Starmer mette il bavaglio al Labour su Gaza, in rotta di collisione con la sinistra del partito e i progressisti scozzesi
di STRISCIA ROSSA (Andrea Pisauro)
Keir Starmer sente le chiavi di Downing Street in tasca. Mentre il partito conservatore crolla nei sondaggi a percentuali che lo riportano a 30 anni fa, dimezzando i potenziali consensi rispetto alle ultime elezioni politiche, il Labour di Starmer mantiene ottime chance di una vittoria a valanga, di proporzioni storiche.
Grazie al crollo dei Tory il Partito Laburista è riuscito ieri a guadagnare altri due seggi, nelle elezioni suppletive convocate per sostituire due lealisti di Johnson dimessisi negli scorsi mesi, espressione entrambi della cifra elitista e irresponsabile dell’ex primo ministro. Uno dimessosi dopo una scandalo di molestie sessuali che Johnson aveva provato a nascondere contribuendo alle sue stesse dimissioni e l’altra, l’ex ministra Nadine Dorries, dopo una polemica carica di vetriolo per la mancata ricezione di un titolo nobiliare, poveretta, un grave colpo alla sua dignità, sarebbe stato troppo chiederle il sacrificio di rimanere nella House of Commons dopo avere fallito l’ingresso in quella dei Lords.
E se questi due scandali al limite del ridicolo hanno certamente minato il consenso dei conservatori in due seggi considerati sicuri (quello della Dorries nel Bedfordshire, addirittura votava conservatore da 90 anni) l’ampiezza della disfatta dei conservatori (la peggiore della storia per un governo delle elezioni suppletive) certifica, nelle parole del leader laburista, che l’elettorato sia stufo dei 13 anni di declino sotti i governi dei Tories, dell’austerity, della Brexit, degli scandali e del crollo della sterlina.
Crollo dei Tory
La richiesta di decoro e il rifiuto della percezione di declino determinata anche dal fallimento della Brexit sono senz’altro molle potenti per spingere una buona fetta della classe media della provincia inglese che in questi anni ha sostenuto i governi conservatori nelle braccia di Starmer. Eppure sbaglierebbe Starmer a stappare champagne anzitempo. Innanzitutto perché la sua popolarità è inferiore tanto a quella del suo partito che a quella che aveva Tony Blair quando vinse le prime elezioni nel 1997 inaugurando 13 anni di governi laburisti. Ma anche perché molto diversa è la situazione che erediterebbe se andasse al governo.
Se Blair infatti vinse le elezioni con un messaggio positivo e carico di ottimismo, la situazione attuale del Regno Unito appare piuttosto grigia. Certamente dal punto di vista economico, con l’inflazione più alta del G7, un debito pubblico raddoppiato rispetto a 30 anni fa, e un’economia che langue fuori dal mercato unico europeo. Ma anche, se non soprattutto, per la situazione internazionale, con i venti di guerra che si levano dal Medio Oriente che creano anche in Gran Bretagna nuove linee di frattura politica e geopolitica.
Starmer e il conflitto a Gaza
La drammatica escalation del conflitto israelo-palestinese ha infatti avuto riverberi immediati anche nella situazione politica britannica. Sia il governo di Rishi Sunak, volato a Tel Aviv per mostrare “solidarietà fisica” con Israele dopo l’attacco del 7 Ottobre di Hamas, che l’opposizione di Keir Starmer si sono schierati senza se e senza ma con Israele al punto che il leader laburista ha difeso in un’intervista perfino la decisione del governo Israeliano di tagliare luce e acqua a Gaza, una decisione stigmatizzata tanto dall’ONU quanto da larga parte dell’Unione Europea.
Una posizione completamente appiattita su una delle due parti nel conflitto non poteva non generare una reazione di quella parte del partito laburista che si sente vicina alle ragioni dei palestinesi. Ed è così che sono fioccati gli addi di consiglieri della sinistra ed espressione delle comunità di fede islamica, rappresentati a tutti i livelli nel Labour (basti pensare al sindaco di Londra Sadiq Khan) al punto che Starmer è stato costretto a scrivere una lettera alle migliaia di consiglieri locali laburisti per correggere almeno in parte il tiro e prevenire una slavina di dimissioni.
Ma la linea del partito è drammaticamente chiara: come chiarito da una circolare interna ricevuta da tutte le sezioni, mozioni sul conflitto israelo-palestinese sono bandite dai dibattiti interni e tutti i rappresentanti del partito sono caldamente invitati dall’astenersi al prendere parte a manifestazioni di solidarietà con i palestinesi, quelle a cui continua a partecipare invece Corbyn, che Starmer fece espellere due anni fa proprio strumentalizzando una bugiarda accusa di antisemitismo.
Dalla Scozia no alla punizione collettiva
Una posizione che lascia interdetti anche di fronte alla responsabilità storica del Regno Unito nelle vicende che portarono alla nascita di Israele e alla partizione tra questo e i territori assegnati allo stato palestinese, definiti per la prima volta nel rapporto di Lord Peel del 1937, durante il mandato britannico della Palestina. Anche per questo, molti tra i quasi quattro milioni di cittadini britannici di fede islamica hanno espresso in questi giorni un malessere di cui ancora è difficile quantificare gli effetti politici (nei due seggi che hanno votato ieri, l’elettorato era quasi completamente bianco e inglese) che riflette la rabbia che si respira in molti dei paesi arabi in cui si tracciano le loro origini familiari.
Tra questi, la figura più illustre è senz’altro il primo ministro scozzese Humza Yousaf. succeduto a Nicola Sturgeon lo scorso Aprile. Nato a Glasgow da immigrati pakistani, Yousaf è anche sposato con una consigliera indipendentista di madre scozzese e padre palestinese, i cui genitori sono bloccati a Gaza dove si erano recati prima degli attacchi di Hamas per visitare alcuni parenti.
Anche per questo, la risposta di Yousaf ai drammatici sviluppi in Palestina è stata molto diversa da quella di Starmer. Dopo avere condannato con chiarezza l’eccidio di Hamas e mostrato solidarietà e attenzione alle comunità ebraiche scozzesi partecipando a una veglia di preghiera, la voce del governo scozzese si è levata forte contro l’ordine del governo israeliano di evacuare oltre un milione di persone in 24 ore e contro l’idea di punizione collettiva condonata invece dai politici di Westminster.
Durante l’apprezzato discorso finale alla conferenza del Partito Nazionale Scozzese (SNP) Yousaf ha ribadito con grande chiarezza la solidarietà della Scozia a tutte le vittime del conflitto, sia israeliani che palestinesi, chiedendo l’apertura urgente di canali umanitari, la fine immediata dell’assedio di Gaza e offrendo di ospitare in Scozia eventuali rifugiati, secondo l’approccio solidale verso migranti e rifugiati che è ormai una tradizione consolidata nella Scozia che vuole separarsi da Westminster, così come diversa è la postura sulle grandi questioni di politica internazionale che dai tempi della guerra in Iraq separa l’Edimburgo pacifista dalla Londra guerrafondaia.
La conferenza ha inoltre discusso liberamente una mozione di emergenza sulla situazione a Gaza, vedendo anche un appassionato intervento a difesa del popolo palestinese della stessa moglie di Yousaf, Nadia El-Nakla. Yousaf ha inoltre ribadito l’agenda sociale del suo governo, rivendicando la nazionalizzazione delle ferrovie, i rapporti costruttivi con i sindacati e un nuovo sussidio settimanale per ogni figlio delle famiglie a basso reddito. Significativo di un clima democratico molto migliore da quello che si respira nel partito laburista, dove il dibattito alla conferenza di Liverpool di inizio Ottobre è stato fortemente limitato dalla leadership, la conferenza ha emendato a larga maggioranza la propria strategia verso l’indipendenza: l’SNP ribadirà la propria richiesta di un nuovo referendum qualora ricevesse la maggioranza assoluta dei seggi scozzesi alle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Westminster, previste per la fine del 2024.
Starmer non pare preoccuparsi molto delle rivendicazioni della Scozia progressista, forte dei risultati elettorali in Inghilterra e anche di un seggio recuperato proprio all’SNP in una suppletiva scozzese di fine settembre, ma dovrebbe prestare un po’ di attenzione agli annunci finali di Yousaf. Non solo l’offerta rituale di una Costituzione scritta che affidi la sovranità al popolo, secondo l’antica tradizione costituzionale scozzese che alcuni fanno risalire addirittura alla dichiarazione di Arbroath del 1320. Ma anche l’annuncio dell’emissione sui mercati finanziari dei primi titoli di stato del governo scozzese, un passo importante per istituire un’autonomia finanziaria da Londra che non sia solo nominale. Anche per questo, farebbe bene a tutti se Keir Starmer a Downing Street si occupasse di più della questione scozzese che di politica internazionale.
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