Tanto tuonò che piovve. Inevitabilmente, dopo averne parlato per mesi, e sotto la crescente pressione statunitense, l’Ucraina ha rotto gli indugi ed ha avviato la sua offensiva. Siamo in effetti ancora ai preliminari – prima le operazioni di gruppi DRG per sondare il terreno, ora puntate offensive più consistenti (in cui vengono per la prima volta impiegati carri e corazzati NATO) con cui gli ucraini cercano battaglia, in attesa di individuare il punto debole dello schieramento russo, e su cui successivamente lanciare il grosso della forza di sfondamento (5/600 carri MBT, un migliaio di corazzati, forse 20/30.000 uomini, più le riserve).
Questo lungo periodo di incubazione però, non ha fatto che danneggiare le effettive possibilità di successo, sia perché ha ovviamente dato più tempo ai russi di prepararsi (non solo costruendo linee di difesa fortificate in profondità, ma anche accumulando riserve), sia perché ha fortemente logorato la capacità bellica ucro-NATO.
In particolare, sono risultati significativamente deleteri alcuni passaggi, che hanno fortemente indebolito il potenziale offensivo ucraino. Innanzi tutto, ovviamente, l’ostinazione con cui si è voluta difendere Bakhmut, e non solo perché si è tradotta nel famoso tritacarne, in cui sono andati perduti decine di migliaia di uomini, in buona parte truppe esperte, ma soprattutto perché quella battaglia – inutilmente simbolica, giacché era chiaro sin dall’inizio che avrebbero perduto la città – ha impedito per mesi la possibilità di sviluppare altrove un’offensiva.
Con l’approssimarsi di questa, inoltre, nonché grazie ad una serie di errori strategici commessi per esigenze mediatiche (1), gli ucraini si sono trovati a subire una serie di colpi mirati, che ne hanno minato profondamente la capacità offensiva.
Negli ultimi due/tre mesi, infatti, oltre a colpire pesantemente importanti depositi di munizioni nelle retrovie, le forze aerospaziali russe hanno messo a segno più di un colpo importante. Ad aprile, un missile Kinzhal colpisce un centro di comando sotterraneo NATO-ucraino (posto a 130 m di profondità), distruggendolo (2); il centro era probabilmente attrezzato anche per coordinare l’imminente offensiva. A maggio, ancora un Kinzhal distrugge un altro centro comando, all’interno del quale si trovava – tra gli altri – anche il comandante delle forze armate ucraine, Zaluzhny, da allora scomparso (forse deceduto o ferito così gravemente da non poter essere più attivo). Stessa sorte ad un altro comando congiunto ad Odessa, e quindi al bunker sotterraneo del GRU (il servizio di intelligence militare), nel quale a sua volta potrebbe essere rimasto ucciso il comandante, Kyrylo Budanov.
Al di là dell’impatto simbolico, e del messaggio alla NATO (che in questi attacchi ha perso decine di ufficiali), è evidente che l’effetto è stato quello di una parziale disarticolazione logistica e di comando dell’offensiva ucraina.
Che, d’altra parte, non poteva essere rinviata ancora troppo a lungo, soprattutto dopo la caduta di Bakhmut, sia per ragioni politico-mediatiche internazionali, sia perché il rischio era di farsi logorare prima ancora di avviarla.
Peraltro, lo stato maggiore ucraino è ben consapevole delle difficoltà intrinseche al tentativo offensivo, per una serie di ragioni oggettive, legate alle condizioni delle forze armate di Kiev. Probabilmente, senza le forti pressioni anglo-americane, di cui Zelensky è divenuto portavoce, questa offensiva non sarebbe neanche stata pianificata; è anzi probabile che, anche per questa ragione, gli ucraini abbiano così a lungo temporeggiato, prima di avviarla.
In ballo
In ogni caso, adesso sono aperte le danze, e non sarà certo una passeggiata di salute. A quanto pare, come del resto era stato ampiamente previsto, la direttrice d’attacco è sostanzialmente quella Zaporozhye-Melitopol, poco ad est del confine tra gli oblast di Donetsk e Zaporozhye. Sebbene ancora non sia stato sferrato l’attacco vero e proprio, tutto lascia supporre che questo verrà portato – presumibilmente entro la terza settimana di giugno – esattamente in questo settore. Anche la distruzione della diga di Kakhovka (e la susseguente apertura delle chiuse della centrale idroelettrica sul Dniepr a Zaporozhye, a monte della diga), più che ad impedire una azione offensiva russa verso Kherson, sembra finalizzata a coprire il fianco destro di un attacco verso il mar d’Azov. In questa prima settimana di combattimenti, l’impegno ucraino nel settore (ben attestato dal fatto che, anche per queste incursioni ricognitive, vengano impiegati i carri recentemente ricevuti dalla NATO – Leopard 2, M-2 Bradley, AMX-10 ed altri) depone a favore di questa ipotesi.
Ovviamente è ancora presto per avere stime attendibilissime, sulle perdite da parte delle forze armate di Kiev, ma già alcuni dati – di fonte russa, gli ucraini come al solito tacciono su questo, e quando parlano sono inaffidabili – dicono che siamo nell’ambito delle funeree previsioni della vigilia: secondo Mikael Valtersson (3), con perdite di oltre 1000 morti e feriti in azione, una brigata ucraina di 4000 uomini perde almeno il 25% del suo manpower, ed è sul punto di divenire inutilizzabile; due giorni di combattimento con tali perdite distruggerebbero la capacità di battaglia di una brigata. 24 giorni con tali perdite in effetti distruggerebbero l’intero gruppo di 12 brigate che l’esercito ucraino ha raccolto per l’offensiva, e tutte le riserve strategiche che l’esercito ucraino ha costruito negli ultimi 6 mesi andrebbero perdute.
In pochi giorni, le forze ucraine hanno perso due o tre AMX-10, sei o sette Leopard 2, una decina di M2 Bradley, più decine di altri corazzati ed automezzi. In pratica, circa il 10% delle forniture NATO è già andato in fumo.
Che gli ucraini, muovendo all’offensiva, avrebbero avuto perdite pesanti era appunto largamente previsto; ciò accade normalmente, poiché l’attacco è la manovra più dispendiosa, in termini di mezzi e vite umane; era anche prevedibile che in questo caso fossero ancor più significative, per via della sproporzione di mezzi tra i due eserciti. Ma certo questi primi giorni non sembrano delineare un quadro accettabilmente positivo, per Kiev. Sino ad ora, infatti, tutti gli avanzamenti rivendicati dagli ucraini si collocano nella zona grigia, quella sorta di terra di nessuno che i due eserciti si contendono, ma sono sempre davanti alla prima linea fortificata russa (che ne hanno tre, stratificate in profondità), e si contano nell’ordine delle centinaia di metri.
Quello che si può osservare, pertanto, è che – almeno in questa prima fase – il dispiegamento dell’azione offensiva presenta almeno 4/5 aspetti problematici.
La presenza di vasti campi minati, ed al tempo stesso la scarsa disponibilità di mezzi per lo sminamento dinamico, ha portato spesso le unità ucraine ad avanzare incolonnate, rendendole più facilmente bersaglio dell’aviazione d’attacco russa.
L’artiglieria ucraina si è dimostrata abbastanza inefficace, sia nel fuoco di copertura all’avanzata dei reparti, che in quello di contro-batteria.
La mancanza di supporto aereo alle unità in avanzamento, anche se previsto, ne ha accentuato l’esposizione al fuoco nemico.
La necessità di proteggere i sistemi di difesa aerea, tenendoli a distanza di sicurezza, ha sostanzialmente lasciato campo libero all’aviazione russa nell’attacco ravvicinato.
La permeabilità degli strumenti di comunicazione e controllo all’azione dei dispositivi di disturbo schierati dai russi, ha reso meno efficace il necessario coordinamento tra le diverse unità, e tra queste ed i centri di comando.
Se, come appunto tutto sembra indicare, nei prossimi giorni verrà sferrato l’attacco vero e proprio, e questo sarà effettivamente indirizzato verso Melitopol, si può ipotizzare che ciò avvenga lungo l’asse Robotyne-Novoprovokivka-Kharkove-Tokmak (come sembra indicare il punto in cui stanno attualmente concentrando gli sforzi), o invece lungo l’asse Kopani-Chystopillia-Pokrovske-Molokans’k; questa seconda direttrice presenterebbe il vantaggio di un sostanziale varco nella prima linea difensiva fortificata russa. Entrambe comunque convergerebbero verso Tokmak-Molokans’k, laddove è presente un altro varco nella terza linea, proprio tra queste due località. A quel punto, le forze ucraine si troverebbero a sinistra la città fortificata di Tokmak, e sul fianco destro un’altra linea fortificata che scende quasi perpendicolarmente da Molokans’k verso Starobohdanivka. Il che non è ovviamente una situazione ideale… (4)
D’altra parte, sarebbe già un notevole risultato se l’esercito ucraino riuscisse a raggiungere queste posizioni, mantenendo una sufficiente capacità offensiva, e proteggendo alle spalle le vie di rifornimento logistico. Mantenere e consolidare poi una tale penetrazione, se pure ben lungi dal raggiungere la costa, potrebbe essere rivendicato come un grandissimo successo (anche se meramente tattico, e soggetto ad una controffensiva russa).
Tenendo conto che questo è, con ogni probabilità, l’ultimo tentativo che le forze ucraine possono mettere autonomamente in campo, per cercare di modificare la situazione sul terreno, è facilmente prevedibile che su questo siano comunque disposte ad investire pesantemente; il che significa accettare perdite assai rilevanti. Che ottengano un qualche successo tattico o meno, ritengo che il costo di questa offensiva sarà elevatissimo – almeno 20.000 KIA e WIA, almeno un migliaio di mezzi.
Dopo di ciò, non resta che arroccarsi in difesa, combattendo metro per metro, casa per casa. O, viceversa, affidarsi a forze esterne per un nuovo tentativo offensivo – la coalizione dei volenterosi di cui si parla da tempo, e che dovrebbe veder scendere in campo direttamente la Polonia ed i baltici. Una soluzione, questa, non solo estremamente pericolosa – sia perché potrebbe facilmente portare al confronto diretto NATO-Russia, sia perché potrebbe avere come esito la scomparsa delle tre repubbliche baltiche, sia perché aprirebbe comunque la strada alla spartizione dell’Ucraina ed alla sua estinzione come stato autonomo.
Dietro le quinte del conflitto
Mentre sul campo si apparecchia una battaglia significativa – forse la prima vera grande battaglia della guerra – non meno importanti manovre si dispiegano altrove.
Lo scenario strategico che si va delineando con sempre maggiore nettezza è, per un verso, un certo disimpegno bellico statunitense, che vede da un lato l’approssimarsi della campagna elettorale per le presidenziali USA, la crisi di bilancio, ed il dilazionarsi degli aiuti (gli ultimi stanziati arriveranno tra mesi, o addirittura il prossimo anno e successivi), mentre dall’altro cresce il dibattito-scontro tra chi propende per la guerra ad oltranza, e chi invece cerca una via d’uscita che salvi capra e cavoli.
Di sicuro, avendo ormai incastrato i paesi europei nel conflitto, Washington punta a scaricare buona parte dell’onere del supporto a Kiev proprio sulla vecchia Europa. Le leadership europee, infatti, se pure all’inizio un po’ dubbiosamente, si sono fatte trascinare fino in fondo nel conflitto, al punto tale da non poter più tornare indietro; sintomatico, sotto questo punto di vista, quanto affermato da Mario Draghi al MIT, pochi giorni addietro (5), secondo il quale non c’è altra scelta che sconfiggere la Russia e abbattere Putin, anche a costo di “un conflitto prolungato al confine orientale dell’Europa”, pena la distruzione dell’Unione Europea. Detto altrimenti, se l’Ucraina perde, saltano tutte le classi dirigenti europee, e con loro le istituzioni che hanno messo in piedi.
Se questo è, per sommi capi, il quadro complessivo al di fuori del campo di battaglia (6), gli scenari possibili – dal punto di vista dell’occidente collettivo – sono sostanzialmente tre. Il primo è quello in cui, appunto, gli Stati Uniti scaricano la patata bollente all’Unione Europea, nella consapevolezza che i governi europei sono disposti a tutto pur di non uscire sconfitti insieme all’Ucraina, e quindi si dissangueranno pur di trascinare la guerra all’infinito. La seconda è che, vittoria dei democratici o meno, i neocon riusciranno comunque a vincere il braccio di ferro interno alla leadership statunitense, e quindi a tenere la barra della prossima amministrazione sulla rotta della guerra sino alla vittoria. La terza infine che invece a prevalere siano i sostenitori della soluzione negoziale, e che quindi si cominci a sviluppare una rosa di ipotesi proponibili.
Il grosso limite, in tutti i casi, è però la lettura del conflitto che viene fatta negli ambienti politico-militari della NATO. Ad eccezione di poche lucide riflessioni, infatti, il minimo comun denominatore delle varie posizioni è che – sotto il profilo strategico – la guerra si trovi in una situazione irreversibile di stallo.
Questa interpretazione del conflitto si basa essenzialmente sulla convinzione che nessuno dei due contendenti sia in grado di prevalere sul campo, al di là da possibili quanto occasionali successi tattici, nonché sulla certezza che gli obiettivi della Russia siano territoriali (i quattro oblast e la Crimea) e politici (il rovesciamento del regime di Kiev).
A partire da questo assunto, ne deriva la certezza che non vi sarà vittoria militare per alcuno, e che quindi – quando la NATO vorrà – sarà possibile negoziare, scambiando ad esempio i territori con la preservazione del regime politico ucraino (a prescindere da Zelensky). Avendo questo scenario in mente, l’occidente ritiene che quando lo riterrà opportuno, sarà possibile mettere fine al conflitto con un sostanziale pareggio, senza indiscutibili vinti né vincitori – così che ciascuno possa poi dire a casa propria di aver effettivamente vinto…
Il punto ovviamente è che questa lettura è del tutto fallace.
Per la Federazione Russa, questa guerra è cominciata in quanto l’espansione della NATO sino ai propri confini, inglobando un paese importante come l’Ucraina, era semplicemente inaccettabile. E nel corso del conflitto ha poi maturato la convinzione che – indipendentemente dalla questione ucraina – l’occidente voglia comunque liquidare la Russia, porre fine alla sua esistenza come potenza indipendente. Qualsiasi soluzione negoziale, tanto più alla coreana come si ipotizza ora, è quindi semplicemente inaccettabile, senza sufficienti garanzie per la propria sicurezza. E, dopo le promesse sul non allargamento dell’Alleanza Atlantica, e gli accordi di Minsk, è chiaro che tali garanzie dovrebbero essere materialmente credibili. Pensare quindi che Mosca accetti un congelamento del conflitto (così che possa riprendere quando la NATO sarà nuovamente pronta), soprattutto dopo aver sostenuto una guerra sanguinosa, nella quale non è certamente sconfitta, è pura illusione.
Oltretutto, dal punto di vista del Cremlino, questa non è affatto una situazione di stallo. Non solo perché, sia pure lentamente, i russi continuano ad avanzare (7), ma soprattutto perché la scelta strategica non è quella di ottenere una rapida vittoria, che lascerebbe le forze ucraine ancora operative, quanto piuttosto quella di macinarle lentamente, arrivando alla distruzione completa del potenziale bellico di Kiev, ed assestando un colpo duraturo a quello della NATO stessa.
La situazione, quindi, sia sul campo di battaglia che fuori, si profila oggi come un tragico jeux de massacre. Ed il rischio è che, proprio come nell’opera di Ionesco (8), tutti muoiano.
Il fatto che tutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, nel conflitto, lo vivano come potenzialmente esiziale, non fa che rendere estremamente difficile individuare un punto di caduta diverso da quello dettato dalle armi. Sarebbe quindi auspicabile, anzi decisamente necessario, che si operasse affinché venga prioritariamente a cadere questa percezione. Ed a conti fatti, i soli per cui potrebbe essere più facile accettare questa prospettiva sono proprio gli USA. Per Washington non ci sono interessi vitali in ballo in Ucraina, e lo scontro per l’egemonia mondiale è inteso piuttosto con la Cina che con la Russia. E poi, diciamolo, gli Stati Uniti hanno acquisito una certa nonchalance nell’incassare smacchi e far finta che al contrario le cose vanno alla grande…
1 – Nell’incapacità di sviluppare azioni militari significative e di successo, ma al contempo pressati dall’esigenza di apparire sufficientemente reattivi ed offensivi, gli ucraini hanno intrapreso una crescente via terroristica, che ha abbondantemente superato i limiti dei quasi decennali bombardamenti sui civili del Donbass. Omicidi di giornalisti in territorio russo, l’attacco al Cremlino, le incursioni in territorio russo di unità DRG… Il tutto, con l’evidente supporto della NATO.
2 – All’interno, si trovavano circa 300 persone, tra ufficiali ucraini e di vari paesi NATO, oltre ad alcuni contractors per la gestione delle comunicazioni elettroniche, tutte morte nell’attacco.
3 – Noto analista militare, ex ufficiale delle forze armate svedesi.
4 – Una terza direttrice d’attacco potrebbe essere verso la città fortificata di Novomykhailiyka, più ad est. In tal caso la distanza da percorrere sarebbe inferiore, ma non ci sarebbero varchi nelle linee russe, ed alla fine si andrebbe a cozzare contro una città, impossibile da prendere d’impeto.
5 – In proposito, cfr. IlSole24Ore, stream24.ilsole24.com, e l’analisi di Giuseppe Masala, l’Antidiplomatico
6 – A riguardo, cfr. anche “Dopo Bakhmut”, Giubbe Rosse News
7 – Mentre l’attenzione è focalizzata sugli oblast di Zaporozhye, le forze russe continuano a conquistare posizioni nell’area di Kharkov, in direzione di Kupyansk, a Kreminna, nel Lugansk, a Maryinka, nel Donetsk…
8 – Jeux de massacre è un’opera teatrale di Eugène Ionesco, rappresentata per la prima volta in francese l’11 settembre 1970 al Théâtre Montparnasse in una messa in scena di Jorge Lavelli.
Ispirata al Diario dell’anno della peste di Daniel Defoe, la commedia si intitolava inizialmente The Epidemic. Fu rappresentata per la prima volta in tedesco, al Teatro di Düsseldorf nel gennaio 1970, con il titolo Il trionfo della morte.
Uno strano e sconosciuto male scende su una piccola città banale, tutti muoiono o hanno paura di morire. Da quel momento in poi, tutte le classi della società si incontrano e si evitano, temendo la contaminazione…
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