Israele attacca i soldati italiani in Libano: il Governo lascia solo Crosetto a protestare con Tel Aviv
di L’INDIPENDENTE (Andrea Legni)
Nel pomeriggio di ieri* l’esercito israeliano ha attaccato le postazioni della missione militare UNIFIL delle Nazioni Unite in Libano. Tra gli obiettivi vi erano anche le postazioni dell’esercito italiano, che in Libano è presente con oltre mille soldati. Dopo che un drone ha sorvolato ripetutamente la base UNP 1-31, area dove sono presenti 18 militari italiani, i colpi israeliani hanno preso di mira l’ingresso del bunker dove sono rifugiati i soldati italiani e hanno danneggiato i sistemi di comunicazione della base. Rabbiosa la risposta del ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, che ha convocato d’urgenza l’ambasciatore israeliano e poi ha accusato: «Non si è trattato di un errore, né di un incidente, ci devono spiegazioni formali, reali, nei tempi più rapidi possibili», aggiungendo che gli attacchi israeliani potrebbero «costituire crimini di guerra». Il resto del governo ha avuto reazioni tiepide, se non nulle. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha riferito di aver presentato formali proteste alle Autorità israeliane, mentre il ministro degli Esteri Tajani ha dichiarato alla stampa di augurarsi le scuse di Israele. Non una parola dal vicepremier Matteo Salvini, che sui propri social nelle ore seguenti l’attacco ha postato come al solito di tutto (dal video di una madre che riprende il figlio che corre col motorino, ai soliti sproloqui sulla castrazione chimica), ma proprio non si è accorto dell’attacco dell’esercito di Netanyahu, che non a caso in passato aveva definito il leader leghista «un grande amico di Israele». L’impressione è, dunque, che la rumorosa avanscoperta di Crosetto serva a coprire la totale irrilevanza del governo italiano, la cui complicità con Israele – testimoniata dalla sistematica astensione a tutte le risoluzioni dell’ONU che ne hanno condannato il massacro a Gaza – non pare scalfita nemmeno dall’attacco diretto contro il proprio contingente militare.
Sulla volontarietà dell’attacco israeliano non paiono esserci dubbi e da Tel Aviv non sembrano nemmeno porsi il problema diplomatico. Anziché scusarsi per gli attacchi, che hanno colpito anche la base di Naqura, dove sono stati feriti due soldati indonesiani, l’ambasciatore israeliano all’ONU ha infatti contrattaccato dicendo che il contingente UNIFIL dovrebbe «spostarsi di cinque chilometri più a nord per evitare pericoli». L’impunità garantita dall’Occidente ad Israele, in pratica, ha prodotto il paradosso per il quale ora Tel Aviv si sente le spalle abbastanza larghe per minacciare l’esercito dell’ONU, forte di oltre diecimila soldati in Libano. Diversi governi europei, guidati da Francia e Spagna, hanno attaccato le dichiarazioni dell’ambasciatore israeliano e Crosetto, usando toni forti, ha sottolineato che «le Nazioni unite e l’Italia non prendono ordini da Israele». L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE, Josep Borrell, ha condannato «questo attacco inammissibile», per il quale «non esiste alcuna giustificazione». Dai vertici del governo italiano, tuttavia, le reazioni sono state molto più contenute. In un comunicato, il governo riferisce di aver «formalmente protestato» con le Autorità israeliane, mentre Tajani ha riferito alla stampa di augurarsi le scuse Israele.
Ma perché l’esercito israeliano ha attaccato il contingente UNIFIL? Militarmente parlando il senso non è immediatamente comprensibile. L’attacco Israeliano sul Libano, scatenato con il pretesto di sgominare le milizie di Hezbollah, sta procedendo senza incontrare freni a livello internazionale, e i soldati ONU fino ad oggi sono rimasti a guardare. Non è difficile immaginare che l’obiettivo, per Tel Aviv, sia proprio quello di liberarsi degli occhi del contingente internazionale. La guerra di distruzione che Israele sta portando avanti nel sud del Libano appare ogni giorno più simile nelle modalità al massacro di Gaza. Secondo le ultime stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) sono oltre 1.150 i morti in Libano a partire dal 17 settembre, giorno dell’esplosione simultanea di centinaia di cercapersone di Hezbollah, più di 7 mila i feriti e oltre 608 mila gli sfollati (un milione secondo le autorità libanesi). E l’esercito delle Nazioni Unite rappresenta uno scomodo testimone, contando che proprio l’UNIFIL, nel luglio scorso, denunciò in un report l’utilizzo da parte israeliana delle micidiali (e vietate da ogni convenzione internazionale) bombe al fosforo bianco.
La missione UNIFIL è stata istituita dall’ONU nel 1978 con il compito, tra gli altri, di «ripristinare la pace e la sicurezza in Libano». Tra i diecimila effettivi sono presenti ben 1068 soldati italiani, che costituiscono il secondo contingente più numeroso. Il compito era, in particolare, verificare il ritiro delle forze israeliane, ripristinare la pace e la sicurezza internazionali e aiutare il governo libanese a ripristinare la sua effettiva sovranità. Obiettivi che, a distanza di 46 anni, risultano lontani dall’essere realizzati, tanto che oggi questi si sono ridotti al solo piano umanitario, mirando soprattutto a fornire assistenza alla popolazione civile.
*Articolo del giorno 11 ottobre 2024.
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