Max Del Papa: «L’Italia malata dopo il trauma pandemia, una guerra non dichiarata»
di DIARIO DEL WEB (Fabrizio Corgnati)
Il giornalista Max Del Papa racconta ai microfoni del DiariodelWeb.it il suo ultimo libro «Vale tutto. Fine della realtà, scomparsa della logica: un Paese malato»
La «fine della realtà», la «scomparsa della logica», un «Paese malato». È la lucida quanto amara descrizione dell’Italia post-pandemia tracciata dal sottotitolo di «Vale tutto», l’ultimo libro del giornalista Max Del Papa. Una chiacchierata con il lettore, su cosa ci hanno fatto e cosa siamo diventati, la descrive lo stesso autore in questa intervista ai microfoni del DiariodelWeb.it.
Max Del Papa, da che malattia è affetto il nostro Paese?
La più grossa credo sia la sindrome da stress post-traumatico che abbiamo accumulato in questi due anni e mezzo. Durante i quali ci hanno rinchiusi senza una ragione, perché come abbiamo visto non serviva. O meglio, serviva solo a loro. Così come non servivano i ricatti o gli obblighi per vaccinare: quei preparati non facevano bene né immunizzavano.
Nasce tutto con il periodo della pandemia, insomma.
Abbiamo vissuto una guerra non dichiarata. E, quando si torna da una guerra, c’è lo stress. Da lì discende tutta una serie di altri mali: la tenuta sociale si sfalda, la violenza cresce, così come l’irrazionalità e la confusione mentale.
Non si è mai tornati alla normalità.
Questa mi sembra solo una tregua. La fase emergenziale è finita più per esaurimento sociale, o per la caduta del governo. L’esecutivo che è subentrato ha capito che non poteva continuare così, però ha congelato tutto, non ha tolto gli strumenti di controllo. L’Europa dice apertamente che saranno ripresi e potenziati, perché arriveranno nuove emergenze. La logica della paura è ancora lì.
Non intravede nessuna via d’uscita?
Io non trovo più motivo per essere ottimista. Seguo la cronaca per lavoro e non vedo più punti di riferimento a cui ancorarmi. Non c’è più il confine tra reale e irreale, razionale e irrazionale. La gente pensa di riuscire a scoprire ogni complotto, ma alla fine crede a tutto. Lo riscontriamo in questo periodo: i comportamenti non sono più quelli di prima. Oltre che orribili e feroci sono demenziali.
A cosa si riferisce?
Penso ai ragazzini che sparano in faccia alle professoresse, per poi essere promossi con 9 in condotta. Al barista fallito di periferia che tira cinquanta coltellate alla fidanzata incinta, perché non lo vuole più, e sui social fa finta che sia ancora viva. Ai cinque balordi che tritano un bambino su una fuoriserie.
L’incidente stradale degli youtuber ha colpito molto l’opinione pubblica.
Una persona normale vivrebbe in un abisso di disperazione per quello che ha fatto. Loro no: prima lo filmano mentre crepa, poi ridono perché non hanno più l’anima, poi mentono o fanno le vittime. L’avvocato sostiene che andavano a 40 all’ora, mentre andavano a 120. E i genitori non si preoccupano, pensano di sistemare tutto con un pacco di soldi. Si è sguinzagliato il peggio della pazzia. Poi ci si mettono pure le ideologie.
In che senso?
Ho letto di un certo Lucas, un 27enne svizzero, che per evitare il servizio militare obbligatorio è diventato trans. Ma senza alcuna operazione chirurgica né percorso psicologico: gli è bastato compilare un modulo e pagare 75 franchi di tasse, così la Confederazione elvetica lo ha riconosciuto come donna. Allora vale veramente tutto.
La questione non è più solo politica, è cognitiva: è venuto meno il principio di realtà.
Sì. La demenza è anche della politica, che lo avalla e lo determina. Il vicepresidente della Commissione europea Timmermans sostiene che il pianeta sia in pericolo e per salvarlo bisogna spopolare la razza umana. La gestione sociale viene appaltata al miliardario Bill Gates che prepara un’altra pandemia a ottobre. Io ho sessant’anni: una roba così non l’ho vista mai.
La politica avrà una sua responsabilità, ma anche l’informazione.
L’informazione non c’è più, e non perché è prezzolata. È come il pollo con la testa tagliata, che corre ancora per qualche metro perché il sistema nervoso continua a muoverlo, ma in effetti è morto. Questo mestiere mi sembra la stessa cosa. Non è tanto che il secondo giornale italiano, Repubblica, faccia una pagina per discutere chi tiene i gatti tra Damiano dei Maneskin e la sua ex fidanzata. È che agli incontri e alle presentazioni dei giornalisti si sentono sempre le stesse scemenze.
Ossia?
I lettori non ci seguono più, i nostri figli non comunicano con noi… Discorsi da portineria, che però fanno i giornalisti. E poi la neolingua. La neolingua sono le fesserie come quella ragazza che parla in corsivo o la Murgia che si inventa le vocali rovesciate. Ma quando ci hanno chiusi dentro hanno usato la lingua che c’era: ci hanno tolto i diritti fondamentali e ce l’hanno detto chiaro e tondo. Ci vogliono trasformare da individui in mattoni di un muro, senza identità, né sessuale né personale, senza proprietà, che è un prolungamento di quello che siamo. Ci dicono che non avremo niente e staremo bene, che non saremo nessuno e saremo felici.
Allora l’antidoto non dovrebbe essere l’esercizio del nostro libero arbitrio?
Sì, ma bisognerebbe che fosse mantenuto il presupposto, che invece mi pare non interessi più molto a nessuno. Ci sono due parole che oggi sono maledette. Una è individuo, termine che in senso cristiano sottolinea la nostra unicità di creature di fronte a chi ci ha creato e ci ama. Semmai si parla di individualismo, che porta un’accezione spregiativa. L’altra è responsabilità: l’individuo ha un’anima, l’anima porta a una coscienza, la coscienza porta a una scelta, la scelta porta alla responsabilità.
Che accoglienza ha avuto il libro finora?
Non mi aspettavo molto, perché è molto cupo, polemico, senza spiragli. Poi perché l’ho pubblicato da solo: volevo farlo uscire in fretta e senza discutere con gli editori. Non ho fatto neanche promozione. Pensavo che non se ne sarebbe accorto nessuno, invece sono rimasto colpito dal numero di persone che lo sta scegliendo e dalle loro reazioni. Questo mi ha incoraggiato e mi sono buttato subito a scrivere il seguito, sull’Unione europea, che uscirà a fine settembre.
Forse vuol dire che qualcuno ha bisogno di sentire questo messaggio.
Bisogno è una parola grossa, però forse in un certo senso è vero. L’interesse ha dimostrato che aveva una ragione di esserci. Qualcuno si è rispecchiato in questo mio grido di rabbia, forse ha percepito che fossi sincero. Ho raccolto i racconti di persone che hanno perso tutto: la salute, il corpo, i parenti, il lavoro, la dignità. Io stesso, che ho fatto due vaccinazioni, fisicamente non sono più stato lo stesso.
Lei ha sempre espresso un punto di vista chiaro su Putin. Cosa pensa ora, anche alla luce degli ultimi avvenimenti?
Io non sono un esperto, ma da osservatore mi fa ribrezzo entrare nella logica della tifoseria, con una guerra in corso. La propaganda ipocrita dei putiniani, di chi lo ritiene il meno peggio, ricalca parola per parola quello che si diceva di Hitler nel 1938: lasciamolo fare, se no chissà che cosa succede. A forza di lasciarlo fare siamo arrivati alla seconda guerra mondiale. Io non ho mai difeso né Putin né Zelensky, che mi sembra anche lui un pessimo soggetto, né il sistema atlantico, perché ho fortissime riserve sull’America. Qui c’è un’invasione e un popolo che butta il sangue, in maniera feroce, per difendersi. Dico solo una cosa molto semplice.
Quale?
Che Putin ha sbagliato i suoi calcoli, ha fatto il passo più lungo della gamba e a un certo punto l’avrebbe pagata. Comincia a perdere peso e sono sicuro che salterà per aria in capo a pochi mesi, forse poche settimane. Finora lo ha tenuto su la Cina, che è più grossa di lui, ma quando non servirà più lo butteranno via. Se la guerra va avanti da sedici mesi non è perché non ci siano i negoziati, ma perché conviene tirarla per le lunghe. Anche agli Stati Uniti, che sono pragmatici: vogliono rosolare Putin e se ne fregano delle popolazioni che muoiono.
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