Covid-19, la pandemia non ferma gli attacchi al sud perché la questione meridionale è lotta di classe
di L’ANTIDIPLOMATICO (redazione)
La discussione sulla cosiddetta Fase 2 prossima ventura che seguirà l’attuale lockdown ha ridestato vecchie polemiche tra Nord e Sud d’Italia. A dire il vero sin dall’inizio di questa pandemia di Covid-19 abbiamo assistito a numerosi attacchi indegni portati nei confronti del meridione. Cercando di far passare la narrazione di un sud allergico ad ogni regola e incosciente che non rispetta le norme emanate dal governo per arginare l’epidemia. Ma non solo. Abbiamo visto un professore milanese cercare di sminuire un importante protocollo terapeutico sperimentato da un collega napoletano.
Fino a giungere agli attacchi squallidi dei soliti noti che preferiamo non citare per non dargli immeritata pubblicità.
In realtà questi attacchi scomposti hanno un obiettivo ben chiaro: nascondere dietro un artificiale contrapposizione tra nord e sud una secolare realtà: si tratta di lotta di classe.
Una dinamica innescatasi oltre 150 anni fa, sin dall’unità d’Italia quando il meridione fu spoliato e de-industrializzato a beneficio delle regioni settentrionali con beneplacito delle classi dirigenti meridionali.
La situazione viene descritta in maniera magistrale da Nicola Zitara. Meridionalista ed acuto economista di estrazione marxista in questo articolo del 2003 che riproponiamo ai nostri lettori. Una riflessione utile per capire cosa si cela dietro gli attacchi scomposti a cui assistiamo attoniti in queste fasi drammatiche per il nostro paese. Non si tratta di nord contro sud o sud contro nord, ma di borghesia contro proletariato, come insegna il barbuto di Treviri.
Quindi denigrare il sud oggi vuol dire alimentare una nuova guerra tra poveri. Significa attaccare la classe lavoratrice del nord e del sud per distogliere l’attenzione dai disastri provocati in Lombardia dai poteri corporativi del Nord.
LA QUESTIONE MERIDIONALE
E’ LOTTA DI CLASSE
La vita degli uomini si svolge secondo due sistemi di regole, quelle naturali e quelle sociali (o storiche). Il concetto, secondo cui lo svolgimento storico della società umana è il frutto della eterna lotta politica fra le classi per affermare l’ordinamento giuridico (cioè politico: lo Stato) più favorevole, si basa sulla premessa che il vincolo da cui gli uomini sono legati l’uno all’altro è la produzione dei beni che soddisfano i loro bisogni (naturali e storici).
Le classi si rivelano nella produzione. Ci sono infatti i lavoratori e i padroni. Non è detto che il padrone non lavori. Il concetto basilare del marxismo è invece che il lavoratore lavora per sé e per il padrone. Per il marxismo non è vero il concetto opposto, secondo cui è il padrone (il capitale) che provvede al lavoratore. La carità, come si chiamava fino a qualche decennio fa, o la solidarietà, come si dice oggi, non riguarda la produzione, ma solo il consumo (dei prodotti).
Se utilizziamo lo schema marxiano della storia sociale, non è difficile spiegarsi perché il Sud italiano non fa un passo avanti e invece fa ininterrottamente dei lunghi passi indietro. Quando, 140 anni fa Napoleone III, imperatore dei Francesi, vinse l’Impero Austriaco sulla pianura lombarda, nella seconda guerra cosiddetta d’indipendenza, al Sud era in atto una dura lotta politica, che spesso arrivava allo scontro cruento, tra padronato fondiario e contadini; scontro che non verteva più (come era avvenuto fino a qualche decennio prima) sull’uso delle terre demaniali della Chiesa e dei comuni, ma su chi doveva impossessarsene. Il governo borbonico, non voleva andare contro i contadini, sempre leali verso la dinastia, e cercava in tutti i modi di rimandare la decisione a favore del padronato, conformemente a ciò che era avvenuto in Gran Bretagna, in Francia e prima ancora nell’Italia toscopadana.
Sconfitta l’Austria, il padronato meridionale tradì i Borbone e si dette in mano ai Savoia, certo che il governo torinese, coperto da Napoleone III e da Sua Maestà Britannica, avrebbe appoggiato le sue rivendicazioni fondiarie e lo avrebbe difeso dalla giusta rabbia dei contadini. I piemontesi domarono l’insurrezione contadina con il ferro e con il fuoco (rifulsero allora le gloriose vittorie del generale Lamarmora e dell’ancor più grande generale Cialdini) e dettero le terre demaniali ai padroni, dopo avere incassato una specie di tangente. Fu, infatti, una banca torinese a vendere patriotticamente ai meridionali il loro demanio ecclesiastico e il loro demanio comunale.
L’alleanza tra padronato meridionale e governo piemontese (il blocco storico di Gramsci) comportò un secondo costo, rappresentato dall’azzeramento dell’industria e della manifattura meridionali, in modo che la manifattura, la banca e il commercio toscopadano potessero riconquistare il Sud. C’è infatti da precisare che prima dell’arrivo dei Borbone-Farnese a Napoli e in Sicilia, al tempo in cui a dominare erano gli spagnoli, per ben cinque secoli il Sud era stato una specie di colonia degli usurai genovesi e fiorentini. Il padronato pagò questo prezzo senza battere ciglio. Industriali e grandi mercanti furono messi fuori gioco, e fu cancellato il lavoro che essi pagavano. L’ex Regno di Napoli e Sicilia arretrò di cinque secoli in pochi mesi, perdendo tutto quello che i Borbone erano riusciti a edificare economicamente, militarmente, culturalmente e socialmente. E perdette anche l’indipendenza della classe politica, essendo essa divenuta un alleato subalterno del partito toscopadano.
Al tempo del cosiddetto Risorgimento, tutti i paesi civili d’Europa erano impegnati a imitare la Rivoluzione industriale britannica. In conseguenza del rivolgimento sociale che la crescita industriale andava producendo, la rendita agraria si avviò sulla strada del tramonto. Il prezzo del grano americano e australiano, che adesso arrivava sulle nuove navi a vapore, cadde rovinosamente. L’agricoltura europea entrò in crisi. Entrarono in crisi anche tutte le regioni e i paesi non industriali (sottosviluppo). I proprietari persero il loro secolare ruolo sociale e il carattere di classe dominante.
Intanto l’originario gruppo dirigente risorgimentale, guidato dagli speculatori liguri e toscani, dal re e dai generali piemontesi, si allargava ai lombardi, agli emiliani e alla nobiltà romana. Tale assemblaggio partorì faticosamente un mezzo sistema industriale che, attraverso la spesa statale, si andò localizzando nel famoso Triangolo industriale Genova – Milano – Torino e poté decollare utilizzando le rimesse valutarie degli emigrati in America. Ma, con la Prima Guerra Mondiale, queste vennero meno. Allora il nostro grandioso e immarcescibile capitalismo padano passò a taglieggiare più fortemente il Sud. Il nesso va spiegato. Nel mondo dell’agricoltura elementare, il padrone trae la sua ricchezza dal lavoro bruto. Più terra ha, un maggior numero di contadini gli conferirà una parte del prodotto. Nel mondo dell’industria, il numero conta molto meno. I capitalisti sono in concorrenza fra loro. Quelli che non riescono ad aumentare la quota di capitale che ciascun operaio mette in moto, falliscono. In tale sistema, il capitale è decisivo. Ora, mentre l’Inghilterra e la Francia, il capitale fresco lo ricavavano dal commercio coloniale, l’Italia toscopadana non aveva colonie da sfruttare. Cosicché, per rifornirsi di capitale fresco, ridusse a colonia il Sud: padroni e contadini. In pratica si ebbe il saccheggio tributario dell’agricoltura, la vendita di uomini a paesi stranieri (l’emigrazione), il drenaggio di ogni lira risparmiata (attraverso i depositi postali), il saccheggio del valore delle esportazioni attraverso l’incameramento della valuta in entrata (le maggiori esportazioni italiane erano la seta, l’olio, il vino, gli agrumi), la negazione di infrastrutture moderne.
Tranne la bretella Napoli – Salerno, cresciuta industrialmente d’impeto e per forza propria (Cirio), in virtù della domanda di alimenti tradizionali in conserva proveniente dall’emigrazione americana, il Sud rimase un paese agricolo e con una classe dirigente fortemente vacillante, perché in declino economico. Lo Stato nordista uscito dal cosiddetto Risorgimento, che prima era sostenuto al Sud dalla proprietà fondiaria, si vide costretto a trovare un rimpiazzo. Sul finire della Prima Guerra Mondiale e lungo il periodo fascista, la classe impiegatizia assunse a pieno titolo il posto di classe dirigente del Sud. La Massoneria mondiale e la Chiesa cattolica benedissero la patriottica successione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i governi centristi elaborarono una fine politica fondata sul clientelismo (per aiutare la nuova classe dirigente a tenere sotto mazza i disoccupati), e di assistenzialismo, per ottenere keynesianamente un allargamento degli sbocchi industriali (ma per la verità anche pace e giustizia sociale).
Ora, questa nuova classe post-risorgimentale, mussoliniana e consociativista non ha la sua base economica nella produzione meridionale (come gli agrari), ma nella spesa statale per stipendi e a sostegno del clientelismo. Nello scontro stronzobossista per scaricare il Sud, è questa la classe chiamata a pagare. La motivazione profonda del suo garibaldinismo fuori stagione (o se si vuole ciampismo) risiede, appunto, in questo maldestro e vile tentativo di Si salvi chi può.
Che poi lo stronzobossismo possa far nascere qualcosa di positivo al Sud è la classica battuta sul fesso. Il Sud è destinato alla totale catastrofe. Pur avendo uomini capaci di produrre ai più alti livelli, pur essendo così pieno di soldi da doverli spedire al Nord perché li utilizzi, il Sud non ha un suo Stato, e quindi non ha una classe dirigente nazional-merdionale. Non ha banche, non ha borse, non ha un pensiero che possa dirsi suo. Ha solo ascari venduti al Nord per un po’di privilegi sociali e molto fumo. Ha una popolazione sfiduciata, dedita al delitto, all’imbroglio, all’intrallazzo, senza fede in sé e negli altri, che vive nel degrado e nell’ignoranza, che si vende al primo offerente. Non un popolo, non una nazione, ma un ammasso di popolazione; una bidonville senza morti di fame, che si stende da Gaeta a Porto Empedocle; un paese di portoricani con la pelle bianca, che staziona tra i sedimenti di tremila anni di civiltà, i resti dei templi magnogreci e le impareggiabili bellezze della natura felix.
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