Contrasto al terrorismo: e se Israele fosse caduto nella sua stessa trappola?
di STRISCIA ROSSA (Gigi Marcucci)
Le ipotesi che può fare un osservatore non specializzato, come il sottoscritto, sono due: o i servizi segreti, i super addestrati agenti dello Shin Bet, hanno dormito, affidandosi a tecnologie che non possono sostituire l’intelligence sul campo; o il governo da cui dipendono non hanno ascoltato i loro allarmi. Il risultato è comunque l’orrenda strage di oltre mille israeliani innocenti, che ora l’esecutivo Netanyahu, a quanto pare colto alla sprovvista, cerca di pareggiare con azioni simmetriche e sanguinose sulla striscia di Gaza. Da una parte e dall’altra, i militari di Tsahal e i miliziani delle brigate Al Aqsa costituiscono una percentuale minima dei caduti. Il prezzo più alto dell’ennesima crisi regionale (ma di portata globale) lo stanno pagando i civili, cioè uomini, donne e bambini inermi. E il tassametro continua a correre.
Davanti all’entità della tragedia, il dilemma iniziale può apparire marginale. Ormai l’escalation ha preso velocità. Razzi Qassam, kalashnikov e armi bianche, da una parte, bombe da cinquecento chili sganciate dagli F16, dall’altra, hanno macinato vite creando una situazione di non ritorno. Tanto che le Israel defence forces, ormai più per necessità che per scelta, si preparerebbero a un intervento di terra nella Striscia che, anche per dimensioni e probabile costo in vite umane, potrebbe non avere precedenti. Il rapporto tra l’intelligence israeliana e il suo governo, il dilemma su chi dei due abbia sbagliato, rimanda a un problema di fondo: perché una questione come quella palestinese ha potuto degenerare fino a questo punto? Chi ha lasciato marcire il problema? Chi ha aiutato Hamas, movimento fondamentalista, a soppiantare l’Autorità palestinese, di impronta tradizionalmente laica, nella sua componente maggioritaria non incline al terrorismo, e comunque aperta al dialogo con Israele?
Intervistato anni nell’ambito di un bel documentario (The Gatekeepers, I guardiani di Israele, disponibile anche su youtube) Avraham Shalom, ex capo dello Shin Bet , il servizio segreto interno, descrisse la situazione con grande lucidità: “Durante la guerra dei sei giorni ero alle Operazioni. Gli arabi si arresero e così improvvisamente restammo senza nemico. Dopo la violenza andò incrementando. Adesso sì che avevamo del lavoro. E così…cessammo di occuparci di negoziati (coi palestinesi, ndr) e cominciammo a occuparci di terrorismo. Di colpo avevamo un sacco di lavoro a Gaza e in Cisgiordania, ma anche all’estero. Ci eravamo dimenticati del problema palestinese”. L’opzione militare aveva lasciato in secondo piano quella dell’intelligence e la politica, intesa come arte del dialogo tra nemici.
C’è modo e modo di fare intelligence
Altri colleghi di Shalom, spiegarono che c’è modo e modo di occuparsi di terrorismo. Una cosa è piazzare un cellulare esplosivo nelle mani di chi coordina gli attentati suicidi contro gli autobus israeliani – “poi qualcuno gli telefona e, alla risposta, preme un bottone…” -, un’altra sganciare una bomba da mezza tonnellata sul palazzo in cui, insieme a lui, vivono decine di persone verosimilmente estranee alla sua attività. Sottintendevano, par di capire, che il metodo giusto fosse il primo e in ogni caso segnalavano un conflitto sotterraneo con il potere politico.
In conclusione, il terrorismo e le modalità con cui viene contrastato, possono risolvere od oscurare un problema, creandone molti altri. In un’intervista di alcuni giorni fa a Le Figarò, (ripresa dal Fatto Quotidiano), uno dei “Guardiani” del documentario, anche lui ex direttore dello Shin Bet, il contrammiraglio Amihai Ayalon, non risparmia le critiche considera il terrorismo una trappola in cui Israele è caduta: “Abbiamo gestito il problema di Hamas alternando periodi di offensive militari e tregue. Ogni volta Hamas era un po’ più forte”. Sembra che il Muhabarat (servizio segreto) egiziano avesse avvisato Israele dell’attacco “terribile” in preparazione (Fabio Scuto, il Fatto Quotidiano dell’11 ottobre 2023). Lo ha dichiarato Abbas Kamel, direttore dell’Egid (Egyptian general intelligence directorade, nuova sigla internazionale per il Muhabarat al ‘amma il principale servizio segreto del Cairo) aggiungendo che lui e i suoi collaboratori erano rimasti scioccati dall’indifferenza mostrata da Netanyahu.
Una situazione senza apparente via d’uscita
Chiunque, negli ultimi vent’anni, abbia visitato Israele e i territori palestinesi occupati ha potuto percepire una situazione senza apparente via di uscita pacifica. Bastava osservare il cosiddetto “muro di separazione”, già dichiarato illegale dalla Corte internazionale di giustizia, una struttura in cemento armato a suo modo capace di una insolita flessibilità. Negli anni si è insinuata tra fonti idriche e abitazioni, rendendole inaccessibili o quasi a contadini e residenti palestinesi. Nella splendida parte vecchia di Hebron, la città di Abramo, il padre di entrambi i popoli che vivono su quella terra, i vicoli in pietra corrono sotto una rete che li separa dalle soprastanti abitazioni israeliane, dalle cui finestre piovono rifiuti impossibili da rimuovere.
In Cisgiordania, nel 2004, mi capitò di parlare con giovani soldati di Tsahal di guardia a uno dei nuovi insediamenti. Alcuni di loro non nascondevano l’insofferenza per il fanatismo dei coloni. Nella zona, secondo quanto denunciato da una Ong italiana, erano stati presi a bastonate bambini palestinesi che andavano a scuola. Negli ultimi anni gli insediamenti, anche questi illegali, si sono moltiplicati, e questo ha ulteriormente indebolito l’Autorità nazionale palestinese, considerata poco capace di contrastare la politica espansiva sul suo territorio. Un via libera alla propaganda di Hamas. Il paradosso, come spiega, Lorenzo Kamel nell’ intervista che gli ha fatto Oreste Pivetta per Strisciarossa (https://www.strisciarossa.it/il-silenzio-delloccidente-su-gaza-e-gli-errori-di-netanyahu-), è che il criminale attacco del 7 ottobre scorso è stato possibile anche perché gran parte dell’esercito israeliano presidiava le colonie, lasciando sguarnita la zona di separazione con Gaza.
Le azioni terroristiche dei miliziani delle brigate Al Aqsa sono gravissime e non possono in alcun modo essere giustificate, è ovvio. Ma se si desidera la pace bisogna capire anche da quali errori è nata la guerra. L’alternativa si chiama Fauda, termine arabo che indica tanto il caos quanto una sequenza infinita di uccisioni e vendette.
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