Parole da ricordare: Heartland
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
Parole da ricordare: #Heartland.
A inizio ‘900 Mackinder, un geografo inglese, teorizzò l’esistenza di un’area cuore nella geografia mondiale. Nella sua prima lettura, l’ Heartland corrispondeva più o meno all’area russa e al Kazakistan.
Questa idea ottenne successo in ambito anglosassone.
Le potenze anglosassoni (Impero britannico e USA ) tendono a concentrarsi sui mari e quindi ad insistere sulla libertà dei commerci, ciclicamente sorge un rivale terrestre nel continente euroasiatico con cui si ingaggia una sfida per l’Heartland.
I geografi inglesi all’epoca pensavano agli zar. La russofobia britannica era già nota e ciclicamente la vediamo riesplodere. A qualche tempo prima risale l’espressione “grande gioco” (il primo uso noto risale al 1829).
L’area di confine tra Europa e Asia è da sempre nelle ambizioni anglosassoni. Si capisce come una civiltà concentrata sui mari punti ad evitare in ogni modo un gigante terrestre in Eurasia che potrebbe facilmente rendersi autonomo nello spostamento di merci e uomini (o che potrebbe creare in Asia Centrale una roccaforte inespugnabile).
Proprio all’800 risalgono le rivalità anglo-russe sull’Afghanistan. Non fu un caso se durante la reazione anti-bolscevica si organizzarono gruppi separatisti in Ucraina e nel Caucaso.
Dobbiamo parlare di “rimland” introdotto negli anni ’30 da Spykman (un geografo statunitense) che mutò la teoria dell’Heartland: non era importante l’area centrale del continente euroasiatico, ma quella temperata che lo circondava (Europa – Mediterraneo – Medio Oriente – Subcontinente indiano – Indocina – Costa cinese – Corea e Giappone).
Non serve essere dei grandi storici per capire che buona parte della popolazione e dell’economia mondiale e delle grandi guerre degli ultimi 150 anni sono concentrati in questa zona.
Arriviamo all’oggi.
La Cina sta puntando alla creazione di una rete di infrastrutture che la colleghi a Europa e Africa. Lo scopo finale è superare l’accerchiamento nel canale di Taiwan o nello Stretto di Malacca, aree dove gli USA potrebbero facilmente strangolare l’approvvigionamento petrolifero (e non solo). La Casa Bianca ha lavorato per realizzare questi timori: sostegno a Taiwan, Corea del Sud e Giappone, basi militari in mezzo Pacifico e nel Mar Cinese, accordi militari con Filippine e Vietnam, rapporto preferenziale con l’India, venti anni in Afghanistan.
Altro tassello, apparentemente non rilevante è il ruolo del dollaro e del Medio Oriente. Nel 1971, gli USA (con sempre più spese) sganciarono la convertibilità del dollaro dall’oro: come fai ad imporre la tua moneta sul mondo senza farla diventare carta straccia a quelle condizioni? La forza bruta non basta.
Devi fare in modo che la tua moneta sia l’unica accettata dai grandi venditori di qualcosa di cui tutti hanno bisogno. Di quale prodotto tutti hanno bisogno? Di petrolio. Gli USA cementarono la loro alleanza con le petromonarchie sunnite che accettarono solo dollari per comprare petrolio, rendendolo una sorta di “nuovo oro”.
Da qui l’importanza geopolitica e geoeconomica (oltre che energetica del Medio Oriente).
Negli ultimi anni, la Cina si è spesa per la pace in Medio Oriente (dialogo tra sauditi e iraniani, pace in Yemen, pacificazione della Siria con ospitata di Assad), questo quadro di pace serve alla Via della Seta (costruire porti, treni ad alta velocità, autostrade, fibra ottica) che dovrà collegare la costa cinese all’Occidente (Europa e Africa).
Nelle ultime settimane si è anche parlato di Via del Cotone, l’alternativa indiana alla Cina che coinvolgeva Israele in un grande progetto infrastrutturale. L’India vede anche a rischio blocco temporaneo l’Asse Nord-Sud con Russia, Azerbaigian e Iran, perché l’Azerbaigian si sta, come dire, impegnando in un conflitto non a bassa intensità in Nagorno Karabakh.
A concludere la festa c’è la presenza iraniana, in rapida ascesa e modernizzazione che svincolato dalla rivalità con i sauditi e dal sostegno ad Assad avrà tutto il mondo di ascendere come grande attore locale (favorito dall’ingresso BRICS con Arabia Saudita, Egitto e Emirati Arabi Uniti).
Il dubbio che dietro ci sia la lunga mano USA per scatenare una nuova guerra nel Rimland non sembra così fantasiosa.
L’economia USA non corre tanto quanto ci si aspetterebbe, di quella europea non parliamo proprio. La storia tristemente ci insegna che l’economia si rilancia con la guerra mondiale (warfare): ampie commissioni pubbliche ad industrie che fanno ricerca e creano posti di lavoro qualificati e non.
La guerra in Iran farebbe saltare in aria il piano di pace cinese in Medio Oriente e bloccherebbe la pacificazione sauditi-israeliani e sauditi-iraniani: congelando Via della Seta e Via del Cotone.
La guerra lungo un asse Nord-Sud: Ucraina – Caucaso – Iran, riaprirebbe la centralità dei mari e renderebbe di nuovo appetibili due zone in cui gli USA hanno ragioni di pensarsi in vantaggio: Mar Rosso e Polo Nord (Mar Glaciale Artico con questione polare annessa).
So che ormai va di moda dire che non esistono piani e strategie e che immaginarli è una roba da complottisti, ma ragazzi miei pensare che chi governa il mondo lo faccia come se fossimo al bar sport a scommettere sull’Inter, è fuori dalla realtà.
Le strategie esistono, nostro dovere è interpretarle.
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