Guerra a Gaza/ “Hamas frena Israele con gli ostaggi, ma la partita si gioca in Qatar”
di IL SUSSIDIARIO (Carlo Jean, Paolo Rossetti)
La trattativa per gli ostaggi allontana l’azione di terra a Gaza. Ruolo cruciale del Qatar. Hamas subisce attacchi mirati di Israele
La tanto attesa azione di terra che deve estirpare Hamas da Gaza sembrerebbe rimandata. Una delle ragioni è l’attesa di nuove truppe Usa che facciano da deterrente alle provocazioni dell’Iran; da Teheran arrivano addirittura minacce di un attacco alla città israeliana di Haifa, rendendo quindi sempre più consistente il rischio di un allargamento del conflitto. Il motivo principale del rinvio delle operazioni militari terrestri, però, sono le trattative per la liberazione di almeno una parte consistente degli ostaggi, che sembrano ben avviate. La conferma viene dalla liberazione di altri due rapiti dopo quella di due donne americane, madre e figlia, nei giorni scorsi.
Nella trattativa, osserva il generale Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista, sta svolgendo un ruolo importante il Qatar, Paese nel quale trovano ospitalità i capi di Hamas, ma in cui ha anche sede il comando della flotta navale Usa nel Golfo. Grazie ai contatti con entrambe le parti, Doha, insomma, può recitare un ruolo di mediatore. Intanto si comincia a pensare al dopoguerra, a una soluzione politica per la questione palestinese: torna in auge quella dei due popoli e due Stati, che segnerebbe un punto a favore dell’anima laica dei palestinesi, storicamente lontani da una stretta osservanza islamica.
I ritardi nell’avvio dell’azione di terra dipendono solo dalla trattativa per gli ostaggi o c’è qualche altro dubbio che gli israeliani devono chiarire?
Dipende dalla trattativa che riguarda gli ostaggi ma anche dal dopo ostaggi. È in gioco una strategia più ampia in cui sono coinvolte altre nazioni: sicuramente gli Usa, il Qatar e l’Iran, verosimilmente la Cina, la Russia e la Turchia.
Che cosa si sta trattando? In cambio della liberazione degli ostaggi cosa vuole Hamas?
La quantità delle possibili richieste di Hamas è ampia: la sospensione dei bombardamenti e delle uccisioni mirate, il rilascio dei prigionieri palestinesi, l’avvio di una trattativa con una presenza internazionale forte (tipo Iran e Qatar) sui due Stati.
Hamas prevede nel suo “statuto” l’eliminazione dello Stato di Israele: può convincersi della possibilità di coesistenza di una Stato palestinese con uno israeliano?
Possono sostenere l’eliminazione di Israele in una prospettiva di lungo termine, nella prossima generazione, ma Hamas sta lottando per la vita o la morte: con le uccisioni mirate gli israeliani non scherzano, stanno facendoli fuori.
Qual è il ruolo del Qatar nella trattativa degli ostaggi e più in generale nel contesto mediorientale?
Il Qatar è sempre stato il rifugio dei capi della Fratellanza musulmana, a cui fanno capo anche Hamas e una forte frazione di palestinesi. È in ottimi rapporti con l’Iran ma ha sempre mantenuto il piede in due staffe: in Qatar c’è il comando della forza navale americana nel Golfo. Ha sempre costituito un terreno di scambio, una zona di negoziati vari in cui sono coinvolti elementi islamici non completamente moderati e l’Occidente. Il Qatar ha grandi disponibilità finanziarie e di conseguenza legami con le classi dirigenti economiche occidentali. Significa anche avere un peso politico.
Di fatto sta avendo un ruolo fondamentale per cercare di liberare le persone rapite?
Verosimilmente sì, come lo ha in Libia e per la Turchia, che a sua volta sostiene la Fratellanza musulmana.
Secondo il New York Times Hamas potrebbe liberare 50 persone con la doppia nazionalità. I continui rinvii dell’azione di terra significano anche che la trattativa per gli ostaggi è seria e si può ottenere qualche risultato?
Penso di sì, anche se sta erodendo il consenso internazionale nei confronti di Israele: a mano a mano che passa il tempo e aumentano i bombardamenti, aumentano anche le proteste per quello che succede a Gaza. E non si vede la soluzione (anche con un’offensiva lampo, ammesso che sia possibile) che permetta a Israele di riprendere il posto di favore che aveva nell’opinione pubblica.
Israele, insomma, avrebbe bisogno di fare in fretta?
Certo. Sia dal punto di vista militare che da quello dell’opinione pubblica ha bisogno di fare in fretta. Sicuramente Israele è molto sensibile alle pressioni degli Usa, che devono cercare di evitare ogni allargamento del conflitto.
Biden sta facendo dichiarazioni in cui cerca di tenere insieme il diritto di Israele alla risposta militare all’attacco e la necessità di aiuti umanitari per la popolazione palestinese. Un tentativo riuscito?
A mio avviso la decisione di Israele di tagliare acqua ed elettricità a Gaza è stato un errore. Ha fatto inferocire le folle antisraeliane senza ottenere risultati di rilievo: Hamas sicuramente l’acqua disponibile se la tiene per sé nella Striscia di Gaza. L’obiettivo degli americani, comunque, è di tranquillizzare il Medio Oriente, di garantire una certa stabilità, in modo tale da non consentire alla Cina di prendere il controllo dell’area.
Anche l’accordo tra Iran e Arabia Saudita che era stato voluto dalla Cina ora traballa?
Sì. Più che altro è colore diplomatico. Non c’è sostanza. L’Arabia Saudita, salafita, e Iran, sciita, sono in competizione per la leadership regionale.
Tenendo conto anche della guerra in Ucraina e cercando di dare un giudizio globale sulla situazione, alla luce della guerra israelo-palestinese si può parlare di attacco all’Occidente?
Va bene per giustificare davanti al contribuente occidentale la richiesta di soldi da dare a Israele e all’Ucraina. Se c’è questa volontà in realtà travalica sia il conflitto ucraino e quello israelo-palestinese, è una volontà che risiede nella competizione mondiale da parte delle grandi potenze, in particolare di Cina e Stati Uniti.
Guardando oltre la guerra e sperando che finisca prima possibile, che futuro possiamo immaginare per Israele e la Palestina?
A mio avviso l’unica soluzione possibile è quella di due Stati e due popoli, con garanzie internazionali per evitare degenerazioni in senso terroristico dello Stato palestinese.
Ma se dovesse prevalere Hamas lo Stato palestinese rischia di diventare uno Stato islamico?
Fino a un certo punto, perché i palestinesi sono abbastanza laici; nella loro storia non sono mai stati caratterizzati da un grande fervore islamista. A mio avviso Hamas non prevarrà per un semplice motivo: sistematicamente la sua leadership verrà decapitata dai servizi israeliani.
Commenti recenti