Tutte le sfide di Erdogan dopo la rielezione
di INSIDE OVER (Andrea Muratore)
Assicuratasi la rielezione al ballottaggio di domenica 28 maggio, per Recep Tayyip Erdogan è tempo di pensare al governo. Le elezioni che potevano, secondo le previsioni, risultare in un disastro per Erdogan hanno invece blindato con il voto dei turchi la permanenza al potere fino al 2028 del Reis, che dunque coronerà il sogno di essere il leader che, il prossimo 29 ottobre, sarà in sella nel giorno del centenario della Repubblica fondata da Mustafa Kemal Ataturk.
Kemal Kilicdaroglu è stato sconfitto al ballottaggio da Erdogan, che ha ottenuto poco più del 52% dei voti. Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) è in calo ma si è confermato prima forza in Parlamento. Alleato al Partito del Movimento Nazionalista (Mhp) nell’Alleanza del Popolo, l’Akp guida la maggioranza presidenziale forte del controllo del Parlamento con 323 seggi su 600. Erdogan governerà dunque un Paese spaccato ma su cui, democraticamente, la sua coalizione ha legittimo controllo. E ora dovrà sciogliere diversi nodi di politica interna ed estera.
Lo scoglio economico
Erdogan si troverà inizialmente a gestire le sfide economiche di un Paese attanagliato tra bassa crescita, alta inflazione e rischi recessivi. La guerra in Ucraina ha reso la Turchia una centrale del commercio triangolare russo-occidentale fermato dalle sanzioni e dato sollievo al Paese, ma la situazione interna resta precaria.
Scopri le quattro puntate del reportage: “Viaggio nella Turchia di Erdogan”
Il terremoto nel Sud del Paese di inizio anno ha “cristallizzato” la situazione deviando l’attenzione sull’emergenza, ma ora Erdogan deve gestire un contesto che vede la lira a terra, il potere d’acquisto dei cittadini supplito dal sostegno statale e grandi costi per la ricostruzione del cratere del sisma. “Per le zone colpite dal devastante terremoto del 6 febbraio”, nota l’Ispi, “Erdogan ha promesso la costruzione di oltre 300mila case entro un anno, mentre da più parti ci si chiede se si tratti di misure sufficienti a contenere l’impatto di una catastrofe dai costi economici che si aggirano, secondo le stime più attendibili, a 103 miliardi di dollari (circa il 9% del Pil turco per il 2023)”.
Ucraina e Svezia, la Turchia ambigua nella Nato
Un’altra partita calda sarà quella del futuro del Paese nell’Alleanza Atlantica. Erdogan ha – comprensibilmente – dato precedenza al via libera all’ingresso della Finlandia nella Nato su quello alla Svezia per le difficoltà nell’implementazione degli accordi con Stoccolma e soprattutto per il condannabile episodio dei roghi del Corano di fronte all’ambasciata turca a gennaio.
Dopo che ad aprile la Corte Suprema di Stoccolma ha definito accettabile il rogo del testo sacro dell’Islam, Erdogan ha cavalcato la polemica a fini elettorali. Ora è a un bivio: al summit di Vilnius di luglio darà il via libera definitivo, essendo finita l’onda elettorale, o tirerà dritto?
La dinamica si salda chiaramente con la partita dell’Ucraina. La grande stampa di matrice anglosassone ha spesso ridotto il voto turco a una dicotomia tra un Erdogan aperturista verso la Russia e un Kilicdaroglu più “filo-ucraino”. La situazione, direbbe Giulio Andreotti, è però un po’ più complessa. La geopolitica turca sull’Ucraina è sempre stata molto fluida, tanto che Erdogan arma Kiev da tempi precedenti l’invasione russa, ma anche nei confronti di Mosca il Reis vuole tenere aperte le partite del gasdotto TurkStream, della stabilizzazione dell’arco di crisi che va dal Caucaso alla Libia, dell’apertura all’Asia centrale e alla Cina. Erdogan non vuole e non può prendere una posizione netta che nemmeno il suo sfidante avrebbe potuto formalizzare, al netto di divergenze retoriche.
Quel che resta aperto è sicuramente il disegno che vede la Turchia come possibile mediatrice nel conflitto in caso di stallo sul campo. E che proprio la posizione bilanciata di Ankara potrebbe favorire. A patto, chiaramente, di non strappare con gli alleati atlantici.
I rapporti con l’Italia: Mediterraneo e gas
Erdogan ha anche un fronte mediterraneo non secondario che lo porta a confrontarsi in forma diretta con gli interessi italiani. Se certamente c’è da attendersi che, in caso di riconferma ad Atene di Kyriakos Mitsotakis Grecia e Turchia continueranno a pungersi, l’apertura di una fase con elezioni molto distanti può aprire a una fase di mediazione in cui anche Roma può essere coinvolta.
Cosa vogliono, ad oggi, Italia, Grecia e alleati come Cipro e Israele? Rilanciare la geopolitica dei gasdotti. Su cui serve il benestare turco per evitare, soprattutto, interferenze nell’area di Cipro. La chiave potrebbe essere una contropartita energetica per il “gasdotto della pace” Israele-Egitto, prolungabile fino alla Turchia. Una partita complessa su cui il Sultano, abile pokerista, si può giocare molto. Con un Erdogan rieletto, in ogni caso, la finestra per mettere a terra progetti che sono in sospeso da tempo con un leader di cui si conoscono astuzie, forze e limiti, oltre che il noto cinismo, esiste. L’elettorato turco chiede risposte al Sultano a cui ha confermato la fiducia. I partner vogliono una Turchia dinamica ma affidabile. E Ankara può e deve giocare un ruolo distensivo a cui è spesso mancata negli anni scorsi. Ma per la cui costruzione ci sono, oggi, molte opportunità.
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