Commentando una prima sconfitta inferta alla Direttiva Natura 2000, Federico Punzi scriveva che, per una vera inversione di tendenza, vanno sommandosi taluni presupposti: “in Germania … la CDU di Friedrich Merz … è molto diversa da quella della ex cancelliera ed è incalzata da destra dal partito AfD; in Spagna, Grecia e anche in Francia, oltre che in Italia, la destra sembra avere il vento in poppa”.
A questi, vorremmo aggiungere un presupposto monetario. Che traiamo dalla lettura nient’affatto letterale, bensì critica di un discorso di Madame Lagarde, pronunciato il 23 giugno a Parigi.
Il contesto gretinissimo
L’occasione era offerta da un congresso dedicato ad un fine che più gretino non si può: “lotta alla povertà, neutralità carbonica entro il 2050, tutela della biodiversità”.
Visto che era organizzato da Macrone, naturale Lagarde si sia presentata. E, visto il contesto, naturale Lagarde lo abbia fatto con un discorso quanto più gretino possibile. Quanto gretino? Beh … non tantissimo. E spiegheremo il come ed il perché.
Una retorica gretinissima
Certo, nel discorso Lagarde fa atto di fede nel cambiamento climatico. Ma non si tratta di una novità, già al principio del proprio mandato si era sgolata: “Ho figli, ho nipoti. È solo che non voglio affrontare quei begli occhi chiedendo a me e agli altri: cosa hai fatto? Perché non hai combattuto per il mio futuro? Hai protetto la biodiversità?”.
Oggi, ripete che il cambiamento climatico è “la questione più urgente del nostro tempo … la soglia critica di 1,5°c … siccità, ondate di caldo e inondazioni da record”. Certo, sembra volersi impegnare: “è dovere di tutti compiere ogni passo possibile per garantire il raggiungimento dell’obiettivo climatico di Parigi”.
Certo, ci tiene a far sapere di aver trasformato il centro studi di Bce in un collettivo per attivisti gretini: “miriamo a … fornire prove a sostegno della necessità della transizione”. Ad esempio, “la ricerca di Bce mostra che, nella sola Europa, oltre il 70 per cento della nostra economia dipende fortemente dai servizi dell’ecosistema della natura” … qualunque cosa tale affermazione significhi e non sapremmo dire cosa.
Certo, si compiace che un coso chiamato “Network for Greening the Financial System, che riunisce 127 banche centrali e autorità di vigilanza di tutto il mondo, ha svolto un ruolo cruciale nell’accelerare l’azione globale e continuerà a farlo”.
Certo, quasi sottovoce accenna che il cambiamento climatico “influisce sull’inflazione”.
Sostanza molto diversa dall’apparenza
Ma sono solo parole. Poi passa ad assegnare i compiti e li assegna … ai governi. I quali debbono: (1) “onorare i propri impegni a finanziare la transizione … l’impegno per il clima da 100 miliardi di dollari assunto 14 anni fa alla COP15 di Copenaghen; (2) “mobilitare finanziamenti privati attuando politiche di transizione”; (3) “sbloccare ulteriori finanziamenti: la revisione dei quadri di adeguatezza patrimoniale delle banche multilaterali di sviluppo; (4) in generale “identificare e rimuovere gli ostacoli pubblici e privati alla finanza verde in tutto il mondo, ove possibile”.
E Bce? Così la gran madama: “le banche centrali di tutto il mondo possono e devono, nell’ambito dei propri mandati, sostenere l’inverdimento del sistema finanziario [the greening of the financial system]”. Ma che vo’ dì?! Spiega: “miriamo a gestire i rischi finanziari derivanti dal cambiamento climatico”. Più in dettaglio:
Abbiamo [1] adeguato le nostre partecipazioni in obbligazioni societarie e [2] modificato le nostre garanzie collaterali e la gestione del rischio per riflettere meglio i rischi climatici … [3] In qualità di autorità di vigilanza, ci assicuriamo che le banche prendano in considerazione i rischi climatici quando prendono decisioni commerciali e di prestito. [4] Sottoponiamo a stress test l’impatto del cambiamento climatico sull’economia e sulla stabilità finanziaria.
Insomma, l’inverdimento del sistema finanziario consiste di: un po’ di asset allocation, un pochino di risk weight, una spruzzata di stress test. E nulla più.
Né, per l’avvenire, i gretini potranno sperare oltre: in quanto, quelli di Lagarde non sono programmi futuri, bensì cose già decise: “queste trasformazioni sono avvenute in un periodo straordinariamente breve di pochi anni, riflettendo il crescente slancio dei nostri sforzi collettivi globali per combattere il cambiamento climatico”. Bce non farà altro: ha già dato.
Poco? Molto? Per chi scrive, decisamente troppo. Ma, per un gretino, veramente pochissimo: una miseria.
Obiettivo primario di Bce
Perché tale abisso fra la retorica e la sostanza? Per una ragione ben precisa: di mandato, cioè di poteri. Ripetiamo la citazione: “le banche centrali di tutto il mondo possono e devono, nell’ambito dei propri mandati, sostenere l’inverdimento del sistema finanziario”. Tradotto, Bce può fare solo ciò che i Trattati le consentono di fare.
E i Trattati, che dicono? Bce ha un obiettivo principale: “il mantenimento della stabilità dei prezzi” (119 Tfue e 127.1 Tfue e 2 Statuto). Il Trattato si limita all’enunciato, mentre la definizione di cosa esattamente significhi stabilità dei prezzi è lasciato al Consiglio direttivo di Bce.
In tale pertugio aveva cercato di infilarsi Lagarde, profittando di un procedimento rutinario detto revisione strategica. Ad esempio, dichiarando: “cercherò di convincere il Consiglio direttivo almeno ad accettare di interrogarsi circa l’azione legittima di una banca centrale nel partecipare alla lotta contro il cambiamento climatico. Conosco lo scetticismo di alcuni commentatori. Molto bene, ne discuteremo”. Ma questo primo spericolato tentativo di cambiare l’interpretazione dei Trattati senza cambiare i Trattati, non ha avuto esito.
Obiettivi secondari di Bce
Bce ha, poi, obiettivi secondari, che corrispondono agli obiettivi dell’Unione (3.1-2-3 Tue), di due tipi. Quelli del primo tipo, di natura assolutamente generica (pace, valori, benessere dei suoi popoli, etc.). Poi quelli del secondo tipo, più strettamente economici:
L’Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.
In altri termini, l’obiettivo secondario della qualità dell’ambiente è basato sulla stabilità dei prezzi. Per tutti vale una premessa: “fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi … sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione” (119 Tfue e 127.1 Tfue e 2 Statuto).
Laddove il piccolo “fatto salvo” è meglio definito nel testo francese (“senza che ciò pregiudichi l’obiettivo della stabilità dei prezzi”) e nel testo tedesco (“sino a che ciò è possibile senza pregiudicare l’obiettivo della stabilità dei prezzi”). Ergo, gli obiettivi dell’Unione sono, per Bce, obiettivi secondari.
Casomai il concetto di obiettivo principale non fosse abbastanza chiaro … la panoplia degli obiettivi secondari viene organizzata dal Consiglio in “indirizzi di massima” (121 Tfue) “nel rispetto dei principi di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione delle risorse, conformemente ai principi di cui all’articolo 119” del Tfeu (120 Tfue), cioè in conformità ai “seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile” (119 Tfue). In altri termini, tutti gli obiettivi dell’Unione (gli obiettivi secondari di Bce) sono soggetti al principio dei prezzi stabili.
Come l’Unione, così pure Bce “agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione delle risorse, e rispettando i principi di cui all’articolo 119” del Tfeu (2 Statuto), cioè rispettando i suddetti “seguenti principi direttivi: prezzi stabili …” (119 Tfue).
In altri termini, prezzi stabili costituisce un prerequisito a qualunque obiettivo secondario di Bce.
Il nesso causale clima-inflazione
Per condurre una politica monetaria gretina, quindi, Lagarde dovrebbe prima dimostrare un nesso causale fra cambiamento climatico ed inflazione: a norma di Trattato, un obiettivo secondario può essere perseguito solo se è disinflattivo.
Lagarde ci ha provato. Prima asserendo che, “poiché abbiamo questo mandato di stabilità dei prezzi … il cambiamento climatico ha effettivamente un impatto sulla stabilità dei prezzi”, “il finanziamento dei combustibili fossili diventerà più costoso”, “è una cosa alla quale tengo molto”. Poi che nel mandato “abbiamo solo la stabilità dei prezzi; ma io sostengo che la stabilità dei prezzi possa essere significativamente influenzata dal cambiamento climatico“.
Poi ancora, “dobbiamo tener conto delle questioni climatiche, perché hanno un impatto sulla stabilità dei prezzi, il nostro mandato principale”. E una traccia di tale tentativo è restata pure nel discorso dal quale eravamo partiti nel quale, come abbiamo visto, ha ripetuto che il cambiamento climatico “influisce sull’inflazione” … benché molto sommessamente.
Alla bisogna si era applicato pure il governatore della Banca di Francia: François Villeroy de Galhau aveva sostenuto che il riscaldamento globale potrebbe aumentare i prezzi dell’energia, dunque l’inflazione.
Una invenzione strumentale
Tanto interesse francese per la tutela dell’ambiente naturale può stupire solo chi non avesse colto la strumentalità della posizione: a Emmanuel Macron (che, immaginiamo, mangia un Panda a colazione e, per cena, si fa servire solo specie animali in via di estinzione) l’ambiente serve da mero strumento per attivare, per la prima volta, un obiettivo secondario accanto all’obiettivo principale della stabilità dei prezzi.
In altre parole, al solito Parigi mirava a cambiare l’interpretazione dei Trattati senza cambiare i Trattati. Infatti, una volta creato tale precedente, si sarebbe potuto procedere ad attivare pure gli altri obiettivi, il “progresso scientifico e tecnologico” ad esempio, perché no la “piena occupazione” (sempre se non inflazionistica).
Un obiettivo popolare, pure fuori dalla Francia. Che contribuisce a spiegare il perché troppi italiani siano usi a difendere Macrone anche se ci vuol solo del male, a sostenere Greta pure quando se ne vergognano.
A controprova, portiamo il fatto che, al contrario di Bce, la Fed abbia pacificamente stabilito di continuare ad escludere i temi gretini dalla propria agenda: e per forza, essa ha già la massima occupazione fra i propri obiettivi principali, dunque non ha bisogno di sotterfugi per cercare di resuscitarlo dal limbo degli obiettivi secondari.
Il solito Nein tedesco
Purtroppissimo, Bundesbank ha opposto l’ovvio dato di fatto che qualunque sostegno all’investimento gretino è politica espansiva della spesa, dunque inflazionistico.
Concetto che Isabel Schnabel, la tedesca vera capa di Bce, ha saputo tradurre in un gergo da banca centrale contemporanea. Concedendo sì l’esistenza di una inflazione climatica (climateflation – “con l’aumentare del numero di disastri naturali e gravi eventi meteorologici, aumenta anche il loro impatto sull’attività economica e sui prezzi”); nonché di una inflazione fossile (fossilflation – “il costo della preesistente dipendenza dalle fonti energetiche fossili che, negli ultimi decenni, non è stato ridotto con sufficiente autorità”). Sin qui dando ragione ai francesi.
Ma pure aggiungendo l’esistenza di una inflazione verde (greenflation – “la maggior parte delle tecnologie verdi richiede quantità significative di metalli e minerali … con l’aumento della domanda, l’offerta è limitata a breve e medio termine”) che, guarda caso, spiega a perfezione come qualunque sostegno all’investimento gretino sia inflazionistico.
Esiste “un importante paradosso nella lotta contro il cambiamento climatico: quanto più rapido e urgente diventa il passaggio a un’economia più verde, tanto più costoso può diventare nel breve periodo … poiché sempre più industrie passano a tecnologie a basse emissioni, ci si può aspettare che la inflazione verde eserciterà una pressione al rialzo sui prezzi di un’ampia gamma di prodotti durante il periodo di transizione”.
Tradotto, il gretinismo è una causa di inflazione, non la soluzione per l’inflazione: è il gretinismo stesso a portare inflazione. Con ciò abbattendo dalle fondamenta l’apparato concettuale parigino.
Conclusione della Schnabel: “la politica monetaria non può semplicemente ignorare gli effetti della transizione verde, se minacciano di compromettere il raggiungimento del nostro mandato primario di stabilità dei prezzi”. Con tanti saluti ai francesi.
Il solito sacco vuoto per Parigi
Tutto ciò che Bundesbank ha concesso a Parigi, è quel po’ di asset allocation, di risk weight, di stress test che abbiamo visto vantati da Lagarde con il faraonico titolo di inverdimento del sistema finanziario.
Ma svuotati di contenuto. Come descritto in dettaglio dalla stessa Schnabel, lo scorso gennaio a Stoccolma. In particolare, (1) quanto alla asset allocation, la fine di QE e PEPP e l’inizio delle vendite nette limita “in modo significativo” qualunque effetto gretino; inoltre, non si applica a obbligazioni garantite ed ABS, e neppure ai titoli pubblici. (2) Quanto al risk weight: “tali misure avranno solo un piccolo impatto sulle garanzie complessive fornite dalle nostre controparti” … e c’è da crederle, in quanto Bundesbank è sempre stata (giustamente) convinta che scegliere quale settore favorire sia affare degli Stati e non di Bce. (3) Quanto agli stress test delle banche private, la stretta monetaria in corso già riduce le masse creditizie e, quindi, limita qualunque effetto gretino, il che per lei è un bene in quanto “Bce ha da tempo dimostrato che i mercati azionari sono più efficaci delle banche nel sostenere la decarbonizzazione dell’economia”.
D’altronde, tali punti erano stati accettati sin dal principio dal mitico Jens Weidmann, dunque si può ben comprendere che disastro di negoziazione abbiano condotto i francesi.
La solita irriverenza tedesca
Insomma, tutto ciò che Bundesbank ha concesso a Parigi è un sacco vuoto. Sì, si tratta di cose che Lagarde aveva auspicato, come second best, al proprio arrivo a Francoforte … ma era un mondo diverso: il mondo del QE e del PEPP che, nel frattempo, è morto e sepolto.
Il trionfo è a tal punto perclaro, che i tedeschi si concedono la solita irriverenza. Così Schnabel: “fatto salvo il mandato primario di Bce di stabilità dei prezzi, siamo obbligati a sostenere le politiche economiche generali dell’Ue in linea con il nostro obiettivo secondario. Dobbiamo quindi garantire che tutte le politiche di Bce siano allineate con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°c”. Quando l’esito vero è tutto il contrario.
I tedeschi, si sa, sono forti in negoziazione ma altrettanto in ipocrisia. E mancano disperatamente di stile.
Conclusioni
Orbene, tutto ciò non rileva solo per la politica monetaria, bensì costituisce un ulteriore presupposto per quella che su Atlantico Quotidiano chiamiamo Greenexit: l’eventuale successo francese era la scialuppa di salvataggio alla quale si aggrappavano coloro che ancora speravano nel QE-eterno.
Oggi, quella scialuppa è andata a fondo e speriamo si porti dietro tutto l’infame gretinismo. La sconfitta francese è tal punto perclara, che Lagarde la ha candidamente confessata: il 27 giugno a Sintra, con un discorso al quale dedicheremo il prossimo articolo.
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