Il Novecento inizia con l’ascesa degli USA
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
Il Novecento inizia con l’ascesa degli USA.
Gli Stati Uniti, risolti i problemi interni (Guerra di secessione 1861-1865; fine delle guerre indiane nel 1890; guerra ispano-americana 1898) si proiettavano sul mondo.
Proprio il conflitto con la Spagna dava agli USA questa capacità in via definitiva: l’indipendenza di Cuba e l’acquisizione di Puerto Rico e Filippine realizzava il viaggio verso Est e la dottrina Monroe iniziati più di un secolo prima. Il nuovo Far West erano le isole dell’Oceania e l’intramontabile Oriente, dove una Cina in disfacimento e un Giappone in rapida modernizzazione costituivano il nuovo sogno americano.
Il viaggio attorno al mondo degli europei per arrivare nel Catai si concludeva, finalmente.
La Seconda guerra mondiale calava definitivamente il sipario su questo passaggio storico. L’Europa finiva per essere egemonizzata da due realtà ai suoi margini geografici (una per la verità esterna): gli USA e l’URSS. Rimaneva comunque centrale la questione del controllo europeo, come area di enorme concentrazione della ricchezza, degli scambi commerciali e di buona parte della popolazione mondiale; ci volle oltre mezzo secolo per concludere questo processo di marginalizzazione e impoverimento.
Il ciclo occidentale sul mondo si concludeva con l’affermazione dell’unipolarismo statunitense, acme del dominio euro-occidentale sul globo.
Parallelamente, coltivando la contraddizione interna, la rapidità di spostamento dei capitali, la digitalizzazione e soprattutto la scelta di esportare capitali verso la Cina, gonfiarono il rivale strategico degli USA. In pochi decenni, la Cina strappò centinaia di milioni di esseri umani dalla povertà, gestì una campagna di industrializzazione e urbanizzazione. Dopo un iniziale spinta sull’industria leggera (abbigliamento, consumi), gli introiti furono reinvestiti su industria pesante, infrastrutture e ricerca (tutti settori con maggior controllo statale), arrivando in un trentennio a sfidare l’egemonia USA sul mondo. Pechino ha innescato un meccanismo virtuoso per cui ogni rafforzamento ha permesso di trovare le risorse per i rafforzamenti successivi.
L’Occidente capitalista raggiunti i limiti di guadagno economico (struttura) e avendo visto affermarsi una sinistra anti-capistalista di massa (sovrastruttura) nel corso degli anni Settanta, optò per una radicale destrutturazione del settore industriale e infrastrutturale occidentale. Non più fabbriche, operai e posto fisso: assicurazioni, società di trading, banche, servizi finanziari, call center, esperti di comunicazioni, una terziarizzazione dell’economia accompagna a una massificazione degli investimenti finanziari (emblematico il caso inglese negli anni Ottanta). I soldi erano diventati il vettore per fare altri soldi, saltando la fase produttiva, si costruivano case per aprire b&b e ristoranti bio, non per farci vivere le persone; si aprivano aziende per curare i servizi che le aziende produttrici di beni non volevano più avere al loro interno: esternalizzando i costi e creando un esercito di lavoratori autonomi, de facto precari incerti.
La svolta economica e antropologica fu chiara e portò alla totale distruzione del posto fisso e dei valori sovrastrutturali della sinistra, cosa di cui oggi ci rendiamo facilmente conto.
Il punto di fondo è che l’Occidente non ha le carte in regola per continuare a produrre quel benessere di massa che lo ha reso amato dai propri cittadini e ambito dal resto del mondo. L’economia post-industriale non produce ricchezza e questo ne segna la fine, tutto qui.
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