Con il nuovo “pacchetto migrazione” appena varato, la Ampel ri-tira fuori dalla cassetta degli attrezzi i cosiddetti “1 euro jobs” introdotti da Schroeder ai tempi dell’Agenda 2010 e il cui obiettivo manifesto era quello di disciplinare e spaventare la forza lavoro. Ne scrive Unsere Zeit
L’approccio di fondo del cosiddetto “pacchetto migrazione”, recentemente concordato dai leader della Ampel, può essere riassunto in due punti: espellere rapidamente i richiedenti asilo respinti o farli lavorare per un salario minimo. Il Ministero degli Interni, guidato dai socialdemocratici, ha presentato una proposta di legge in linea con questo approccio, che sarà probabilmente approvata dal gabinetto federale a fine mese, nonostante le preoccupazioni espresse da parte di AfD.
Per facilitare le espulsioni dei richiedenti asilo respinti, le autorità e la polizia otterranno maggiori poteri. In futuro, le violazioni al divieto di ingresso e soggiorno saranno anch’esse motivo di detenzione in attesa di espulsione, con una durata massima di 28 giorni, invece dei precedenti dieci. Inoltre, non sarà più richiesta alcuna notifica preventiva delle espulsioni.
A coloro che non possono essere espulsi immediatamente, sarà richiesto di svolgere servizi socialmente utili. Questo approccio sarà focalizzato sui rifugiati che hanno già presentato domanda di asilo ma che sono ancora in attesa di una decisione sulla loro situazione. Per raggiungere questo obiettivo, verranno ripresi i cosiddetti “lavori a 1 euro” (1-Euro-Jobs), precedentemente noti per il loro legame con le politiche economiche neoliberali. Il Cancelliere Olaf Scholz (SPD) ha annunciato la scorsa settimana che “sosterremo i Länder e i Comuni nel rendere possibile, ad esempio, il lavoro socialmente utile in loco, che finora è stato offerto raramente”. Secondo il cancelliere, l’obiettivo di questo approccio è quello di far integrare più rapidamente i nuovi arrivati nel mondo del lavoro e, allo stesso tempo, di comunicare chiaramente che la procedura di asilo non garantisce l’accesso incondizionato ai benefici sociali.
Tuttavia, questa nuova proposta sembra non tener conto del fatto che esiste già la possibilità di assegnare i rifugiati a compiti nei cosiddetti “servizi socialmente utili”. La legge sulle prestazioni per i richiedenti asilo (Asylbewerberleistungsgesetz) prevede che ai residenti nei centri di accoglienza debbano essere offerte “opportunità di lavoro, in particolare per la manutenzione e il funzionamento della struttura”, oltre alle prestazioni in natura e in denaro. La legge stabilisce inoltre che, “per quanto possibile, devono essere messe a disposizione opportunità di lavoro con organizzazioni statali, comunali e no-profit, a condizione che il lavoro da svolgere non sia altrimenti eseguito (…)”.
Questa normativa relativa al lavoro nei settori no-profit è stata introdotta nel 2015, durante la cosiddetta “crisi dei rifugiati”. In risposta al grande afflusso migratorio di quel periodo, i politici avevano dovuto affrontare la questione del prolungato stato di incertezza in cui versavano i richiedenti asilo a causa di procedimenti troppo lunghi. Di conseguenza, la Grande Coalizione aveva creato il programma “Misure di integrazione dei rifugiati” (FIM), basato sulle disposizioni relative ai servizi sociali per i richiedenti asilo. Attraverso questo programma, il governo federale ha stanziato 60 milioni di euro all’anno fino al 2020 per finanziare attività di servizio utili per la comunità in conformità con la legge sui benefici per i richiedenti asilo.
Tuttavia, in tempi piu’ recenti queste regolamentazioni sono state largamente trascurate, in parte a causa della diminuzione degli arrivi di nuovi rifugiati negli ultimi anni. Ora, sembra che si stia cercando di riattivare queste opportunità di lavoro. Non è chiaro se ciò contribuirà all’integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro principale. Cinque anni dopo l’introduzione di queste misure, nel 2002, come parte dell’Agenda 2010, la Confederazione generale dei sindacati tedeschi (DGB) aveva già espresso una valutazione molto critica, affermando: “I disoccupati sono stati e continuano ad essere spinti massicciamente in lavori a un euro, che offrono poche prospettive di carriera e hanno un impatto negativo sulle statistiche della disoccupazione. Inoltre, i lavori a un euro hanno contribuito all’eliminazione di posti di lavoro regolari soggetti a contribuzione sociale. Queste misure sono lo strumento peggiore del mercato del lavoro in termini di effetti”.
Nonostante questa valutazione negativa, il governo sembra intenzionato a continuare a utilizzare queste opportunità di lavoro come strumento di politica del mercato del lavoro. E, sia negli anni 2000 che oggi, l’obiettivo sembra essere più quello di scoraggiare che di assistere le persone coinvolte o di integrarle nel mercato del lavoro principale. Allora, l’obiettivo era il controllo dei disoccupati e la disciplina della forza lavoro, mentre oggi sembra essenzialmente essere quello di mirare a scoraggiare i rifugiati.
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