Que sera, sera
di TELEBORSA (Alessandro Fugnoli)
Il ritorno della strategia 60/40
Alle orecchie di un inglese colto del Cinquecento, l’italiano e lo spagnolo suonavano come lingue che evocavano potere, profondità storica e sapienza. Fu così che Que Sera, Sera, una fusione di lingue romanze, fu scelto da John Russell, primo conte di Bedford, come motto della sua illustre famiglia, di cui sarebbe stato parte, qualche secolo più tardi, anche il grande logico e filosofo Bertrand Russell.
La stessa versione sgrammaticata e orecchiata di questo omaggio al fatalismo latino divenne poi il titolo di una celebre canzone che Doris Day canta al pianoforte nel film di Hitchcock del 1956, L’uomo che sapeva troppo. Alla figlia che chiede se sarà bella e ricca la saggia madre risponde che sarà quel che sarà. E la stessa risposta la darà un giorno la figlia, sempre con tono dolce e gentile, ai suoi bambini.
Nessuno conosce il futuro e quindi, per prudenza, mettiamo il 60 per cento in azioni e il 40 in obbligazioni se siamo americani o il 40 e il 60 se siamo europei. Questa è da decenni la saggezza convenzionale. Se l’economia cresce molto la parte azionaria farà meglio della parte obbligazionaria, se cresce poco sarà il contrario. Il portafoglio, in tempi normali, crescerà senza essere troppo volatile.
Questa strategia che sa di antico è stata nel tempo resa più sofisticata con l’introduzione di misurazioni continue del rischio e con l’utilizzo della leva. Il principio di fondo resta comunque quello di mettere in portafoglio asset non correlati, in modo da avere quello che Ray Dalio definì il portafoglio per tutte le stagioni (All Weather è il nome di un fondo che lanciò negli anni Novanta), fino ad arrivare alle strategie risk parity più recenti.
Queste strategie hanno però due punti deboli. Il primo lo vediamo quando l’inflazione sale oltre a una certa soglia, come è stato negli anni Settanta e nel 2022, e bond e azioni si prendono per mano e si tuffano insieme nell’abisso. La correlazione diventa positiva e la diversificazione aggiunge danno a danno.
Il secondo punto debole, per fortuna più raro alle nostre latitudini, è quando un’economia entra in una crisi profonda a sfondo deflazionistico e si avvita in una spirale negativa del debito che mette a rischio anche l’equity, come nel caso greco del decennio scorso.
Mettiamo da parte il secondo rischio e concentriamoci sul primo. Nelle fasi di inflazione montante e di politica monetaria restrittiva il portafoglio ideale è composto al 100 per cento da cash. La questione principale, in quella fase, è quella dell’inflazione.
Nella fase di disinflazione, invece, il portafoglio ritorna alla sua versione di base 60/40 e la questione principale diventa quella della crescita dell’economia. La disinflazione richiede infatti, tipicamente, un rallentamento e, spesso, una recessione. Nella fase di rallentamento, sempre da manuale, i bond di qualità ripartono per primi, mentre l’azionario aspetta i germogli di ripresa del ciclo economico. Una volta avvistati questi germogli, bond e azioni, in una fase iniziale (che può durare anche anni) salgono insieme. Più avanti nel ciclo, il manifestarsi delle prime (moderate) tensioni inflazionistiche o, ancora di più, i momenti di rallentamento temporaneo della crescita economica portano azioni e bond a compensarsi a vicenda.
Dove siamo oggi? Per alcuni, al momento una minoranza, siamo alla fine del ciclo economico di ripresa postpandemica, mentre all’orizzonte si profila una recessione o, comunque, un marcato rallentamento. La maggioranza del mercato, tuttavia, si sta comportando come se fossimo in realtà all’inizio di un nuovo ciclo espansivo, quando bond e azioni salgono insieme. La maggioranza sposa cioè la teoria della disinflazione immacolata, con l’inflazione già domata con successo senza bisogno di recessione. Da qui in avanti, si afferma, le banche centrali daranno gas all’economia, che quindi, assorbiti gli ultimi effetti ritardati della stretta monetaria, potrà assestarsi su una bellissima velocità di crociera e magari sorprendere al rialzo a un certo punto del 2024. I bond, dal canto loro, trarranno beneficio da una lunga fase di tassi di nuovo bassi. Il migliore dei mondi possibili.
Può realizzarsi uno scenario di questo tipo? In teoria sì, ma è meglio non lasciarsi trascinare troppo e considerare che l’approssimarsi della fine dell’anno obbliga i gestori a rincorrere il rialzo per presentarsi pienamente investiti (quando un mese fa, con Dimon che parlava della possibilità di tassi al 7 per cento, si era tutti piuttosto leggeri). La rincorsa al rialzo genera poi una narrazione di perfezione su tutti i fronti.
Il rischio rispetto a questa narrazione, per i prossimi 6-12 mesi, non è tanto una ripresa dell’inflazione, che potrà semmai rialzare la testa un po’ più avanti. Il rischio è piuttosto nella crescita.
Immaginiamo uno scenario di questo tipo. La crescita globale tiene su questi livelli nei prossimi 6-9 mesi, mentre bond e azioni continuano a salire, ingolositi dalla prospettiva di una (lunga) serie di tagli dei tassi. Verso la fine del 2024, tuttavia, in clamoroso ritardo rispetto ai timori iniziali che lo collocavano già nel 2022, arriva un vero rallentamento. Questo coglie la borsa su multipli elevati proprio mentre la disinflazione ha tolto pricing power alle imprese e tagliato la crescita nominale degli utili. È evidente che, in questo scenario, avere bond in portafoglio costituirebbe un ottimo ammortizzatore del contraccolpo azionario.
Si dirà giustamente che sulla Fed ci saranno pressioni formidabili affinché l’economia americana arrivi in buona forma alle elezioni del prossimo novembre. Queste pressioni sono già ben percepibili e vedono molti membri del Fomc schierarsi su linee partitiche, con tre repubblicani che vogliono lasciare la porta aperta a ulteriori rialzi dei tassi, un centro con Powell e, in maggioranza, le colombe democratiche, cui va aggiunto Waller, che il mercato considera un falco (in quanto nominato da Trump) appena convertito, ma che in realtà è colomba già da parecchi mesi. Il pivot della Fed da restrittiva a neutrale, con i tre falchi all’opposizione, è insomma già acquisito, mentre le colombe preparano il terreno per il pivot da neutrale a espansiva già per la primavera.
Se la recessione, come crediamo, verrà evitata, bond e azioni hanno spazio per apprezzarsi nel 2024. Se il rallentamento sarà invece marcato i bond, come abbiamo visto, compenseranno l’azionario. Pesando le due ipotesi, un portafoglio 60/40 farà meglio di un portafoglio monetario. E poi sarà quel che sarà.
Fonte: https://www.teleborsa.it/Top-Mind/2023/12/01/que-sera-sera-1.html
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