Trump e l’Unione Europea: tra la pace in Ucraina e una nuova possibile crisi finanziaria
DA LA FIONDA (Di Enrico Grazzini)
Che cosa cambierà per l’Europa con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca? Predire il futuro, e in particolare prevedere quello che farà Trump – noto, per la sua imprevedibilità e per i suoi umori discontinui – è assolutamente impossibile. Tuttavia occorre fare uno sforzo per tentare di comprendere le conseguenze della nuova situazione americana sapendo che bisognerà di volta in volta modificare le previsioni in base alle dinamiche della realtà. E’ noto che Trump non ama la UE e che appoggia tutti i politici europei nazionalisti di destra che, in una maniera o nell’altra, contrastano l’Unione, da Nigel Farage in Gran Bretagna a Viktor Orban in Ungheria a Matteo Salvini in Italia e Aleksandar Vučić in Serbia. Trump formerà con loro e con altri una sorta di “Internazionale illiberale” che condizionerà pesantemente la politica europea a partire dalla questione dei migranti. Oltre a Orbán, il primo ministro italiano Giorgia Meloni e il Cancelliere austriaco Karl Nehammer sono entrambi ideologicamente vicini a Trump, sebbene Meloni, amica del capitalista libertario e pazzoide Elon Musk, partner stretto di Trump, non condivida la posizione filo-russa di Orbán. Anche il governo olandese sostenuto da Geert Wilders, un politico anti-Islam, anti-immigrazione e populista, può diventare un alleato di Trump. Il neo eletto presidente americano favorirà con forza la disintegrazione nazionalistica della UE.
Nello scontro tra il liberalismo della UE e i nazionalismo fascistoidi interni alla UE, favorirà i regimi illiberali di destra e gli “uomini forti” (o le “donne forti”) che intendono scardinare le democrazie in Europa e svuotare dall’interno la UE. L’ideologia della destra europea più o meno estrema è in generale conforme a quella della tradizione reazionaria: Dio, Patria e Famiglia. In realtà la religione viene invocata non nel suo aspetto trascendente e liberatorio ma perché impone una disciplina superiore, intima e ferrea, l’obbedienza a una entità superiore. Anche l’amore di Patria obbliga all’obbedienza al Capo e a guardare con sospetto gli oppositori critici, le minoranze (e soprattutto gli “alieni” gli immigrati, che per definizione non hanno patria, e che quindi per definizione portano indisciplina, scompiglio, e perfino terrorismo). La Famiglia è per la destra un altro luogo di disciplina e di ubbidienza all’autorità: è una famiglia patriarcale con l’uomo forte, la donna-madre rispettosa del capo, che però a sua volta può diventare “capo” se si trasforma anch’ella in padre-padrone.
Il sistema politico della destra è plasmato sulle norme della famiglia patriarcale: fondamentalmente non tollera la disubbidienza. Estromette le opposizioni e schiaccia le minoranze. Il governo populista è di norma un governo plebiscitario di maggioranza, un governo che fa rispettare legge e ordine, anche se il capo è al di sopra la legge e, anzi, è la Legge. Non a caso i governi autoritari tentano di stravolgere la Costituzione. Giorgia Meloni per esempio, vuole diventare premier eletta dal popolo, e così in un colpo solo esautorare il parlamento e il Capo dello Stato, che avrebbero meno legittimatà del premier eletto. Il Capo deve potere affermare “Lo Stato sono io”! Come il Re Sole, Luigi XIV. Ma il suo successore, Luigi XVI venne poi ghigliottinato.
Sul piano economico, è noto che Trump intende aumentare le tariffe doganali per riequilibrare la bilancia commerciale americana, fortemente deficitaria. L’Europa esporta in America beni e servizi per circa 794 miliardi di euro (dati 2023) e ha importazioni pari a circa 743 miliardi. L’Europa ha un surplus nel settore dei beni e un deficit in quello dei servizi: il surplus complessivo è di 52 miliardi di euro e Trump vorrebbe diminuirlo alzando i dazi del 10-20% sui beni europei di importazione,mentre ai beni cinesi vorrebbe applicare dazi aggiuntivi del 60%. Quindi le tariffe colpiranno fortemente l’economia europea, che frenerà ancora più di quanto non sia già frenata.
Uno dei settori più colpiti sarebbe l’industria automobilistica, in particolare quella tedesca. “I Paesi dell’Ue non prendono le nostre auto. Non prendono i nostri prodotti agricoli. Vendono milioni e milioni di auto negli Stati Uniti. No, no, no, dovranno pagare un prezzo molto alto“, ha dichiarato Donald Trump poco prima delle elezioni. Secondo Eurostat, la Germania sarà il paese più colpito dalle tariffe USA. Nel 2023 la Germania ha esportato merci negli Stati Uniti per 157,7 miliardi di euro. Seguono l’Italia e l’Irlanda, con esportazioni per 67,3 miliardi di euro e 51,6 miliardi di euro rispettivamente. Insieme, questi tre Paesi rappresentano il 55% delle esportazioni dell’Ue negli Stati Uniti. E quindi dovrebbero essere i più duramente colpiti dalla politica protezionistica di Trump.
L’Europa potrebbe reagire alla chiusura commerciale americana in cinque modi, che peraltro non si escludono a vicenda: la UE potrebbe a sua volta alzare i dazi ai prodotti di importazione americani (soprattutto petrolio, gas e prodotti farmaceutici) e alzare barriere protezionistiche verso l’industria americana dei servizi, che è eccedentaria; le industrie europee potrebbero dirottare gli investimenti europei e produrre direttamente negli USA, saltando così le tariffe doganali e impoverendo il tessuto produttivo europeo; la UE potrebbe aprire il mercato europeo alle merci americane, abbassando in particolare le barriere commerciali cosiddette invisibili, gli standard di qualità, e permettendo per esempio l’importazione di carne con alti livelli di ormoni e soia geneticamente modificata. L’industria europea potrebbe cercare di compensare la perdita del mercato americano esportando in altri paesi; infine potrebbe programmare l’espansione del mercato interno, ovvero aumentare gli stipendi e i salari ai lavoratori. Quest’ultima sarebbe di gran lunga l’opzione preferibile ma è difficile che la UE voglia attuarla. Le politiche europee sono sempre state guidate dal mercantilismo tedesco, che punta all’esportazione grazie alla compressione del costo del lavoro.
Nella guerra commerciale con l’Europa la strategia di Trump sarà quella del “divide et impera”. La nuova amministrazione americana punta a trattare le questioni commerciali non sul piano multilaterale e non tanto con la UE ma con i singoli paesi in modo da avere maggiore potere negoziale. Prevedibilmente per Trump non sarà difficile rompere il fronte europeo. La UE potrebbe essere messa all’angolo perché i singoli paesi correranno alla corte di Trump in modo da sfuggire ai dazi americani o comunque in modo da avere condizioni di migliore favore rispetto agli altri.
In relazione alle politiche protezionistiche di Trump, la banca d’affari Goldman Sachs prevede che l’euro possa scendere rispetto al dollaro, anche del 10%, dal momento che la Federal Reserve continuerà a applicare prevedibilmente tassi più alti di quelli della BCE, e quindi i flussi internazionali di denaro correranno verso la FED13. Il dollaro forte faciliterebbe gli investimenti americani in Europa e l’acquisizione delle imprese europee. Le oscillazioni valutarie sono però particolarmente imprevedibili e quindi potranno viaggiare in un senso o nell’altro. Ma non c’è dubbio che le tariffe avranno dei forti riflessi sul dollaro e sull’euro, e quindi anche su tutti i mercati finanziari. La prospettiva, almeno nel breve e medio periodo, è che la valuta europea si indebolisca e quella americana si rafforzi. Nel lungo periodo, se le politiche economiche di Trump falliranno, come è probabile, allora potrebbe accadere esattamente il contrario.
Trump sarà ovviamente del tutto contrario a ogni accordo con l’Europa e con altri paesi sul clima e su ogni tipo di regolamentazione e standardizzazione, per esempio per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, i farmaci, le tecnologie verdi. In generale la deregolamentazione diventerà il criterio prevalente. L’Europa dovrà regolamentare da sola le nuove tecnologie senza l’assistenza e la collaborazione di chi effettivamente nella maggiore parte dei casi le crea.
L’impatto maggiore di Trump alla Casa Bianca sarà di tipo geopolitico: Trump ha infatti promesso la pace in Ucraina e, in maniera più criptica, la pace in Medio Oriente, pur asserendo che Israele ha il diritto di “difendersi” – ovvero, nel vocabolario trumpiano, di fare tutte le guerre che vuole in dispregio del diritto internazionale e delle organizzazioni internazionali, in primis dell’ONU -. Trump consentirà al governo di Benjamin Netanyahu di puntare a realizzare la Grande Israele, con l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania, favorendo l’espulsione e la sottomissione di milioni di palestinesi; e favorirà in Medio Oriente i cosiddetti accordi di Abramo: questi si riferiscono a una dichiarazione congiunta siglata il 13 agosto 2020 tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti. Successivamente per accordi di Abramo si intendono gli accordi tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Trump cercherà di estendere il patto all’Arabia Saudita e agli altri paesi dell’area araba puntando a stringere le intese offrendo in cambio armi e tecnologie. Rimarrebbe comunque irrisolto il problema dell’Iran, storico antagonista degli USA e dell’Arabia Saudita, oltre che di Israele, naturalmente. Occorrerà capire però se l’accordo di Abramo potrà mai essere realizzato senza una chiara soluzione del problema palestinese. con la costituzione di una Grande Israele sui territori illegalmente occupati da Israele dopo la terza guerra arabo-israeliana del 1967. Trump e Israele potrebbero volere risolvere con una guerra il problema dell’l’Iran, lo Stato teocratico che i due Stati alleati vorrebbero rovesciare per cancellare il regime sciita degli ayatollah apertamente contrario all’esistenza dello Stato di Israele. Il problema è però che l’Iran ha rapporti stretti, anche militari, con due potenze atomiche, la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping. Cancellare l’Iran dalla cartina della politica è quindi molto complicato, e potrebbe portare a un conflitto atomico globale. Comunque la vicenda rimane completamente in sospeso. Occorrerà capire se e come Trump manterrà la promessa fatta nel suo primo discorso dopo la vittoria elettorale di fare la pace e non la guerra.
Il problema per gli europei è che il Medio Oriente è vitale per i loro interessi perché gli Stati arabi sono i maggiori fornitori di petrolio e gas al mondo, insieme alla Russia e agli Stati Uniti, e perché sulla rotta del Mar Rosso e del canale di Suez passa il 40% circa delle forniture di petrolio. Il prezzo del petrolio sale ogni volta che il Medio Oriente si infiamma. Inoltre è ovviamente elevato il rischio che una guerra in Medio Oriente diventi rapidamente un conflitto atomico globale.
Purtroppo l’unica quasi certezza è che al martoriato popolo palestinese non verranno riconosciuti il diritto alla terra e a uno Stato. La tragedia palestinese probabilmente continuerà perché i governi suprematisti e di estrema destra di Israele finora hanno messo in chiaro di non avere alcuna intenzione di restituire i territori occupati e di concedere uno Stato ai palestinesi: ma così è prevedibile che i problemi del Medio Oriente siano destinati a marcire.
Relativamente agli affari europei, Trump ha già affermato che non intende supportare la Nato così com’è: piuttosto sembra perfino disposto a scioglierla e a lasciare che la Russia “si faccia un boccone” degli europei. Per Trump la Nato dovrebbe diventare una sorta di copertura militare che gli europei devono pagare sempre di più agli Stati Uniti per essere protetti. Il pagamento può avvenire in diversi modi, soprattutto con l’acquisto di armi e dei titoli di debito americani. Trump punta a aumentare le vendite di armi in Europa e per questo vuole imporre una soglia minima di spese militari annuali ai paesi del vecchio continente: la soglia minima dovrebbe essere pari inizialmente al 2% del PIL ma potrebbe raggiungere presto il 3-4% per fronteggiare il confronto con la Russia. Con l’amministrazione Trump l’esercito americano in Europa diventerebbe una sorta di forza militare mercenaria pagata dagli europei. Ovviamente la decisione ultima di un eventuale intervento degli americani (e dei canadesi) in difesa degli europei rimarrebbe comunque esclusivamente in mano all’amministrazione americana. Quindi l’Europa, anche pagando, non avrebbe mai la certezza della difesa da parte dell’alleato.
Sul piano logico, la soluzione al problema della sicurezza europea non può allora che essere una: la realizzazione di una difesa autonoma. Il presidente francese Emmanuel Macron e il ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski hanno già sostenuto che il ritorno di Trump alla Casa Bianca dovrebbe spingere l’Europa ad assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza. Ma costruire un esercito europeo in assenza di uno Stato europeo e senza neppure avere una politica estera omogenea tra gli Stati europei è molto complesso se non impossibile. Un centro unico di comando militare senza un unico centro politico di governo è da escludersi.
Per quanto riguarda l’Ucraina, paradossalmente la situazione potrebbe diventare favorevole per l’Europa. Il pregiudicato Donald Trump potrebbe essere migliore di Ursula von der Leyen nella difesa degli interessi dei paesi europei. Ursula rappresenta una Europa impotente sul piano militare ma paradossalmente guerrafondaia: insomma una Europa che abbaia ma non morde e che si fa male da sola. L’autocrate Trump sembra invece cercare i negoziati e la pace in Ucraina. Trump non vuole correre il rischio che gli USA facciano la guerra su tre fronti: quello ucraino, quello medio-orientale e quello relativo a Taiwan e alla Cina. Vuole concentrare le forze.
La pace farà molto bene all’Europa; al contrario, se la guerra durasse “fino alla vittoria ucraina” (???) come proclamava assurdamente Ursula fino a qualche tempo fa, l’Europa si dissanguerebbe per nulla: infatti è chiaro anche ai ciechi che l’Ucraina non potrà mai vincere questa guerra. Proprio per questo motivo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vuole trascinare l’America in una guerra totale contro la Russia coinvolgendola nel conflitto dentro le frontiere russe. Per colpa di Ursula l’Europa è entrata in una pericolosa escalation che potrebbe portarla anche alla guerra atomica. Perfino il parlamento europeo ha votato per portare la guerra in difesa dell’Ucraina dentro il territorio russo con le armi della Nato.
Trump pare finalmente realistico: neppure l’America con tutte i suoi armamenti formidabili può rischiare delle guerre su tre fronti. Ursula e la Commissione UE invece con irresponsabile testardaggine ci porterebbero a un rovinoso scontro con la Russia atomica. Un politico intelligente avrebbe invece dovuto prevenire la guerra.
La guerra in Ucraina si doveva e si poteva evitare fin dall’inizio. Fin dalla proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina, nel 1991, i conflitti con la Russia sono stati alimentati dall’espansionismo militare della Nato guidata dalle amministrazioni statunitensi, da Clinton, da Obama, da Bush junior, e infine da Biden, con la colpevole e passiva compiacenza dei governi europei. Da parte della Nato affacciarsi alla porta della Russia e pretendere di fare credere che questa sfida non fosse una minaccia per Mosca, è stato o un grossolano errore strategico o una evidente mistificazione, o ambedue le cose. L’intervento imperialistico della Russia di Putin in Ucraina è stato tanto illegittimo e illegale quanto scontato e prevedibile perché è stato coscientemente provocato dall’imperialismo americano.
Le ipotesi storiche controfattuali non possono mai essere confermate. Ma è realistico pensare che se l’Ucraina di Zelensky e soci non avessero chiesto insistentemente di appartenere alla Nato – che non è una organizzazione economica per lo sviluppo sostenibile, e neppure un’associazione per il progresso e i diritti civili, ma è una organizzazione militare che ha già operato con pessimi risultati in Serbia, Kossovo, Afghanistan e Iraq – Putin non avrebbe attaccato. Dal punto di vista degli equilibri imperiali era molto difficile pensare che la Russia non avrebbe risposto direttamente e con la forza alla eventualità di avere missili nemici dislocati nel giardino di casa, a pochi minuti di gettata da Mosca.
Appare chiaro che in Ucraina l’Occidente ha cercato lo scontro, pur negando vigliaccamente a Kiev l’ingresso nella NATO per non correre il rischio di un coinvolgimento diretto nella guerra con la Russia. In sostanza l’America ha imparato che è meglio fare fare le guerre agli altri piuttosto che farle in prima persona.
Il grande errore di Zelensky è stato quello di insistere a entrare in un club che non lo voleva come socio – infatti la Nato non ha mai risposto positivamente e concretamente alle richieste dell’Ucraina – ma che aveva tutto l’interesse a fare scontrare gli ucraini con i russi. Sono state purtroppo sacrificate molte decine di migliaia di uomini e otto milioni circa di ucraini hanno dovuto abbandonare la loro terra: l’Ucraina è distrutta ma le prospettive di successo nel conflitto sono quasi pari a zero. Zelensky, l’uomo dei Panama Papers, è stato un cattivo stratega: avrebbe fatto meglio a rinunciare all’ingresso (praticamente impossibile) nella Nato, a garantire ai russi la neutralità dell’Ucraina e a usare tutte le armi della diplomazia per risolvere pacificamente la questione del Donbass russofono e russofilo.
Se Trump manterrà le sue promesse e se davvero si giungerà alla pace, come è probabile, essa sarà certamente a favore della Russia. Putin si annetterà dei territori, sicuramente la Crimea e molto probabilmente il Donbass, e otterrà la neutralità dell’Ucraina, che rimarrà prevedibilmente sotto tutela internazionale con il coinvolgimento solo indiretto della Nato. L’Europa avrà tutto da guadagnare dalla pace, anche sul piano militare: l’assistenza all’Ucraina da parte dell’UE e degli Stati membri è costata finora oltre 118 miliardi di euro, inclusi circa 43,5 miliardi di euro di supporto militare15. La ricostruzione dell’Ucraina, che comporta una spesa valutata in circa 500 miliardi di euro, peserà ulteriormente sui paesi europei.
La guerra in Ucraina sta già togliendo alla UE immense risorse per la transizione energetica e digitale. Al contrario l’Europa avrà forti vantaggi se venissero ritirate le sanzioni alla Russia: in questo caso potrebbe continuare a rifornirsi da Mosca a basso prezzo di petrolio e di gas, cereali e minerali. Probabilmente il ritiro delle sanzioni contro Putin potrebbe compensare in larga parte l’aumento delle tariffe previste da Trump sulle importazioni europee. L’Europa avrebbe da guadagnare se le sanzioni venissero ritirate e se si riprendesse il business con la Russia: tale scenario è tutt’altro che scontato ma non è neppure improbabile nel medio periodo.
Inoltre l’elezione di Trump alla presidenza americana potrebbe avere un altro effetto positivo. L’Unione Europea è il maggiore baluardo rimasto a difesa dei valori della democrazia liberale e l’atteggiamento brutalmente competitivo di Trump potrebbe anche risvegliare l’orgoglio europeo, o almeno di alcuni paesi europei – anche se tutto questo sembra attualmente abbastanza improbabile -. La Germania storicamente filoatlantica e filoIsraele potrebbe cambiare rotta di fronte all’aggressività di Trump. La von der Leyen finora si è sempre schierata con Washington e con Joe Biden nonostante che l’atteggiamento di questi fosse del tipo FUCK THE EU! (l’Europa si fotta!, la famosa espressione dell’ex inviata americana di Obama in Ucraina, Victoria Nuland). La subordinazione a Washington non è certamente interesse dell’Europa, come non è stato interesse dell’Europa andare allo scontro con Mosca e applicare delle sanzioni che hanno avuto un potente effetto boomerang contro i paesi europei e che non hanno certamente messo in ginocchio la Russia. La politica estera della UE della von der Leyen, di servilismo verso l’amministrazione Biden, ha gravemente nuociuto agli interessi europei. Ora che Cavallo Pazzo ha vinto le elezioni c’è la possibilità che gli europei si rendano più autonomi dallo scomodo alleato americano e comincino a pensare con la loro testa per fare i loro interessi.
C’è forse ancora qualche piccola e residua speranza che i francesi e i tedeschi, dopo avere preso tante batoste, si risveglino dal loro sonno ipnotico e comincino a elaborare – con o senza la von der Leyen – una loro politica estera autonoma e di “coesistenza pacifica” con la Russia, la Cina e i paesi emergenti: l’unica politica che può fare bene ai popoli d’Europa. Per quanto riguarda l’Italia, il nostro paese è l’ultima ruota del carro e Giorgia Meloni da buona opportunista seguirà gli eventi schierandosi come sempre dalla parte del più forte. Meloni si è prontamente allineata con Biden e la Nato per cercare l’impossibile vittoria in Ucraina ma seguirà immediatamente Trump se questi imporrà la pace.
In conclusione propongo un’ipotesi azzardata: i danni maggiori delle politiche di Trump verso l’Europa riguarderanno la sfera finanziaria. Le politiche di Trump in questo campo sono di assoluta deregolamentazione: Trump ignora per esempio le regole internazionali di Basilea sulle banche e quelle suggerite dal Financial Stability Forum per evitare nuove disastrose crisi finanziarie dopo quella del 2008. Trump è a favore delle criptovalute, uno strumento finanziario fondato sul nulla, o meglio sullo schema Ponzi: chi compra i bitcoin sostiene il valore di chi li ha già comprati, fino al crollo finale.
Se la deregolamentazione di Trump provocherà, come è molto probabile, un terremoto a Wall Street, e se, per coprirsi dal disastro, le società finanziarie americane che dominano i mercati europei dovranno ritirare i loro finanziamenti alle banche, alle industrie, e agli Stati europei, allora l’Europa tremerà davvero e si verificherà un nuovo crack con conseguenze enormi sui popoli europei.
Dall’amministrazione Obama in poi, l’America ha sempre sostenuto l’euro perché le società finanziarie americane hanno centinaia di miliardi di investimenti in euro e certamente non vogliono perderli. Non a caso Obama durante la crisi dei subprime ha acconsentito che la Federal Reserve, la banca centrale americana (cosiddetta FED), prestasse miliardi di dollari alla BCE in modo che questa potesse a sua volta finanziare le banche europee che, avendo speculato sul mercato americano dei subprime, erano indebitate in dollari. Senza l’intervento della FED e di Obama l’euro sarebbe sicuramente crollato. Il secondo motivo dell’appoggio americano all’euro – almeno finora – è che gli americani sanno che l’euro è la seconda valuta di riserva al mondo ma che è anche una moneta molto fragile, una valuta che non può fare nessuna concorrenza al dollaro (a differenza dello Yuan cinese). Per gli americani l’euro è una valuta inoffensiva che garantisce grandi profitti.
Trump però, per “fare l’America grande ancora”, potrebbe decidere che la FED non sosterrà più l’euro, e potrebbe non preoccuparsi per l’eventuale rottura della valuta europea e i conseguenti fallimenti delle banche europee. Il futuro della finanza europea è quindi molto incerto. L’Europa idealmente dovrebbe sganciarsi dalla supremazia del dollaro e proteggersi con nuove severe regolamentazioni dei mercati: potrebbe per esempio limitare o proibire l’accesso delle banche europee al pericoloso mercato americano dei derivati, oppure potrebbe costruire barriere all’accesso delle grandi banche e delle società finanziarie americane ai mercati europei. Tuttavia questo non è possibile con l’attuale sistema di Maastricht. Quindi con Trump la crisi finanziaria si avvicina.
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=g1tpNHxGbh8
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