Fonte: Breaking the silence on NGOs in Africa – a review di Zachary J. Patterson, pubblicato in Review of African Political Economy. Traduzione a cura di Gavino Piga, con la collaborazione di Domenico Fiormonte
Nel 2023 l’Africa ha vissuto una rinnovata ondata di proteste popolari su temi come le responsabilità dei governi, le disuguaglianze economiche e il coinvolgimento nel processo democratico, nodi che hanno determinato il diffondersi delle manifestazioni. Su e giù per il continente, le comunità si stanno organizzando contro l’alto costo della vita e la disoccupazione, l’irregolarità delle elezioni e la corruzione dei governi, l’autoritarismo e la violenza della polizia, guadagnando slancio e attenzione internazionale attraverso l’azione collettiva diretta. Migliaia di tunisini marciano per le strade contro l’arrivo al potere del presidente Kais Saied e la crescente repressione delle voci di opposizione in un quadro di inflazione sempre più acuta. Le proteste contro la detenzione del leader dell’opposizione Ousmane Sonko continuano in Senegal, mentre i giovani elettori che esprimono preoccupazione per la corruzione nel mondo politico, il deterioramento della democrazia e le scarse opportunità economiche si scontrano con le forze di sicurezza. I leader sindacali in Sudafrica mobilitano i lavoratori in tutta la nazione per chiedere tagli dei tassi di interesse, riforme del mercato dell’elettricità e crescita dell’occupazione, mentre il governo approva aumenti salariali per i titolari di cariche pubbliche, e i disordini sociali si ampliano a causa delle incertezze economiche e della mano pesante usata dalla polizia. Le proteste antigovernative in Kenya a causa dell’aumento delle tasse, del costo della vita e delle recenti irregolarità elettorali, alimentate dal leader dell’opposizione Raila Odinga, sono state accolte con lacrimogeni e pallottole vere da forze di polizia militarizzate, con un bilancio di circa 75 morti alla fine di luglio.
Il capitalismo neoliberista – come il vasto processo di deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione che ha infettato il continente dal 1980, ristrutturando le dimensioni politiche, socio-economiche, culturali, ecologiche, e impedendo l’emancipazione coloniale e l’autonomia nazionale – è in crisi. Gli africani stanno approfittando del momento storico e si stanno sollevando contro i governi neocoloniali, simpatizzanti dell’ideologia liberista e da essa guidati. Come si è visto negli ultimi mesi, i cittadini che si mobilitano per il cambiamento affrontano una violenta repressione poliziesca sostenuta dalle élites che intendono mantenere il potere. Tuttavia, oltre alle preoccupazioni per la sicurezza nelle manifestazioni, gli organizzatori che tengono in considerazione il sostegno internazionale e la collaborazione con le ONG – allo scopo di ottenere maggiore visibilità, legittimità e sicurezza – sono invitati dal Kenya Organic Intellectuals Network, nel libro Breaking the Silence on NGO in Africa, a procedere con cautela, per evitare di cadere nella trappola del discorso sui diritti occidentali, nella retorica riformatrice e nelle dinamiche del movimento liberale.
Dalla loro ascesa alla ribalta come agenti di fornitura di servizi negli anni Novanta e fino ad oggi, le ONG sono cresciute esponenzialmente in dimensioni e influenza, costruendo reti con attivisti di base per offrire soluzioni alla crescente disuguaglianza, all’autoritarismo dittatoriale e ad altre conseguenze patologiche del neoliberismo. Tuttavia, spesso i problemi che le ONG dicono di voler affrontare non migliorano né cambiano, e i loro sforzi, così come i loro limitati successi, si allontanano dalle aspirazioni e dalle lotte delle comunità di base. In Breaking the Silence of NGO in Africa, i membri del Kenya Organic Intellectuals Network esplorano il ruolo che il discorso e la partecipazione delle ONG hanno avuto nelle lotte contemporanee per un cambiamento radicale in Africa. Considerando e riflettendo su Silences in NGO Discourse: The Role and Future of NGO in Africa di Issa Shivji (2007), gli autori presentano le loro esperienze in queste organizzazioni – storie di frustrazioni e contraddizioni – e l’impatto che le ONG hanno avuto nei movimenti popolari in tutto il continente. Gli autori forniscono una cronologia storica della resistenza in Kenya, Zimbabwe e nel resto dell’Africa, mettendola in relazione con i fattori soggettivi esistenti in ciascuna fase, e su questa base viene tracciata una relazione tra i movimenti sociali e le ONG nella nostra epoca. Il libro, tempestivo ed essenziale, contiene approfondite riflessioni su come le ONG svolgano un ruolo fondamentale nel soffocare lo sviluppo e l’indipendenza dei movimenti radicali africani, offrendo un importante monito da parte di tutti coloro che sono coinvolti nella lotta per la liberazione dalla dominazione neocoloniale e dalle condizioni oppressive imposte dal neoliberismo.
Resistenza, giustizia e liberazione
Il Kenya Organic Intellectuals Network è composto da organizzatori attivi nella lotta per far crescere i movimenti progressisti in Kenya e rivitalizzare un più ampio movimento rivoluzionario, panafricanista e con un orientamento socialista. Impegnati nella politica rivoluzionaria, i membri di questa rete diversificata stanno sfidando le dinamiche e gli effetti del neoliberismo affiliandosi a una varietà di iniziative, tra cui la Lega socialista rivoluzionaria, Kongamano la Mapinduzi, il Partito comunista del Kenya, la Biblioteca Ukombozi e centri di giustizia sociale a Mathare o in altri insediamenti informali di Nairobi. L’Organic Intellectuals Network si è formato nel 2021 con lo scopo di formare scrittori e pensatori attivi all’interno del movimento per la giustizia sociale, storicizzando la resistenza africana e la politica progressista attraverso la lettura collettiva, il dialogo condiviso e la scrittura riflessiva. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di amplificare le voci degli attivisti di base che oggi espongono articolatamente gli effetti del capitalismo nelle loro comunità a Nairobi attraverso parole e pratiche. Con le loro pubblicazioni, i forum pubblici e le attività comunitarie correlate, i compagni rivelano a se stessi e alle masse una storia nazionale e continentale repressa di alternative radicali e progressiste al dominio della conoscenza neoliberista, così come la mentalità e gli approcci che più hanno condizionato idee e azioni politiche di gran parte dell’Africa mascherando le crisi create dal capitalismo. Insieme, esplorano concetti teorici relativi all’attuale momento storico e applicano queste forme di comprensione alle esperienze vissute, costruendo un’ideologia radicale – critica dell’egemonia della classe dominante – e una politica altrettanto radicale per il cambiamento rivoluzionario.
La Rete utilizza il concetto di “intellettuale organico” sviluppato dal marxista italiano Antonio Gramsci, per il quale è organico l’intellettuale che ha una connessione diretta con la struttura economica della propria società e della propria classe. Unendo vari elementi dai discorsi delle voci emarginate per formare e articolare un’ideologia comune e organica – radicata nella storia della lotta di classe condivisa – si crea un principio egemonico che può essere utilizzato per sfidare gli aspetti culturali e ideologici prevalenti – la sovrastruttura – del potere statale e della classe dominante. Il concetto di “ideologia organica” è centrale nella comprensione della “filosofia della prassi” di Gramsci – l’applicazione del marxismo come relazione riflessiva e mediatrice tra teoria e pratica. Insieme, ideologia e prassi possono essere usate per comprendere l’egemonia in quanto compiuto strumento della politica, per comprendere cioè come il potere sociale possa essere praticato per affrontare o preservare le relazioni di classe. Il mantenimento dell’egemonia prevalente e delle relazioni storicamente squilibrate sotto il capitalismo globale richiedono sia la forza coercitiva che il dominio delle idee per il consenso di massa, rendendo le alternative impensabili e impraticabili e neutralizzando i modi antagonisti di essere.
Come spiega Brian Mathenge, “è infatti il pensiero di Antonio Gramsci, strettamente integrato con i contributi di Walter Rodney, che ha ispirato la creazione e l’adozione dell’istituzione politica e organizzativa della Rete degli intellettuali organici” come anche l’uso della teoria nell’analisi critica dell’attuale sistema egemonico e della pratica riflessiva nell’organizzazione rivoluzionaria. Applicando questa comprensione, l’iniziativa utilizza “strumenti del materialismo storico e dialettico per analizzare la società e produrre conoscenza radicata nella lotta della gente comune” per raggiungere la sua missione di sfidare l’egemonia neoliberista – abolendo la censura ideologica della classe dominante – e ispirare il pensiero e l’azione rivoluzionaria.
L’espansione della Nuova Agenda Politica che enfatizza discorsivamente la riduzione della povertà, il buon governo e la cittadinanza democratica, promossa dagli stati donatori occidentali e dalle istituzioni finanziarie dopo la fine della Guerra Fredda ha lasciato il posto alla maggiore presenza delle ONG nella fornitura di servizi e nelle campagne di difesa per la costruzione delle istituzioni e dei diritti umani in Kenya. Come attori chiave del “terzo settore”, le ONG sono state descritte, introdotte e giustificate all’interno del quadro concettuale della società civile – un terreno conflittuale di relazioni borghesi e associazioni individuali, in cui le ideologie dominanti sono pervasive e ove si sostiene il potere statale e l’egemonia appare stabile. Come spiega Shivji, “le ONG sono nate nel grembo del neoliberismo e consapevolmente o meno partecipano al progetto imperiale” denominato globalizzazione, rinnovando e rafforzando il dominio occidentale in Africa. Proprio come l’impresa coloniale ha usato la chiesa e i missionari in quanto agenti civilizzatori – legittimando il ruolo dei colonialisti occidentali e condannando i combattenti per la libertà – le ONG sono state utilizzate nel progetto di globalizzazione come soldati ideologici che parlano il linguaggio dei diritti umani (laici e non politici) favorendo l’accettazione dell’ideologia neoliberista, l’ascesa di una classe compradora capitalista e la sottomissione delle masse al dominio imperiale.
Facendo eco ai contributi di Glen Wright (2012), Maurice Amutabi (2006) e James Petras (1999), questo libro sostiene che le ONG dominino gran parte della definizione e della gestione dello sviluppo in tutta l’Africa oggi, rispecchiando gli interessi dei loro finanziatori occidentali, il che ha portato all’incrollabile predominanza del neoliberismo. Secondo Lewis Maghanga, tuttavia, a differenza della storia missionaria coloniale, sarebbe sbagliato presentare il rapporto tra ONG occidentali e agenzie donatrici come una sorta di complotto consapevole. Semmai, come egli spiega, “la cooptazione delle ONG nella causa neoliberista riflette, più che un piano premeditato, una coincidenza ideologica… [dove] i sostenitori del neoliberismo vedevano nello sviluppo caritatevole la possibilità di far rispettare l’ordine sociale ingiusto, che essi desideravano, con mezzi consensuali piuttosto che coercitivi. Un’eccellente combinazione d’interessi e un’opportunità per mascherare l’intenzione e la natura del sistema capitalista”.
Dalle loro riflessioni sul testo di Shivji, i membri della Rete traggono la convinzione che il progetto imperiale non sia un fenomeno storico concluso ma anzi riguardi il tempo che stiamo vivendo, in cui le ONG oggi esistenti – vincolate e limitate dalla raccolta di dati necessari per i rapporti sull’impatto dei finanziamenti dei donatori – funzionano come fornitori di servizi per le comunità emarginate e oppresse, diagnosticando e affrontando questioni non politiche anziché, appunto, l’ideologia e gli accordi politici da cui dipende la gran parte della violenza vissuta sotto il capitalismo.
ONG, sintomi e movimenti
Un contributo notevole e significativo dato dall’Organic Intellectuals Network è l’allarme sul rischio di ONG-izzazione delle cause e dei movimenti di giustizia sociale per un cambiamento politico radicale in Kenya. Attraverso i loro contributi, gli attivisti-autori descrivono le loro esperienze riguardo alle contraddizioni del discorso delle ONG e del ruolo economico, politico e ideologico svolto da queste organizzazioni nel camuffare l’offensiva neoliberista sotto forma di campagne per i diritti umani e riforme politiche. “Sostegno alla costruzione del movimento” è diventata un’altra parola d’ordine nel discorso delle ONG. Si tratta di una tattica ingannevole usata in tutto il complesso delle organizzazioni senza scopo di lucro. Travestite da “sostenitori non politici” a sostegno delle preoccupazioni dei cittadini, le ONG sgomitano su quali movimenti “sostenere” e a quali destinare risorse, collegando direttamente le finanze e gli interessi occidentali agli sforzi di un dato movimento, modellando così la natura della lotta e limitando l’orientamento altrimenti radicale della traiettoria dei movimenti.
Gli autori, poi, continuano diagnosticando alcuni sintomi-chiave prodotti dalla ONG-izzazione dei movimenti kenioti. Kinuthia Ndungu, raccontando la storia di Bunge La Mwananchi (Il Parlamento del Popolo) nei primi anni 1990, spiega come il movimento sia diventato l’ombra di ciò che originariamente era quando le ONG hanno capitalizzato le condizioni materiali dei membri poveri trasformando questi ultimi in “armi a noleggio” da mobilitare per attività e manifestazioni – a prescindere dalla causa – in cambio di rimborsi monetari. Questo è solo uno dei modi in cui le ONG creano una cultura di dipendenza all’interno di un movimento, rendendo difficile organizzare attività per leader di base che non dispongano di adeguate risorse finanziarie e che non possano offrire compensi ai sostenitori di una data causa. La dipendenza dal supporto materiale delle ONG – sotto forma di personale, materiali stampati, computer, ecc. – può creare dipendenza in un movimento, con conseguenti gravi tensioni allorché i fondi dei donatori si spostano verso altre alleanze o cause. Inoltre, i movimenti che accettano le risorse delle ONG e il loro sostegno spesso diventano più morbidi nella loro critica alle posizioni di queste organizzazioni e respingono il rapporto storico tra imperialismo e ONG.
Inoltre, quando una ONG si infiltra in un movimento sociale come partner per una causa comune, il movimento viene influenzato dai sintomi della disumanizzazione e della depoliticizzazione. Dividendo i membri della comunità in gruppi per la raccolta di dati o per l’analisi statistica, e documentando storie di esperienze vissute di soggezione alla violenza sistemica e strutturale (rappresentate da povertà estrema, omicidi extragiudiziali e violenza di genere), le ONG disumanizzano le lotte e ne depoliticizzano le condizioni mentre si assicurano milioni di dollari tramite rapporti e domande di finanziamento. Esistendo organicamente come strutture rivoluzionarie informali, le ONG distorcono e sconvolgono la situazione convertendo gli attivisti in redattori di rapporti per la segnalazione d’impatto necessaria ad ottenere maggiori finanziamenti. Sotto il neoliberismo, i piani strategici, i progetti e i programmi di advocacy delle ONG, volti a produrre e ottenere risultati finanziati dai donatori, non hanno fatto altro che depoliticizzare i problemi affrontati dalle masse “mettendo in ombra le ideologie di liberazione nazionale e l’emancipazione sociale, trasformando il confronto in negoziazione”. Altri autori del volume evidenziano l’impatto che le ONG hanno sulle cause di base attraverso il sintomo della professionalizzazione dell’attivismo. Mediante il sostegno ai movimenti nelle campagne di advocacy e sensibilizzazione rivolte ai funzionari governativi, ai media e ad altri attori della società civile, le ONG sono spesso inquadrate come portavoce di una causa, il che di fatto stabilisce una gerarchia fabbricata per essere rivolta verso l’esterno e indebolisce le voci e le funzioni interne a un dato movimento. In questo modo le ONG appaiono come guardiane di una protesta limitata, guidata dalle riforme, mentre conducono i movimenti di base verso soluzioni ad essi estranee. I resoconti e le riflessioni forniti in questo libro mostrano come le ONG possano “plastificare” movimenti africani radicali di resistenza e liberazione diventandone rappresentanti – pseudo-leader – e sostenendo soluzioni fuorvianti ad artificiali preoccupazioni e richieste di base.
Silenzi, storie e ideologie
L’esame e l’interpretazione svolta da Issa Shivji delle ONG degli anni 2000 – organizzazioni astoriche per natura e ostili alle comprensioni sociali e teoriche dello sviluppo, della povertà e dell’emarginazione – è confermata dalle narrazioni personali del Kenya Organic Intellectuals Network negli anni 2020. Shijvi ha presentato le ONG come associazioni che si auto-percepiscono non governative, non politiche, non ideologiche, senza scopo di lucro e composte di individui ben intenzionati desiderosi di rendere il mondo un posto migliore per i poveri e gli emarginati. Le ONG sono ben finanziate e strutturate in modo efficiente, hanno voce e vengono ascoltate, forniscono dati, analisi, raccomandazioni e piani, ma operano senza una chiara comprensione del loro ruolo nelle riforme neoliberiste e nel progetto imperiale, trascurando le peculiarità del momento storico e respingendo la dimensione politico-ideologica necessaria ad unificare la lotta per la liberazione.
Il ruolo delle ONG in Africa è complesso, difficile da analizzare e riassumere. Richiede una visione chiara della storia e della politica, dei fatti e della teoria, dell’autoriflessione e della critica. Interpretare il loro ruolo e il loro impatto è utile, ma interpretarli erroneamente dal punto di vista analitico e politico potrebbe costare parecchio nella realizzazione di un cambiamento politico radicale. È necessaria una riflessione intellettuale e personale ponderata per comprendere collettivamente la natura e le caratteristiche delle ONG. Proprio ciò che questo libro offre. Lungo l’intero volume, sedici collaboratori applicano analisi che evidenziano il ruolo ideologico, economico e politico delle ONG nell’espansione e nel consolidamento dell’egemonia neoliberista in tutta l’Africa. La lotta per l’ideologia – legata ancora a Gramsci e alla sua concezione della “guerra di posizione” – nei movimenti e in tutto il terreno conteso della società civile keniota è un tema ben sviluppato in tutto il testo. Al centro della propria riflessione ideologica, la Rete enfatizza l’educazione politica e la necessità per i quadri di condividere un fondamento teorico che consenta ai movimenti di comprendere la funzione storica delle ONG e la natura interconnessa del sistema neoliberista che agisce nell’interesse dell’imperialismo globale. Il libro di Shivji del 2007 sfida l’Organic Intellectuals Network a imparare dalle lotte attuali “e dalle intuizioni intellettuali di cui appropriarsi creativamente a proposito del ruolo delle ONG nel proprio contesto politico e storico”, strutturando un’ideologia organica e offrendo a questi intellettuali organici una chiara direzione come avanguardia per il movimento rivoluzionario.
Comprendere le ONG in Africa e il capitalismo è un esercizio intellettuale e un’attività politica difficili ma vitali, necessari per informare l’attuale congiuntura. Questo volume possiede la necessaria chiarezza ideologica e dà un senso alle ONG nel contesto del neoliberismo, del neocolonialismo e dell’imperialismo. Si tratta di un contributo prezioso, un progetto politico radicale che merita un plauso. Attraverso la narrazione personale e la riflessione contestualizza autenticamente altri contributi accademici e peer-reviewed sul ruolo delle ONG nello sviluppo, nel discorso sui diritti umani, nei movimenti sociali e nell’egemonia neoliberista. Comprendere la natura, il ruolo e l’impatto delle ONG in Africa, sui movimenti di base e sulle proteste, è uno sforzo importante ma trascurato, sia dagli studiosi che dagli attivisti. Raramente all’interno degli spazi accademici della teoria del movimento sociale, degli studi sullo sviluppo o delle relazioni internazionali, la relazione tra ONG e movimento sociale è studiata criticamente, esaminata empiricamente o è argomento di pubblicazione. Inoltre, lo studio dell’impatto delle ONG sui movimenti africani e sulle proteste popolari è una frontiera inesplorata per l’indagine e la comprensione da parte degli organizzatori di comunità e degli accademici. Questi autori-attivisti offrono una raccolta accessibile, unica e utile che dovrebbe essere considerata sia dagli attivisti di sinistra che dagli intellettuali per nutrire la riflessione ideologica, la conversazione collettiva e l’intervento rivoluzionario. Un libro dunque attuale, profondo, importante e da non perdere.
FONTE:https://giubberosse.news/2023/10/05/rompere-il-silenzio-sulle-ong-in-africa/
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