Inferiori e pure ingrati
DA GAZZETTA FILOSOFICA (Di Michele Rossi)
Coi tempi che corrono, scrivere un saggio come Grazie, Occidente! di Rampini assicura un successo immediato: mentre Israele, col sostegno occidentale, stermina i palestinesi e bombarda Beirut, cosa c’è di meglio di un bel frullato di suprematismo, preconcetti, revisionismo storico e culturale? Sulle altissime vette poetiche e i deliri mistici dello scritto rampiniano hanno già detto tutto in molti; perciò, non ha senso rincarare la dose nel proverbiale tiro al piccione. In questa nuova incursione, quindi, assisteremo a quell’incontro con un pastore masai della Tanzania, che tanto ha ispirato il prologo dell’opera. Un dialogo immaginario in cui, però, s’inceppano i piani del pifferaio occidentale, mentre il pastorello, armato dei mezzi che il Capitale stesso gli ha fornito, fa più resistenza del previsto…
C’era una volta Musa, giovane pastorello della Tanzania. Siede non lontano dal gregge, gli occhi fissi sullo smartphone, tra una chat con amici, qualche notizia e una visitina a siti hot.
La tranquillità del momento, purtroppo, viene spezzata da uno strano individuo che sopraggiunge da Ovest: un bianco allampanato, con i capelli sparati in tutte le direzioni e delle strane bretelle colorate. Passeggia con un IPad in mano, guardandosi intorno e mormorando, in un inglese rovinato dalla erre moscia, strane considerazioni sul paesaggio: “Ah, che terra incontaminata! Che Eden! Si vede che stiamo proprio facendo un buon lavoro!”
Musa non capisce di che “lavoro” stia parlando, né dove sia questa “terra incontaminata”, ma la cosa che più lo indispone è che lo straniero sembra diretto proprio verso di lui.
Musa sospira: il piacere di stare con le proprie greggi, senza nessuno che rompa i coglioni, dovrebbe essere uno dei pochi lati positivi della pastorizia. E invece eccolo là, in procinto di confrontarsi con un bianco borghese che attacca bottone. “Allora, come procede la giornata? – comincia l’uomo in bretelle – Sai, un po’ ti invidio: immerso in questa natura incontaminata e selvaggia…”
“Scusa, signore, ma quale natura incontaminata? Non hai visto le trivellazioni poco più avanti?”
L’ometto allampanato ha un sussulto dietro gli occhialetti rossi, ma si riprende in fretta. In fondo, sta scrivendo un libro proprio su questo: quale migliore occasione per sfoggiare le inattaccabili argomentazioni pro-occidente?
“Mio caro amico – comincia – forse ti stai perdendo il quadro più ampio: grazie al petrolio che verrà estratto dalla terra avrai sempre più energia per illuminare casa, per usare la TV e caricare il tuo smartphone! Un sacco di vantaggi, al prezzo di un piccolo sacrificio.”
Musa solleva il sopracciglio.
“Ogni volta che bucano il terreno perdiamo terre, spazi per le nostre greggi e per i parchi, e tutto si guasta sempre più. Non capisco come questo sia una cosa buona, e comunque io la TV neanche ce l’ho!”
Lo straniero si sbottona il colletto, incerto se le vampate di caldo sorgano dal sole allo zenit o dalla conversazione più ostica del previsto, e si lancia con foga nell’agone argomentativo: spiega che i gasdotti e le trivellazioni non sono colpa degli occidentali, ma dei governi locali, prepotenti e menefreghisti della volontà dei cittadini, che i cittadini dovrebbero ribellarsi e…
“Ma signore, da quello che so a costruire non sono i governi, ma il colosso francese TotalEnergies. Allora o i francesi non sono occidentali, oppure l’Occidente c’entra eccome ed è in combutta con i nostri governi, giusto?”
L’uomo in bretelle soffoca un’imprecazione, pensando un sacco di cattiverie sui cugini d’oltralpe e sulle loro mamme, ma cerca di salvare il salvabile:
“Oh, ma quelli sono francesi, sai: a volte si comportano in modo sconveniente, ma sono pur sempre eccezioni…”
“Eppure, signore, so che anche in Nigeria stanno distruggendo l’ambiente, alberi e animali, ma lì a fare disastri c’è anche un colosso italiano. Si chiama…”
“Vabbè, ho capito – si agitano i capelli bianchi dell’uomo – ma non ci sono solo i disastri ambientali! Pensa ai vaccini, al bene che l’Occidente sta facendo per voi, seguendo il suo spirito altruistico e umanitario. Ti sembra poco?”
Musa storce il naso. Ricorda all’uomo bianco che i vaccini per il COVID li hanno pagati cari, visto che le aziende farmaceutiche che li producevano hanno fatto pagare caro il loro altruismo senza rinunciare ai brevetti… forse un po’ troppo per pensare a un aiuto “spontaneo”.
“E poi, caro signore – rincara Musa – se un padrone asciuga il sangue dalla bocca di uno schiavo appena pestato, dovremmo forse essere grati al padrone per il suo gesto?”
L’ometto in camicia è in un bagno di sudore, quasi in apnea.
Possibile che quel povero ragazzino, quello zotico proveniente da una landa desolata dimenticata da Dio e ristorata grazie al progresso capitalistico, riesca a tenergli testa in quel modo? Forse non è stata un’idea così saggia fornire la connessione 3G a tutti gli abitanti della Tanzania; forse ci vorrebbe una selezione più accurata: queste fake news anti-occidentali si diffonderebbero molto meno!
Purtroppo, non potendo dar voce ai suoi veri pensieri, il bianco deve rispondere buttando la palla in tribuna: “Caro ragazzo, la schiavitù è senz’altro una pagina buia della storia occidentale, un tragico errore figlio di ignoranza… anche se bisogna essere onesti: la schiavitù esisteva anche in tempi più antichi, presso i popoli africani e asiatici!”
“Perdonami, signore, ma stai davvero paragonando la schiavitù delle poche migliaia di africani in tempi passati con la tratta degli schiavi da Cristoforo Colombo in avanti? Milioni di indigeni americani sterminati dal vaiolo o passati a fil di spada, sostituiti da milioni di africani morti di sete nelle navi-cargo, sepolti vivi nelle miniere di oro e argento, massacrati di botte nelle piantagioni di canna da zucchero o di cotone; tutto questo per gonfiare la pancia all’Occidente di ricchezze e potere e consegnargli il timone della storia recente.
Caro signore, io non vedo intorno a me gli effetti della schiavitù antica; invece, mi sono molto chiare le conseguenze di quella moderna e contemporanea. Forse noi africani abitiamo davvero una terra sfortunata, ma mi sto accorgendo che almeno non siamo soli: i miei fratelli indiani, curdi, persiani, vietnamiti, latinoamericani, anche loro vivono in terre sfortunate, rese ancora più povere e disperate dal dominio occidentale. Abbiamo imparato cosa succede a fidarci dei paesi occidentali, delle loro promesse di crescita e sviluppo, e forse lo stanno capendo anche alcuni di voi: se l’Occidente intende solo il linguaggio della forza, è così che reagiremo!”
Dopo la tirata di Musa, all’ometto in bretelle sembra di essere investito da una carica di pugni: i capelli afflosciati, lo sguardo fisso e sgranato, il respiro corto, gli permettono solo un’ultima, disperata arringa.
“Mio giovane amico, ti prego, non fatelo! Capisco tutta la vostra rabbia, il vostro astio, il vostro rancore, ma non vedete che in questo modo aprite solo la strada ad altri dominatori? Non capite che, se l’Occidente si ritira, arrivano in massa i russi e i cinesi, pronti a sfruttarvi come e più di prima? La vostra situazione non può che peggiorare, insomma! Solo noi possiamo aiutarvi!”
A quest’ultima provocazione, Musa risponde con un sorriso beffardo: “A quanto pare voi occidentali non avete ancora imparato nulla: non riuscite a capire che prendiamo decisioni con la nostra testa. Per voi, sotto sotto, rimaniamo comunque i poveri neri inferiori, sempre pronti ad essere raggirati e a vendersi al miglior offerente, che sia la Cina o la Russia. Non ce la fate proprio a capire che siamo a tal punto stufi di voi da preferire le nostre dittature alle vostre, o i commerci con la Cina a quelli con Parigi?”
L’ometto in camicia è ormai stremato, seduto a terra senza più voce.
Il tuorlo d’uovo nel cielo azzurro inizia a scivolare sulle montagne, mentre Musa raccoglie le proprie cose. Sente un po’ di pena per quel povero ometto occidentale e per quell’IPad cascato nella polvere; per questo, decide di lasciargli un ultimo messaggio di speranza.
“Su con la vita, signore – comincia in tono dolce – ché non siamo mica alla fine della storia. Non conosciamo i russi e i cinesi; sappiamo solo che non ci hanno schiavizzato, deportato e sfruttato per gli ultimi cinquecento anni. Se anche loro diventeranno violenti, prepotenti e colonizzatori li combatteremo, esattamente come ora combattiamo voi. Fino a quel momento, credo che abbiamo il diritto, per una volta, di sbagliare con la nostra testa!”
Musa si allontana, con il gregge radunato dai cani e la ribollita di carne di sua madre che già gli stuzzica il palato.
Il giornalista in bretelle, invece, riemerge piano piano dalla tanatosi, ancora in preda allo shock. Ma non si dà per vinto. Al trauma psico-politico risponderà con la migliore strategia occidentale: la rimozione.
Scriverà un bellissimo panegirico filo-capitalista, in cui il buon Musa comparirà nell’introduzione… solo più silenzioso, passivo, anonimo e, anche se non lo dice, immensamente grato!
FONTE: https://www.gazzettafilosofica.net/2024-1/ottobre/inferiori-e-pure-ingrati/
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