Non è un paese per palestinesi
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Emanuel Pietrobon)
L’operazione Alluvione di al-Aqṣā di Hamas e famiglia avrebbe dovuto far saltare l’alleanza di Abramo e riportare la questione palestinese al centro del palcoscenico internazionale. La realtà, però, ha tradito le aspettative di coloro che volevano mettere in ginocchio Israele.
L’obiettivo di far saltare l’alleanza di Abramo è stato mancato: il patto arabo-israeliano ha retto all’onda d’urto di uno dei conflitti più distruttivi della storia e nessuno dei suoi membri-chiave, nonostante le pressioni dell’opinione pubblica, lo ha mai messo in discussione. Vittoria totale per Tel Aviv, che ha (ri)dimostrato di essere la potenza-guida della regione.
L’obiettivo di rivitalizzare la questione palestinese è stato centrato soltanto in parte: le manifestazioni popolari di solidarietà in tutto il mondo, il supporto politico di molti paesi, dal Sudafrica alla Colombia, e l’offensiva del cosiddetto Asse della resistenza strillano che “Palestine is back!“, ma, al tempo stesso, le possibilità di assistere alla nascita di uno stato palestinese sono scese a zero.
La Palestina è morta – e non resusciterà
Quando la guerra tra Israele e la costellazione dell’indipendentismo palestinese a mano armata sarà terminata, la realtà sul campo aprirà gli occhi a tutti coloro che continuano a credere nella soluzione del “due popoli, due stati”: quel treno è passato e non tornerà più.
La travolgente risposta israeliana all’Alluvione di al-Aqṣā, consistente nell’annichilimento della Striscia di Gaza e nell’annessione sotto mentite spoglie della Cisgiordania, ha annullato le ultime realistiche prospettive di vedere la creazione di una Palestina indipendente. Dimostrando, al contempo, che la Palestina esiste(va) de jure, ma non de facto.
Le operazioni militari e politiche di Tel Aviv hanno ampliato il divario tra i due lembi non comunicanti che compongono la Palestina, Gaza e Cisgiordania, rendendo inagibile il primo – obiettivo israelizzazione – ed evidenziando tutte le contraddizioni del secondo – che è in progressiva erosione demografica e territoriale. Neanche una guerra, la più sanguinosa della lunga storia d’odio tra israeliani e palestinesi, è riuscita a unire ciò che Israele aveva diviso, ovvero Hamas e ANP.
Il rosicchiamento della Cisgiordania
Le condizioni per la materializzazione in realtà di uno stato palestinese sono scomparse definitivamente dopo il 7.10.23. Il governo Netanyahu ha lasciato intendere che Gaza entrerà a far parte di Israele, nel senso di territorio sotto la sovranità di Tel Aviv e (ri)popolato da coloni ebrei, mentre il destino della Cisgiordania è segnato – irreversibilmente – da tempo.
De jure amministrata dall’ANP, ma de facto sorvegliata e controllata da Israele, la Cisgiordania sta rapidamente perdendo ogni connotato che la rendeva idonea a essere il tetto principale di uno stato palestinese. E la guerra ha sveltito la tendenza.
Teatro e vittima di quella che può essere definita la “strategia del rosicchiamento“, che va avanti da decenni, la Palestina orientale ha registrato un aumento straordinario delle attività poliziesche israeliane durante la guerra: 7800+ arresti, 260+ morti e 3400+ feriti soltanto nel periodo ottobre-dicembre. Uno stato o ha il monopolio della forza, o non è.
I numeri su arresti, morti e feriti in Cisgiordania sono la raffigurazione di una terra fuori controllo, perlomeno fuori dal controllo dell’ANP, ma non sono che una parte del problema. Perché la strategia del rosicchiamento ha a che fare con altro: la demografia.
La Cisgiordania, che a lungo è stata una terra virtualmente araba, a causa della politica israeliana degli insediamenti sta venendo trasfigurata. Qui, dove nei primi anni Ottanta vivevano poco più di ventimila persone di appartenenza giudaica, oggi un terzo della popolazione totale è ebreo.
I cosiddetti coloni cisgiordani, ovvero gli abitanti ebrei ricollocati da Israele nella West Bank in apposite gated community – più di centoquaranta –, sono aumentati del 15% nel periodo 2018-23 e cresciuti nell’ordine dei quindicimila nel corso del solo 2023. Si tratta di una minoranza numerosa e rumorosa composta da quasi cinquecentoventimila persone, pesantemente armate e politicamente schierate a destra, estrema destra, che supera quota settecentomila considerando nel calcolo anche i coloni di Gerusalemme Est.
La strategia del rosicchiamento è ciò che impedirà il sorgere di uno stato palestinese. Perché Gaza ha perduto ogni possibilità di autogoverno dopo il 7/10. Perché la Cisgiordania, col supporto della miope ANP, sta perdendo chilometri quadrati e abitanti a favore di Israele. E perché la stessa Gerusalemme Est, capitale su carta della Palestina, nei fatti è governata da Tel Aviv e da decenni, grazie al sistema di permessi edilizi e ricollocamenti abitativi, è diventata una città a maggioranza ebraica.
Una terra troppo piccola per due popoli
La strategia del rosicchiamento sperimenterà un impulso nel dopoguerra e si fermerà soltanto quando Israele avrà ottenuto il pieno controllo, demografico e territoriale, sui ventri molli della Terrasanta. Rendendo a quel punto impossibile ciò che già oggi è estremamente improbabile: l’instaurazione di uno stato palestinese.
Credere nella possibilità di una Palestina indipendente, oggi più che mai, equivale a ignorare quelli che sono gli imperativi della dottrina di sicurezza nazionale di Israele. Il rosicchiamento, dal punto di vista di Tel Aviv, è l’unica via per disaccerchiare Israele e per garantirne l’esistenza, più che la mera sopravvivenza, nel lungo termine.
Il rosicchiamento è il contesto in cui vanno inquadrati i negoziati tra Israele e vicinato arabo, in primis l’Egitto, per il trasferimento (permanente) degli abitanti di Gaza nel dopoguerra. Ed è lo stesso contesto dal cui grembo potrebbe essere in futuro partorita la decisione di risolvere la questione cisgiordana trasferendo parte di essa, o parte della sua popolazione – quella islamica –, ad Amman.
La questione palestinese, così come il mondo l’ha conosciuta, è morta il 7/10. Ma certo è che continuerà a vivere in altri modi e in altri luoghi. Nelle tendopoli tracotanti d’odio del Sinai e dintorni, nelle quali nasceranno dei nuovi bin Laden e dei nuovi Arafat. Nella guerra civile molecolare della Cisgiordania. Nelle tensioni intercomunitarie di Israele. E nella futura battaglia per il monte sacro della città santa, Gerusalemme, che per i musulmani è la casa della Spianata delle moschee e che per gli ebrei è il luogo in cui dovrà essere ricostruito il Tempio.
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[Fonte: https://it.insideover.com/guerra/non-e-un-paese-per-palestinesi.html+
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