Elezioni europee 2024: partiamo dai numeri
DA LA FIONDA (Di Giulio Di Donato)
Qualsiasi tentativo di riflessione approfondita sul significato e sugli scenari che si apriranno in seguito alle ultime elezioni europee deve partire da una corretta analisi dei dati.
Innanzitutto, come ci insegna il buon senso, cose simili vanno comparate con cose simili: in questo caso i numeri delle europee del 2024 vanno messi in relazione soprattutto con quelli delle elezioni dello stesso tipo del 2019.
Da tale confronto emergono i seguenti dati: una sostanziale tenuta della coalizione di centro-sinistra (7.1 milioni di elettori in entrambi i casi), a cui si affianca un travaso di voti dal Partito democratico alla forze rossoverdi trainate da alcune candidature ad effetto (stile Soumahoro) e a da una presa di posizione più netta a sostegno della vicenda palestinese, che costituisce un tema ancora piuttosto sentito in quegli ambienti (nel 2019 il rapporto era 6-1.1, oggi 5.6-1.5); una leggera perdita di consenso della coalizione di centro-destra (che scende da 13.2 milioni di elettori a 11.9), cui è connesso un transito di voti dalla Lega a Fratelli d’Italia (nel 2019 il rapporto era 9.2-1.7, oggi 2-6.7). A risultare maggiormente sconfitto è certamente il Movimento 5 stelle che passa dai 4.6 ai 2.3 milioni di voti: sconta senz’altro un problema di candidature deboli, ma accanto a questo c’è l’incapacità di rilanciare le ragioni di una piena autonomia politico-culturale rispetto alle altre forze in campo, andando oltre se stesso, aprendosi a nuove energie, contrastando l’eccesso attuale di conformismo e subalternità alle parole d’ordine del progressismo delle élite (vedi un modo simile, se non più estremo, di declinare il tema della transizione ecologica e digitale). Poco cambia invece per le forze centriste e per quelle della sinistra più radicale: entrambe sotto lo sbarramento sia nel 2019 che nel 2024.
Anche stavolta il dato politicamente più rilevante è comunque l’astensionismo, con l’affluenza che scende ulteriormente per attestarsi attorno al 49%. Come già si è scritto, la diserzione delle masse popolari dai circuiti tradizionali della partecipazione politica rappresenta la manifestazione più evidente della profonda crisi di legittimità e di fiducia del sistema politico-istituzionale nel suo complesso, sulla quale ancora adesso si tende troppo sbrigativamente a sorvolare. Quella a cui assistiamo è una vera e propria secessione: chi si sente escluso e spinto ai margini della società prende sempre più le distanze dalle formule rinsecchite di una post-democrazia senza popolo, che riguardano sempre più solo i circoli dei garantiti, i paladini di single-issue e gli ambienti più ideologizzati. L’esito è una sfiducia generalizzata verso i meccanismi stessi della lotta politica (“elezionismo” in primis), praticati come un gioco marginale sempre meno attraente ad uso e consumo di pochi affezionati. Per questo motivo forse più che di post-democrazia si dovrebbe parlare di post-politica perché alla base dello scollamento di cui sopra non c’è solo un deficit di offerta di qualità, ma anche una carenza di domanda politica, ovvero la rimozione della politica dall’orizzonte di vita e dall’immaginario di buona parte della popolazione.
Nel frattempo resta sempre assai complicata la sfida di chi è ben poco interessato a contendersi il feudo ristretto dei benpensanti o quello opposto dei “sovranisti” de’ noantri, di chi cioè intende sottrarsi alla contesa propagandistica tra un moderatismo di ispirazione liberal-conservatrice e uno di tipo liberal-progressista, una polarizzazione che aggredisce solo superficialmente i nodi e le contraddizioni fondamentali. Eppure bisogna “cercare ancora” al fine di promuovere e sviluppare una posizione politico-culturale terza che sia critica tanto verso il provincialismo ristretto e corporativo del centro-destra, quanto verso l’esterofilia e le premesse di matrice liberal-globalista del centro-sinistra. Con l’obiettivo di rianimare il più possibile gli spazi di partecipazione popolare, contro logica tecnocratica del pilota automatico liberal-atlantista, che è destinata a rimanere ben operante, quali che siano le maschere dietro le quali di volta in volta essa si camuffa. Ma per fare questo, urge inventarsi qualcosa di nuovo, mobilitando il piano più direttamente politico con quello prepolitico e metapolitico, evitando di seguire strade già battute, sulla scia del risultato incoraggiante di Sahra Wagenknecht in Germania: servono insomma parole nuove, facce nuove, modalità d’azione nuove, sintesi nuove. Salvo che l’irruzione dell’Evento non scompagini tutto e ci trascini in uno scenario radicalmente diverso (qui il riferimento è soprattutto al rischio concreto di un’escalation di guerra imminente).
FONTE: https://www.lafionda.org/2024/06/10/elezioni-europee-2024-partiamo-dai-numeri/
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