In Siria è finita l’era degli Assad ma non la guerra: la mappa delle fazioni
di INSIDE OVER (Mauro Indelicato)
Statue buttate giù, bandiere di uno Stato evaporato in appena dieci giorni strappate e date alle fiamme: per adesso a Damasco, e nelle altre principali città siriane, si susseguono le classiche immagini che contraddistinguono la fine di una lunga era. Ma la fine di un’era altro non è che il punto di partenza di una nuova storia. E, soprattutto in Medio Oriente, quando una nuova storia parte sotto le insegne di una guerra difficilmente si traduce in un immediato ritorno della pace e della stabilità.
Lo scontro già in atto tra islamisti e filo curdi
Molte milizie che hanno avviato l’incendio che ha bruciato per intero la Siria degli Assad sono state armate, all’inizio del conflitto nel 2011 e anche negli ultimi mesi, dalla Turchia di Erdogan. Non è certo un mistero che la prima preoccupazione del governo di Ankara riguardi lo spettro di vedere, a guerra finita, una grande entità curda lungo i propri confini. Dal 2016 in poi, Erdogan ha avviato almeno quattro operazioni contro le Sdf, le forze trainate dalle milizie filo curde che da più di un decennio controllano il Nord della Siria.
Per cui, l’obiettivo di diverse sigle finanziate dai turchi è quello di scagliarsi contro i miliziani curdi. In tanti, tra gli islamisti arrivati ad Aleppo nei giorni scorsi, hanno puntato il mirino principalmente verso Est, in direzione cioè delle zone in mano ai curdi. In queste ore scontri molto intensi sono in corso nell’area di Manbij, una sorta di enclave curda a Ovest dell’Eufrate formatasi nell’estate del 2016, quando nella guerra contro l’Isis le forze dell’Sdf arrivarono in anticipo rispetto a quelle governative.
Manbij era un obiettivo di Erdogan già da tempo, non a caso qui fino al 2019 era presente una base Usa successivamente ceduta ai russi. Oggi, con il collasso delle forze governative in parte rientrate negli ultimi anni nell’area, la città rappresenta il principale terreno di scontro tra le forze islamiste, con dentro parte dei combattenti di Hayat Tahrir Al Sham (Hts) e dei filo turchi del Syrian National Army (Sna), e quelle curde. Poche ore dopo la caduta di Assad da Damasco, da Manbij sono arrivate immagini che ritraggono membri con le insegne dell’Sna davanti all’ex base russa e nel centro cittadino. E ora gli scontri si dirigono sempre più verso l’Eufrate e non è detto che non riguarderanno anche la Siria orientale, da tempo saldamente in mano all’Sdf.
Chi governerà a Damasco?
Ma la prima grande domanda probabilmente riguarderà il futuro di Damasco. Se nella capitale si instaurerà un governo unitario, allora forse i nuovi leader del Paese proveranno a salvare una parvenza di unità nazionale. Ma potrebbero sorgere tensioni tutte interne a chi in queste ore è impegnato a togliere i vessilli degli Assad dalle strade.
Occorre infatti sottolineare un punto: Damasco non è stata presa da chi ha iniziato l’avanzata da Nord nei giorni scorsi, cogliendo il primo successo significativo ad Aleppo. Al contrario, a entrare domenica mattina nella capitale sono stati coloro che, in appena 48 ore, hanno iniziato l’avanzata da Sud. Ossia dalle aree di Dara’a e Suweyda, zone dove la composizione delle forze anti governative ha una connotazione diversa rispetto al nord del Paese. Qui infatti si parla soprattutto di gruppi dell’ex Fsa (il Free Syrian Army formatosi nel 2011) che si erano riconciliati con Assad negli ultimi anni. Non solo, ma tra chi ha preso Damasco è molto forte la componente drusa, minoranza presente soprattutto nelle aree confinanti con Giordania e il Golan.
A oggi è difficile dare per scontata una riunificazione, fisica e politica, tra le forze in discesa da Nord (e fermatesi a Homs) e quelle in risalita da Sud. Si tratta di una moltitudine di sigle e gruppi, con orientamenti ideologici, politici e anche etnici molto differenti. Unificate, fino a oggi, unicamente dalla volontà (riuscita) di rovesciare Assad.
Commenti recenti