Marelli in vendita, duro colpo all’automotive italiano
di STRISCIA ROSSA (Francesco Di Napoli)
La Marelli a Crevalcore compie 50 anni quest’anno, una storia che nasce nel 1973 come fonderia di alluminio e pressofusione di componenti per l’allora carburatore, quindi come fabbrica di componenti per motorizzazioni varie. Una storia che ha visto fino a pochi anni fa uno sviluppo dello stabilimento che è arrivato a contare oltre 350 dipendenti a libro paga oltre a decine di lavoratori in somministrazione.
Nel 2018 FCA ha venduto la Marelli a un fondo americano
Il calo è iniziato già nell’era FCA, con Marchionne. Che già aveva spacchettato la holding Marelli in sottodivisioni per facilitarne la vendita. Cosa che è andata in porto nel 2018 quando FCA vende Marelli a Calsonic Kansei, una controllata del fondo statunitense KKR.
Sia la vecchia che la nuova proprietà hanno tuttavia sempre continuato con la produzione classica di componentistica per motori endotermici, aggiornandone le caratteristiche per omologarle agli standard di emissioni di scarico (Euro 4, euro 5, euro 6, ecc.). Tutti componenti che Crevalcore ha continuato sempre a produrre per commesse legate ad ordini FCA, continuando ad essere di fatto un anello di una filiera monocommittente. Né FCA, né Calsonic hanno mai avviato un piano industriale che prevedesse sviluppo e produzione di componentistica per motori elettrici o altro, legato alla transizione ecologica.
Man mano che le commesse FCA sono diminuite, la Marelli di Crevalcore ha vissuto anni di incentivi all’esodo di impiegati ed operai per alleggerirne la pianta organica. Siamo arrivati quindi nel 2023 al minimo storico di 229 dipendenti.
Negli incontri sindacali previsti contrattualmente l’Azienda non ha mai tuttavia dichiarato una situazione di particolare difficoltà strutturale. Anche nel 2023 ha sempre ribadito che c’era un orizzonte temporale di produzioni e prodotti fino al 2028, che sarebbero dovute arrivare le linee di produzione dell’Euro 7 che avrebbero garantito produzioni ed organico.
L’ultimo incontro “normale” avuto con la Società è stato a giugno in Confindustria a Roma. Qui l’Azienda per la prima volta ha posto un problema di sostenibilità finanziaria dello Stabilimento denunciando un disavanzo importante legato in particolare al reparto fonderia considerato “energivoro” e pocho profittevole. Nulla però che mettesse in discussione il sito ed il suo futuro produttivo. Dopo questo incontro che è suonato come un campanello di allarme le OO.SS. hanno chiesto immediatamente un tavolo istituzionale in Regione ER che si è svolto il 6 luglio. I tre sindacati hanno denunciato in questa sede la mancanza di un piano industriale a lungo termine e di nuove filiere produttive, ma anche lì, davanti alle Istituzioni, l’Azienda ha negato un problema strutturale di stabilimento, indicando invece per il reparto Plastica (che occupa i due terzi dello stabilimento) nuove commesse e prodotti durevoli fino al 2028, confermando quindi il mantenimento del sito.
Undici stabilimenti e a Crevalcore (229 dipendenti) la situazione più drammatica
Si arriva quindi al 19 settembre, incontro in sede di Confindustria a Roma per discutere del piano industriale. Un piano industriale che vede una situazione altalenante ma non critica per tutti gli stabilimenti del gruppo in Italia (sono 11 in totale), tranne Crevalcore, che viene lasciata per ultima in quanto per lei l’Azienda fa l’annuncio choc dell’avvio di procedura di delocalizzazione che prevedrebbe, nelle loro intenzioni, la chiusura del sito produttivo entro il 31 dicembre.
L’annuncio arriva quasi in contemporanea, al tavolo a Roma, con l’invio ufficiale delle PEC alle OO.SS. e tramite mail a tutti i dipendenti del gruppo. I dipendenti in fabbrica sono sotto choc, parte uno sciopero spontaneo e ci si ritrova fuori ai cancelli nell’incredulità generale. Arriva la delegazione da Roma, continua lo sciopero, si prendono le prime decisioni che daranno vita in breve allo stato di agitazione permanente, tre giorni di sciopero ed il presidio ai cancelli che si pone come obiettivo di “non fare uscire neanche un bullone”.
Il presidio va avanti ad oltranza
Il presidio prende quindi forma, giorno dopo giorno arrivano gazebo, strutture, tavoli, sedie, container. Si sta lì h24 ma lo sciopero diventa articolato, con turni al presidio di un’ora (in sciopero) ed il resto di lavoro, per rendere la lotta sostenibile e di lunga durata.
Inizia da subito anche la narrazione del presidio attraverso un diario online, dove quotidianamente si aggiornano i lettori sullo stato della vertenza, gli ospiti che arrivano in sostegno, pubblicando foto e video dei momenti più salienti. Come l’incontro in Regione del 28 settembre, conclusosi con una fumata nera o la faiccolata di domenica 1 ottobre con tutta la comunità crevalcorese e dei dintorni che si è stretta a sostegno delle lavoratrici e lavoratori di questa vertenza.
Fino ad arrivare all’incontro di ieri, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Dove al tavolo l’Azienda ha dichiarato formalmente che sospende la procedura di chiusura dello stabilimento a tempo indeterminato poiché contestualmente apre una manifestazione pubblica di interesse per il sito produttivo di Crevalcore affinché un investitore esterno possa acquistarlo e reindustrializzarlo. In parole povere, l’Azienda mette fuori dai cancelli il cartello VENDESI e, nell’attesa che si faccia vivo qualcuno, tiene aperto lo stabilimento.
Prossimo appuntamento al ministero è l’8 novembre, per verificare l’andamento di questo percorso. L’Azienda chiede anche che si allenti il presidio, che si facciano fuoriuscire i prodotti assemblati. Oggi i lavoratori si riuniranno in assemblea e decideranno, ma gli animi sono arrabbiati e delusi. Poiché di concreto non c’è ancora nulla e difficilmente senza certezze per il futuro il presidio cesserà la sua funzione: che è quella di salvaguardare il sito produttivo ed il lavoro per tutti e 229 i dipendenti.
Fonte: https://www.strisciarossa.it/marelli-in-vendita-duro-colpo-allautomotive-italiano/
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