Ecologie della trasformazione, rubrica a cura di Emanuele Leonardi e Giulia Arrighetti
Negli ultimi anni, diversi internauti più o meno anonimi hanno utilizzato dati pubblicamente disponibili on line sul traffico aereo – relativi alla proprietà e alle rotte dei jet – per ricostruire gli spostamenti degli uomini più ricchi del mondo sui social media[1]. Seguiti da decine di migliaia di persone, account come I Fly Bernard su X (dedicato all’uomo più ricco di Francia, a capo di LVMH) o Elon Musk’s Jet (sul famoso proprietario di Tesla, disponibile su vari social tra cui l’indipendente Mastodon) non si divertono semplicemente a “perturbare” la privacy delle star del business globale. Utilizzando tecniche di indagine OSINT, come il tracciamento dei voli basato sull’analisi di informazioni liberamente accessibili (flight tracking, nel gergo del settore[2]), queste iniziative cercano soprattutto di svelare il modo in cui l’élite economica si serve smisuratamente di mezzi di trasporto tanto rapidi quanto inquinanti. Questa scelta quotidiana degli ultra-ricchi è emblematica di un atteggiamento di negazione della crisi climatica, incarnato più in generale dall’impatto delle attività delle loro aziende (da Amazon all’industria della moda, passando per i giganti delle Big Tech), la cui messa in discussione si limita per lo più a un ambientalismo di facciata. Tale ecologia superficiale pare contraddetta nella sostanza dalla “collassomania” di molti grandi imprenditori – al pari di Elon Musk o Jeff Bezos – che invece di difendere mutamenti profondi dell’organizzazione socio-economica coltivano sogni di fuga verso lo spazio galattico che funzionano come “dispositivi di distanziamento” (Zoe Sofia 2023) e occultamento dei danni causati dalle loro attività[3]. Non preoccupatevi dello stato degradato del pianeta, riusciremo a breve a riprodurre la vita altrove grazie a quello stesso sviluppo tecnologico che rovina le condizioni di abitabilità terrestri! Il greenwashing di cui andiamo discorrendo merita di essere demistificato da analisi scientifiche come quelle dell’economista transalpina Hélène Tordjman[4], così come richiede di essere sottoposto a indagini minuziose come quelle condotte dal giornalismo indipendente di Follow the Money, capace ad esempio di svelare la truffa delle compensazioni ambientali gestita dalla società svizzera South Pole sul territorio africano[5].
Sull’OSINT, in breve
Le indagini di questa piattaforma investigativa indipendente – spesso orientate verso questioni di interesse ecologico – fanno volentieri uso di tecniche investigative a distanza e basate su fonti liberamente accessibili su Internet note sotto l’acronimo OSINT[6]. In una delle numerose inchieste su South Pole, ad esempio, un tweet postato da un cacciatore statunitense in cerca di prede esotiche, Fred Fanizzi (fredf_406), ha costituito una pista di indagine per ricostruire la connivenza tra le false garanzie di conservazione di un’area naturale nello Zimbabwe (Kariba) e attività venatorie illegittime[7]. Da alcuni anni, le “indagini in open source” (Open Source INTelligence) sono diventate una componente sempre più presente della sfera comunicativa. Basate sulla raccolta di informazioni disponibili on line (talvolta confrontate con altre informazioni tratte dall’esperienza “sul campo” o da fonti private), tali indagini mirano a documentare un’ampia gamma di eventi i cui resoconti ufficiali risultano incerti o manipolati: dall’avanzata dei carri armati russi in Ucraina, alla denuncia di abusi di polizia o di violazioni dei diritti umani, o alla ricostruzione dell’impatto nocivo sull’ambiente delle grandi imprese e delle politiche statali.
Queste inchieste si intraprendono e si perfezionano tanto nell’ambito professionistico che in quello dilettante, affidandosi a metodologie che sfruttano il potere dell’intelligenza collettiva e della messa in rete degli individui. A partire dallo sviluppo del web 2.0 negli anni 2000 la circolazione di una grande quantità di documenti e di strumenti digitali – dai video sui social alle immagini satellitari tipo Google Street View, passando per i leaks – hanno permesso di mettere a punto nuove maniere di verificare da remoto situazioni problematiche, al di là delle versioni divulgate dagli organismi dominanti privati o pubblici. Alcuni gruppi indipendenti connotati da un certo impegno politico, come Forensic Architecture e Bellingcat, sono diventati riferimenti chiave in questo tipo di pratiche e hanno definito da pionieri le grammatiche operative e estetiche che le contraddistinguono. Appropriandosi tali codici, oggi importanti organizzazioni mediatiche a livello internazionale come Le Monde, la BBC e il New York Times hanno creato team specificamente dedicati all’investigazione digitale. Altre entità come Agence France-Presse (AFP), Tactical Tech o il Global Investigative Journalism Network mettono a disposizione gratuitamente risorse per la formazione su queste tecniche, che sono ampiamente divulgate anche attraverso tutorial amatoriali. Lungi dall’essere limitato all’uso giornalistico, l’OSINT costituisce un metodo impiegabile e sfruttato in una serie di settori eterogenei e talvolta in conflitto come l’intelligence militare, l’attivismo militante, il cinema documentario, l’arte contemporanea, l’investigazione aziendale e la sicurezza informatica.
Epistemologie dark e contro-indagini in rete
L’uso di strategie di “open source intelligence” non si limita a chiarire casi controversi nel contesto di operazioni militari (Ucraina, Palestina…) o di violenza poliziesca (come nel celebre e tragico caso di George Floyd o in quello di Nahel Merzouk), per quanto tali ambiti si siano rivelati decisivi per l’affermazione dell’OSINT sulla scena mediatica. Prolungando le considerazioni iniziali sul flight tracking, qui si tratterà di soppesare e valorizzare l’impiego di queste forme di indagine critica in altri ambiti e in particolar modo nella prospettiva ecologica. Essa costituisce attualmente un terreno di scontro intellettuale e politico, in cui lo sviluppo di un sapere condiviso e argomentato sullo stato del pianeta risulta costantemente messo alla prova dallo scetticismo alimentato da potenti interessi economici alleati con diversi settori della destra globale – nonostante gli studi prodotti dalla ricerca internazionale come quelli dell’IPCC. Si pensi, a tal proposito, a Donald Trump, capace di mettere in discussione con disinvoltura le evidenze scientifiche facendo leva sulle pseudo-prove di una contingenza locale. Secondo un tweet del 22/11/18 che richiama numerose altre dichiarazioni analoghe, l’allora presidente degli Stati Uniti dubitava rumorosamente del cambiamento climatico globale a partire da un episodio invernale anomalo nel suo paese: “Una brutale e prolungata ondata di freddo potrebbe infrangere TUTTI I RECORD – Che fine ha fatto il riscaldamento globale?”. La postura di Trump incarna sul terreno della crisi ecologica la dinamica che il fondatore di Forensic Architecture, Eyal Weizman, chiama “dark epistemology” ovvero un approccio alla conoscenza e al dibattito intellettuale che “cerca di nascondere piuttosto che rivelare l’informazione” producendo rumore, contraddizione e confusione[8]. Si badi che tale strategia epistemologica distruttiva volta a ostacolare la “verificazione” non costituisce una novità delle telecomunicazioni contemporanee secondo la vulgata del post-truth. Secondo Weizman è attestabile in numerose situazioni passate (dalle campagne dell’industria del tabacco alla propaganda dei regimi autoritari). Essa oggi trova un’attualizzazione nell’ambito del negazionismo ecologico.
Evidentemente l’intervento di agenti eco-negazionisti sulla scena geopolitica mondiale non si limita alla confusione comunicativa, ma si traduce anche in atti governativi e manipolazioni politiche laddove essi riescono a prendere il potere. Nella parte meridionale del continente americano, il loro club è presieduto da Jair Bolsonaro, che nel corso del proprio mandato presidenziale non ha smesso di nascondere la realtà del degrado della foresta amazzonica attraverso dichiarazioni strategiche improbabili (incendi appiccati da ONG ambientaliste) o sabotaggi istituzionali (come il licenziamento del capo dell’agenzia spaziale brasiliana, INPE, per aver dimostrato la perdita di territorio forestale). Il rapporto scritto da quest’ultimo, Ricardo Galvao, direttore generale dell’Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale del Brasile, aveva utilizzato immagini satellitari per monitorare i cambiamenti dell’ambiente amazzonico. Questo tipo di visione – verticale, sintetica e comparabile – costituisce uno strumento classico per la raccolta di informazioni in ambito OSINT e, in una prospettiva ecologica, può aiutare a accertare eventi su una scala ambientale che oltrepassa l’osservazione sul campo (situata, contingente). Insomma permette di rendere conto di (e potenzialmente rendere giustizia a) un’oggettività che eccede lo spettro percettivo immediato e personale, per riprendere il ragionamento di Timothy Morton sugli “iperoggetti” ambientali[9].
L’impiego di queste tecniche di visualizzazione e analisi è ben esemplificato dal lavoro di un’organizzazione come Sky Truth, il quale punta a dimostrare che le immagini satellitari non contribuiscono unicamente allo sfruttamento high tech delle risorse terrestri (dall’agricoltura digitalizzata all’estrazione mineraria) o alla sorveglianza militare[10]. Dal monitoraggio del livello d’inquinamento da petrolio dell’acqua oceanica alla denuncia dell’impatto di miniere, la vista satellitare può aiutarci anche a identificare le conseguenze deleterie di tale sfruttamento economico. “Come l’occhio di Sauron, ma per la giusta causa”, afferma Sky Truth promuovendo le proprie attività. In un contesto di insabbiamento orchestrato dall’alto, è difficile negare l’importanza – reale e potenziale – di un’applicazione ecologica dell’indagine digitale e connessa alla necessità di descrivere, nel modo più democratico e accurato possibile, le trasformazioni ecologiche in atto in un ambito spaziale e temporale complesso. Senza dimenticare di individuarne i principali responsabili e le cause economico-politiche, dato che si sta parlando di risultati dell’azione umana e non di mutazioni spontanee.
Determinare l’effetto-Bolsonaro in Amazzonia
Torniamo al Brasile durante il governo Bolsonaro caratterizzato da un forte scetticismo climatico, passando per Londra dove nella Goldsmith è stata fondata più di dieci anni fa la famosa Forensic Architecture, uno dei pilastri del recente rinnovamento delle pratiche investigative all’incrocio tra ricerca, creazione e attivismo. Sostenuta da una fondazione privata e da finanziamenti universitari, nel 2022 tale agenzia si è dedicata a verificare i danni causati dalle politiche governative brasiliane nella foresta amazzonica. Il suo lavoro investigativo, beninteso, non ha fatto che prender il testimone di numerose denunce di attivisti e popolazioni indigene che combattevano sul campo contro la recente gestione ultra-liberale di questo territorio[11]. Il perimetro di indagine individuato da Gold mining and violence in the Amazon rainforest – tale è il titolo della ricerca/indagine in questione – riguarda la diffusione delle miniere d’oro nel territorio tradizionalmente abitato dagli Yanomani, popolo in prima linea nell’opposizione alla deforestazione estrattiva[12]. Per Forensic Architecture, si trattava di comprendere le conseguenze di iniziative disastrose promosse da Bolsonaro, come la limitazione dell’azione delle organizzazioni a tutela dell’ambiente, la riduzione delle multe per i reati ambientali o la legalizzazione dell’attività mineraria nelle aree protette.
L’indagine a partire da documenti prevalentemente digitali si concentra su due questioni principali. In primo luogo, la proliferazione delle aree deforestate dall’installazione e dall’espansione delle miniere lungo il fiume Uraricoera, analizzata principalmente attraverso uno studio comparativo di immagini satellitari. A tal proposito, Forensic Architecture ci permette di osservare dall’alto l’allargamento delle “macchie” di deforestazione con una visualizzazione cronologica comparativa. Per dimostrare il loro legame con le attività estrattive d’origine umana, l’indagine ci invita a prestare attenzione alle piste di atterraggio visibili dal cielo nello spazio forestale. Attraverso un processo di remote sensing permesso da questa prospettiva satellitare, è inoltre possibile individuare l’inquinamento delle acque verosimilmente causato dalle miniere e i prodotti impiegati nel loro sfruttamento, che colpisce gli abitanti della regione. La seconda questione al centro di questa inchiesta concerne precisamente il popolo Yanomani, impegnato contro queste attività dannose e perciò diventato bersaglio di attacchi violenti. L’inchiesta si interessa in particolare a spari provenienti dal fiume volti a intimidire la comunità autoctona, la cui origine deve essere stabilita. Chi vuole spaventare i villaggi indigeni sulle rive del fiume? Chi c’è dietro queste aggressioni documentate da video registrati dagli abitanti del luogo? Analizzando diversi film disponibili su piattaforme come YouTube attraverso ricostruzioni 3D e raffronti con le informazioni tratte dalla stampa brasiliana online, Forensic Architecture riconosce la connessione tra i probabili autori di queste iniziative e i responsabili dell’attività mineraria.
Far testimoniare l’ambiente
Una parte considerevole del lavoro in indagini come quella descritta consiste nel “fare parlare” componenti ambientali attraverso un processo di testimonianza non verbale, attraverso mediazioni tecniche. Si tratta, insomma, di “leggere” i segni non codificati lasciati da un evento sull’ambiente: un’attività che costituisce, al di là dello spettro di indagini connotate come OSINT, uno dei problemi essenziali della lotta ecologica fin dalla formulazione stessa del concetto di Antropocene basato sul riconoscimento di tracce di scelte e attività socio-politiche nella materia ambientale. Gli ambienti che abitiamo – innanzitutto quelli artificiali, nell’ottica dell’architettura forensic – possiedono un’intrinseca capacità mediale nel trattenere e restituire segni di fenomeni occorsi: ridiscutendo la portata dell’idea di sensibilità e di estetica (“sentience and aesthetics”), Weizman ci invita a valorizzare “qualsiasi processo di registrazione di ogni superficie materiale”[13]. Tale prospettiva presuppone un’incessante interazione comunicativa tra enti sensibili – non necessariamente umani né viventi – che produce segni e modifica i comunicanti.
Secondo tale logica, l’inchiesta mira a riconoscere tali sensori “amplificando” i loro messaggi con tecniche appropriate per poi “connetterli” a molteplici altri documenti in vista di produrre una dimostrazione. L’attualità dell’esempio a proposito di Gaza citato nell’argomentazione del ricercatore israeliano merita di soffermarcisi di nuovo. La situazione menzionata riguarda il rilascio clandestino di diserbanti tossici lungo il confine dell’enclave da parte dell’esercito israeliano al fine di controllare la zona frontaliera. L’operazione condotta di nascosto, tuttavia, lascia tracce sulle foglie di diverse piante particolarmente sensibili nell’area palestinese con la complicità del vento. Nella fattispecie, alcune piante alimentari particolarmente tenere – coltivate negli orti palestinesi prossimi al confine – riportano macchie e “bruciature”[14]. Tali superfici vegetali registrano l’anomalia chimica e, correlate ad altri indizi probatori, permettono di svelare le tattiche israeliane. Il supporto della flora non è che uno tra i diversi casi di “testimonianza ambientale” nell’ambito della striscia di Gaza in cui la presenza di crepe negli edifici dovute a choc sismici ha condotto, in modo simile, all’identificazione di bombardamenti pesanti nella primavera 2021 responsabili di una devastazione in profondità del sottosuolo cittadino.
Utilità e inutilità dell’OSINT in tempi di crisi ambientale
Gli elementi riuniti in questo rapido testo ci permettono di stabilire una certa utilità delle contro-inchieste in open source nell’ambito della battaglia volta a definire prove condivise sulle attuali crisi ambientali. Dalla capacità di leggere le tracce delle attività e delle scelte umane sugli ambienti attraverso la mediazione tecnica fino alla vocazione divulgativa presso il grande pubblico con i suoi formati video (punto debole dei rapporti scientifici dettagliati), l’OSINT può costituire un’arma nelle mani dei gruppi impegnati sul fronte ecologico. A proposito di tale utilità in chiave eco-politica, è importante precisare due parametri politici essenziali, di natura epistemologica e metodologica: queste indagini, in primo luogo, non devono limitarsi a produrre dati e individuare tracce per stabilire una “verità fattuale”, ma cercare di far luce sulle responsabilità e sulle premesse politiche di tale fatto, prendendo posizione. In secondo luogo, in una chiave decoloniale, non si tratta di indagare dal Nord globale le zone storicamente subordinate (Sud, Est…), ma di costruire un’alleanza con le persone interessate sul campo destinate a diventare co-protagoniste di una “verificazione condivisa” e non semplici comparse.
Esistono, al contempo, una serie di contraddizioni che non vanno trascurate quando si apprezza l’interesse – certo ma non univoco – dell’incontro tra OSINT e problemi ecologici: esse ci indicano zone di inutilità e contro-produttività da prendere in considerazione. Un primo limite riguarda l’uso intensivo della tecnologia digitale come presupposto dell’indagine – in teoria più si sviluppa attività connessa meglio è per fare ricerca a distanza – in un contesto storico in cui risulta innegabile l’impatto ambientale di tali strumenti, per esempio in termini di inquinamento atmosferico, voracità energetica e estrazione mineraria. Un secondo elemento critico può essere individuato nella constatazione che la semplice informazione fattuale non si traduce magicamente in impegno attivo: come dimostrano le teorie “collassiste”, l’accesso a dati e diagnosi per quanto fondamentale non basta da solo a mettere in moto pratiche e lotte volte alla messa in discussione del sistema socio-economico attuale. Un ulteriore fattore sensibile corrisponde ad una dimensione di predizione negativa propria alle questioni ambientali in cui, come sottolinea la teorica Wendy Chun, la descrizione di scenari futuri probabili è destinata a fare in modo che essi non si realizzino e dunque che non possano essere provati retrospettivamente (lavoro in cui l’OSINT eccelle)[15]. Analizzando “l’effetto CSI” – ovvero la rilevanza acquisita nell’immaginario comune della dimostrazione fattuale di cui beneficia senza dubbio il successo delle indagini in rete – Chun ci consiglia di emanciparcene almeno in parte per integrare situazioni irriducibili a tale ossessione. L’ambito della mutazione climatica ne fa parte nella misura in cui richiede decisioni e giudizi basati su analisi probabilistiche (“modelli ipo-reali”) che tali decisioni e giudizi non mirano a verificare, quanto piuttosto a evitare.
Note
[1] Il presente articolo è stato scritto sull’onda delle discussioni e degli incontri generati dalle giornate “Festival OSINT. Contre-enquête et regard civil : du journalisme d’investigation au cinéma documentaire «(svoltesi a Parigi nel dicembre 2023 e organizzate dagli autori con le associazioni Open Facto e After Social Network), prolunga una serie di testi in corso di redazione per il media The conversation in lingua francese.
[2] Esistono numerosi siti che utilizzano queste informazioni e mappano il traffico aereo, come: www.flightradar24.com
[3] Si veda il contributo di Zoe Sofia alla raccolta: Conchiglie, pinguini, staminali, Bologna, DeriveApprodi, 2023.
[4] Helène Tordjman, La croissance verte contre la nature, Parigi, La decouverte, 2022.
[5] Per avere un’idea dell’insieme delle attività d’inchiesta di Follow the money, si consulti: https://www.ftm.eu/articles
[6] Abbiamo proposto un paio di articoli d’introduzione a tale campo di attività e riflessione all’interno di Antinomie: https://antinomie.it/index.php/tag/osint/
[7] Ties Gijzel, “Shooting elephants and selling fictitious CO2 rights: South Pole facilitates both”, 16 Ottobre 2023:
[8] Eyal Weizman, “Open verification”, E-flux, giugno 2019, on line: https://www.e-flux.com/architecture/becoming-digital/248062/open-verification/
[9] Timothy Morton, Iperogetti, Roma, Nero, 2018.
[10] Le loro attività contrassegnate dal motto ottimista “if you can see it, you can change it” sono accessibili attraverso il sito: https://skytruth.org/
[11] Testo e video dell’inchiesta sono accessibili on line all’indirizzo: https://forensic-architecture.org/investigation/gold-mining-and-violence-in-the-amazon-rainforest
[12] A titolo esemplificativo del ruolo chiave ricoperto da tale popolazione sulla scena politica e intellettuale si veda il testo: Bruce Albert, Davi Kopenawa, La caduta del cielo. Parole di uno sciamano Yanomani, Milano, nottetempo, 2021.
[13] Si veda: Eyal Weizman, “Inhabiting the Hyper-Aesthetic Image”, Nordic Journal of Aesthetics, n° 30, 2021.
[14] Ci riferiamo all’indagine Herbicidal warfare in Gaza (2019) consultabile on line: https://forensic-architecture.org/investigation/herbicidal-warfare-in-gaza
[15] Ci riferiamo a: Wendy Hui Kyong Chun, « On Hypo-Real Models or Global Climate Change: A Challenge for the Humanities”, Critical Inquiry, n° 41, 2015.
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