Un cortile per correre
DA GAZZETTA FILOSOFICA (Di Valentina Chiarle)
Bambini e bambine, ragazze e ragazzi, ma anche gli adulti hanno diritto a un cortile per correre. Per inciampare e rialzarsi, per camminare in equilibrio e testare le proprie capacità. Passeggiare senza una meta per ritornare sulla soglia di casa arricchiti e cambiati. Oggi gli spazi abitati, gli agglomerati urbani, gli spazi interni ed esterni, mettono a dura prova il “diritto alla strada”, il “diritto al fuori”. Viene meno la preziosa possibilità di vivere lo spazio senza una precisa strutturazione, senza una segnaletica orizzontale che debba forzatamente direzionare i nostri passi, senza il sentirsi urlare alla schiena: “non correre!”.
“Non correre!” è una delle frasi più inflazionate rivolte all’infanzia: viene inevitabilmente pronunciata quando un bambino si lancia improvvisamente verso uno spazio ignoto per conoscerlo, attraversarlo e sperimentarlo. Libero di sfidare il vento e testare le proprie capacità motorie, pensa che quello spazio sia a disposizione per lui, spinto dalla curiosità di cercare un limite, quel limite che spesso gli viene dato al momento sbagliato e nel posto sbagliato. Porre un limite è indubbiamente necessario quando si ricopre un ruolo di guida nei confronti dell’infanzia, il limite aiuta il bambino a governare le sue azioni, le sue emozioni, le sue sensazioni; da piccolo non ha ancora gli strumenti necessari per dominare la sua esistenza e proverà a cercare da solo quel limite, ma trovarlo senza indicazioni risulterà molto complesso e rischierà di perdersi. Tuttavia vi sono campi di esperienza all’interno dei quali occorre lasciare piena possibilità di espressione, uno di questi è il campo di esperienza del movimento. Correre, cadere, sbucciarsi le ginocchia, chiedere aiuto e ripartire, perché non correre? L’adulto dovrebbe semplicemente avere consapevolezza del luogo che il bambino sta esplorando e assicurarsi che, al momento della sua perlustrazione, non si troverà in pericolo; dati questi presupposti, i bambini devono avere la possibilità di correre, muoversi, stancarsi, vivere gli spazi su sentieri poco battuti e terreni scoscesi per affinare le loro competenze psicomotorie, elaborare strategie per dominare tutti i movimenti e raggiungere così quell’equilibrio che li fortificherà e li farà sentire sicuri dei prossimi passi da compiere.
Praticare gli spazi aperti dove la natura predomina, anche solo grazie alla presenza di prati e alberi, riporta l’essere umano a riattivare processi fondamentali, abbassa i livelli di aggressività e innesca capacità di reazione oltre a giovare al benessere psicofisico. Bambini e bambine vivono in appartamenti sempre più ristretti ed essenziali, privi della possibilità di scendere in cortile o in giardino; e laddove il giardino esiste, è regolamentato da norme restrittive che lo legittimano esclusivamente a luogo decorativo. Quando l’adulto ha la possibilità di attivare quelle azioni di supervisione e controllo “invisibile” che fanno credere al bambino di poter fare da solo, uscire di casa anche solo qualche metro in totale autonomia e vivere le proprie esperienze ludiche, determina una crescita formativa preziosa che rinforza lo sviluppo della personalità. Non solo, abituato a tentare, sbagliare, riprovare e sperimentare lo spazio in libertà e contando solo sui propri sensi, svilupperà l’abilità del discernimento e affinerà la percezione del pericolo. Un cortile per correre è un diritto naturale.
Il pedagogista Gianfranco Zavalloni, nel suo meraviglioso saggio La pedagogia della lumaca, propone e riscrive i diritti dei bambini e delle bambine a mio avviso perfettamente declinabili anche sull’età adulta, definendo questa sua personale raccolta dei diritti “Il manifesto dei diritti naturali di bimbi e bimbe”. Perché i diritti naturali? Perché l’uomo non nasce per passare il tempo della sua vita dentro a una scatola, ma anche e soprattutto per vivere in uno spazio aperto a sua disposizione davanti a casa, per prendersi cura dei luoghi che abita, usare i propri sensi per discernere e le mani per creare.
« 1. Il diritto all’ozio, a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti;
2. Il diritto a sporcarsi, a giocare con la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, l’acqua, i sassi, i rametti;
3. Il diritto agli odori, a percepire il gusto degli odori, riconoscere i profumi offerti dalla natura;
4. Il diritto al dialogo, ad ascoltare e poter prendere la parola, interloquire e dialogare;
5. Il diritto all’uso delle mani, a piantare chiodi, segare e raspare legni, scartavetrare, incollare, plasmare la creta, legare corde, accendere un fuoco;
6. Il diritto a un buon inizio, a mangiare cibi sani fin dalla nascita, bere acqua pulita e respirare aria pura
7. Il diritto alla strada, a giocare in piazza liberamente, a camminare per le strade;
8. Il diritto al selvaggio, a costruire un rifugio gioco nei boschetti, ad avere canneti in cui nascondersi, alberi su cui arrampicarsi;
9. Il diritto al silenzio, ad ascoltare il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua;
10. Il diritto alle sfumature, a vedere sorgere il sole e il suo tramonto, ad ammirare, nella notte, la luna e le stelle. » (G. Zavalloni, La pedagogia della lumaca)
Richiamerei l’attenzione al diritto alla strada e al diritto al selvaggio, essi corrispondono esattamente ai campi di esperienza oggi sensibilmente negati o ridotti, seppur indirettamente, nei confronti dell’infanzia ma anche dell’età adulta. Inoltre, il diritto alle sfumature viene meno a seguito dell’assenza dei primi due. Come posso ammirare l’alba, il tramonto, la luna e le stelle se non ho un luogo adatto per farlo?
I movimenti che il nostro corpo attiva quando cammina e si muove all’aria aperta hanno un ritorno sostanziale sul nostro benessere psicofisico. Passeggiando la mente vaga e ritorna al presente in tutta semplicità, ricordando quanto l’essenziale possa risultare prezioso.
Franco Cassano in Modernizzare stanca lo illustra in una poetica narrazione.
« Passeggiare talvolta è un perdersi breve, in un piccolo spazio, una microfisica dell’avventura, da cui si torna con una storia da raccontare. Passeggiare è ritornare a sé stessi e a quella parte di noi che è la premessa di tutto, staccare la spina a chi ogni giorno vende il presente in offerta speciale. Passeggiare è il desiderio del ragazzo e dell’anziano, un’arte che l’adulto ha rimosso o sostituito con l’agonismo del jogging o del fitness. Passeggiare non serve per tenersi in forma, ma a dare forma alla vita, a farle capire le proporzioni, è la modesta preghiera degli arti inferiori. »
Passeggiare per dare forma alla vita, ovvero muoversi nello spazio che ci circonda anche senza una meta o senza un obiettivo, è un’azione che interviene a tutto tondo, a livello olistico sulle varie sfere emotiva, cognitiva, fisica, spirituale.
In riferimento a quanto esposto sino a qui, la mia intenzione non è quella di sottolineare quanto il vivere in città possa essere dannoso o possa offrire meno opportunità di benessere. Vorrei, invece, mettere in evidenza quanto moltissime realtà urbane non siano assolutamente adeguate o gestite a misura d’uomo. Prive di aree verdi, di spazi destinati al movimento o messi in sicurezza perché bambini e ragazzi possano correre liberamente. Molti prati dei parchi giochi cittadini sono stati sostituiti da distese di pavimentazione antitrauma, enormi quadrati composti da materiali derivanti dagli scarti degli pneumatici. Questo materiale attutisce le cadute e risolve la manutenzione legata al taglio dell’erba, una volta posato non necessita più di cura e si ottimizzano le risorse economiche. Tuttavia, il materiale di cui è composto attrae e rilascia in maniera esponenziale il calore del sole e, in assenza di alberi ad ombreggiare, diventa quasi impraticabile, oltre a non essere adeguato alle temperature elevate che caratterizzano le stagioni estive di questi ultimi anni. Una città a misura d’uomo, ideata con materiale sostenibile e riorganizzata nella sua viabilità può garantire il diritto al movimento. In origine le città si formarono per un unico scopo, quello di essere luogo destinato alle attività lavorative, commerciali, economiche; a queste si unirono in seguito le esigenze abitative ed è evidente che senza un approccio virtuoso di gestione degli spazi, gli agglomerati urbani perdono alcune caratteristiche fondamentali per il benessere degli abitanti. La costruzione quasi compulsiva dei centri commerciali nelle nostre città è la declinazione più esplicativa dell’utilizzo degli spazi urbani oggi. Questo potrà indubbiamente risultare un esempio banale, ma le rare volte in cui mi reco in un centro commerciale ne riscontro le peculiarità disarmanti: ampi parcheggi in cemento, distese di auto collocate su diversi piani, assenza di alberi e vialetti a protezione della calura estiva, spazi immensi da percorrere, piatti e fluorescenti, connotati da una fasulla pluridimensionalità. Tutte queste caratteristiche non favoriscono quel sano movimento nello spazio che porta benessere.
Vorrei dedicare una riflessione finale su quanto fiabe e favole, strumenti sempre attuali per la comprensione della realtà, raccontino molto bene l’importanza del movimento nello spazio, anche nell’attraversare i luoghi più pericolosi. Bambini, giovani e adulti protagonisti delle fiabe affrontano mari in tempesta, si addentrano in boschi e foreste per raggiungere i loro obiettivi di crescita e di formazione della personalità, scalano montagne e attraversano ponti traballanti. È necessario affrontare gli spazi aperti per crescere e tornare diversi a seguito di esperienze vissute lontano dalla propria zona di comfort. Pollicino nel bosco elaborerà geniali strategie per tornare a casa, rinuncerà anche al cibo per tentare di tracciare un sentiero seminando briciole di pane. Cappuccetto Rosso viene mandata addirittura dalla mamma nel bosco, consapevole che ritornerà più preparata ad affrontare la vita. Hansel e Gretel, abbandonati nel bosco, sfidano la strega e bastano a sé stessi per salvarsi. La Sirenetta sceglierà di trasformare la sua coda in un paio di gambe per uscire dal mare ed esplorare un mondo ignoto che la cambierà per sempre, cambierà persino il suo habitat elementale passando dall’acqua alla terra. Quasi tutti i protagonisti di fiabe e favole affrontano un viaggio per ritornare evoluti e consapevoli e il mondo esterno è uno scenario cardine indiscusso; seppur apparentemente insidioso, esso risulta fondamentale per attivare reazioni per un sano cambiamento di crescita. Dante attraverserà la selva oscura e raggiungerà l’inferno per poter arrivare in paradiso. Ulisse solcherà i mari per anni per tornare a casa e non prima di vivere ancora un’ultima estrema avventura che contribuirà alla sua evoluzione interiore. La grande letteratura del fantastico è costellata da luoghi immaginari nei quali uomini, donne, ragazzi e ragazze si addentrano per tornare diversi. Ventimila leghe sotto i mari, I viaggi di Gulliver, Viaggio al centro della terra, La storia infinita, Le città invisibili e Il Castello dei destini incrociati, solo per citarne alcuni. L’elenco delle narrazioni di questi luoghi e spazi del possibile è infinito. Lo stesso Pinocchio compie un viaggio in posti surreali, raggiunge addirittura il paese dei balocchi dove farà i conti con i propri fallimenti per cambiare e migliorarsi, diventare umano. E per concludere vorrei citare lei, l’esploratrice per eccellenza nel mondo delle fiabe, giunta nel paese delle meraviglie attraverso il buco della tana di un coniglio, la piccola grande Alice. Lei è riuscita a trovare il modo di cambiare anche le dimensioni del suo corpo pur di varcare portali e proseguire nel suo cammino, con la scusa di inseguire un coniglio bianco.
« Il personaggio di Alice è diventato un simbolo…simbolo dell’infanzia libera e irriverente, che viaggia perplessa in un universo, che non la convince fino in fondo. » (B. Pitzorno, Introduzione ad Alice nel paese delle meraviglie, DeAgostini)
Nelle giornate incerte, nei momenti crudeli, nelle notti insonni usciamo cinque minuti nello spazio aperto, muoviamo alcuni passi e spostiamo la prospettiva, per ritornare diversi e dare forma alla nostra esistenza.
FONTE: https://www.gazzettafilosofica.net/2024-1/marzo/un-cortile-per-correre/
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