L’aggressione all’Unifil e il tentativo di regime-change in Libano
da PICCOLE NOTE (Redazione)
Mentre Israele continua a sparare contro la missione di pace Onu, gli Usa lavorano per un regime-change in Libano. Incombe l’attacco di Tel Aviv contro l’Iran e Putin incontra il presidente iraniano Pezeshkian
Prosegue il tiro a segno dell’esercito israeliano contro le forze dell’Onu al confine libanese, aumentano i feriti tra i soldati inviati in missione di pace. Tel Aviv ha dichiarato guerra al mondo, contando sulla connivenza americana, che non ha espresso il dovuto disappunto verso l’alleato mediorientale.
Gli spari sui bambini e quelli contro l’Unifil
Sulla follia di sparare sulle forze di pace è inutile indugiare. D’altronde, le dinamiche dell’intervento a Gaza sono sotto gli occhi di tutti e la totale impunità delle forze israeliane li spinge giocoforza ad alzare sempre più l’asticella della barbarie.
Per quanto riguarda Gaza, segnaliamo l’articolo-denuncia del New York Times del 9 ottobre, che riportava la testimonianza di 65 medici americani che hanno prestato servizio nella Striscia. Rilanciamo solo una di queste: “Tra le tante cose che mi hanno colpito del lavorare in un ospedale a Gaza, una mi ha colpito più di altre: quasi ogni giorno vedevo un nuovo bambino colpito in testa o al petto, tutti poi morti. Tredici in totale”.
“Allora pensai che si trattasse dell’opera di un soldato particolarmente sadico che si trovava nelle vicinanze. Ma, tornato a casa, ho incontrato un medico di medicina d’urgenza che aveva lavorato in un altro ospedale a Gaza due mesi prima di me. ‘Non potevo credere al numero di bambini che ho visto colpiti alla testa’, gli ho detto. Con mia sorpresa, ha risposto: ‘Sì, anch’io. Ogni singolo giorno’”.
Come si accennava in una lettera a Biden-Harris contenente analoghe testimonianze e firmata da 99 medici americani che avevano prestato servizio a Gaza, è “impossibile” che tutto ciò “sia accidentale o ignoto alle più importanti autorità civili e militari israeliane”.
Sempre su Gaza, di ieri l’anticipazione di un’indagine Onu, sintetizzata così da al Jazeera: “Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno accusato Israele di aver deliberatamente preso di mira le strutture sanitarie di Gaza e di aver ucciso del personale medico durante la guerra nell’enclave assediata”.
Ci si può meravigliare se tale follia, figlia dell’impunità garantita dagli Usa, abbia come pendant gli spari contro la missione Onu, nella quale serve la Brigata Sassari? Un missione colpita, peraltro, con proiettili forniti dagli Stati Uniti che – al di là dei vincoli Onu e delle leggi internazionali delle quali si dicono tutori – in teoria dovrebbero essere nostri alleati…
Al di là del particolare, siamo rimasti sorpresi dall’assenza di commenti all’accaduto sui più importanti media israeliani: non una censura, semplicemente non lo si ritiene rilevante. L’anno di guerra, a parte eccezioni che confermano la regola, ha creato assuefazione a certi estremismi.
Putin incontra il presidente iraniano Pezeshkian
Detto questo, sembra che Israele sia intenzionato a continuare la campagna intimidatoria contro la missione Onu, anche a costo di mietere vittime, finché non avrà raggiunto il suo obiettivo di farla arretrare, come ordinato dalle sue autorità.
Tutto ciò avviene mentre il Libano del Sud è soggetto al “trattamento Gaza”, con la periferia meridionale di Beirut martellata ogni giorno e interi villaggi siti vicino al confine rasi al suolo (vedi i filmati pubblicati da Haaretz). D’altronde, come accaduto per la Striscia, anche qui vale la dottrina secondo la quale “ogni casa è una base terroristica” (Yedioth Ahronoth).
Nel mentre, è ancora sospesa la spada di Damocle di un attacco all’Iran. Sul punto sembra ci sia stata un’intesa tra Biden e Netanyahu, concordata nel corso della telefonata di mercoledì, anche se nulla si sa sulla portata e sugli obiettivi.
A tale intesa sembra rispondere l’incontro tra Vladimir Putin e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, avvenuto nell’ambito di un forum internazionale tenutosi in Turkmenistan.
Incontro tanto rilevante che, nell’articolo che Ria Novosti ha dedicato all’evento, come foto principale – quella della Home per intenderci – è stata scelta quella che immortalava la stretta di mano tra i due presidenti (successivamente è stata cambiata con una foto che ritraeva tutti i leader presenti al Forum: evidentemente qualcuno ha temuto che il privilegio accordato all’iraniano suonasse scortesia).
La diplomazia è morta con l’assassinio di Nasrallah
La guerra continua, dunque, e il rischio escalation resta alto. La diplomazia è morta con l’uccisione di Nasrallah, che aveva accettato il cessate il fuoco proposto dall’America al quale aveva dato il suo assenso, poi ritirato, anche Netanyahu (Piccolenote).
Vana, quindi, è risultata l’apertura a un cessate il fuoco manifestata alcuni giorni fa dai due massimi leader sciiti libanesi, il presidente del Parlamento Nabih Berri e il vice di Nasrallah, Naim Qassem (Reuters).
Anche perché gli Stati Uniti, mentre dicono di adire alla diplomazia per finalizzare una tregua, stanno lavorando alle spalle di Hezbollah nel tentativo di rimuoverlo dalla scena politica.
Lo raccontava il 9 ottobre il Wall Street Journal, riferendo che Washington sta proponendo ai Paesi arabi vicini, che hanno rapporti con i partiti politici libanesi, di fare sostanzialmente blocco per eleggere un presidente avverso ad Hezbollah che, ormai indebolito, dovrebbe essere rimosso dalla scena pubblica.
In realtà, gli Usa ci provano da decenni, con punte più attive come la tentata rivoluzione colorata seguita all’assassinio del potente leader sunnita Rafiq Hariri, che portò al ritiro delle truppe siriane (1). E ora sembra che vogliano cogliere l’occasione offerta dalla guerra per realizzare il sogno incompiuto.
Una ricetta che potrebbe far ricadere il Paese dei cedri nell’incubo della guerra civile che lo flagellò dal 1975 al 1990, alla quale parteciparono attivamente Israele e Siria e che, tra gli altri orrori, vide anche quelli della strage di Sabra e Shatila. Non è un buona premessa per i lavori in corso.
(1) Nell’occasione, il senatore Giulio Andreotti fece un durissimo intervento in Parlamento contro le improvvide manovre Usa in Medio oriente, ovviamente con gli usuali toni propri della diplomazia (cliccare qui), ricordando, tra l’altro, quando gli Usa forzarono la mano per innalzare sul più alto scranno del Paese dei cedri Bashir Gemayel, poi assassinato, omicidio che innescò il massacro nei due campi profughi palestinesi…
FONTE: https://www.piccolenote.it/mondo/aggressione-unifil-e-regime-change-libano
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