del governo, SpaceX è diventata un colosso i cui principali clienti sono agenzie militari e governative. Tra i vari, a titolo di esempio, SpaceX ha ottenuto appalti dall’Air Force per consegnare il suo satellite di comando in orbita, dalla Space Development Agency per inviare satelliti di rilevazione militare e dal National Reconnaissance Office per lanciare i suoi satelliti spia. I documenti ottenuti da The Intercept hanno mostrato che il Pentagono prevede un futuro in cui i razzi di Musk saranno utilizzati per schierare una «forza di reazione rapida» militare in qualsiasi parte del mondo.
Insomma, lungi dall’essere anti-establishment, Musk è parte integrante del complesso militare-industriale e vicino agli apparati di sicurezza, ovvero il non plus ultra dell’establishment profondo, il così detto deep state, giocando il proprio ruolo in modo da massimizzare l’interesse economico.
Alla faccia della libertà.. si sua….