L’Iran e il sistema mediatico occidentale, ovvero l’ufficio stampa e comunicazione della NATO
di L’INTERFERENZA (Fabrizio Marchi)
Tutti/e devono avere il diritto e la libertà di seguire o meno gli usi e i costumi del proprio paese che non possono essere imposti per legge e men che meno con la forza e la violenza. Ribellarsi, dunque, a tale imposizione – come a qualsiasi altra violazione delle fondamentali libertà personali – è cosa sacrosanta e, aggiungo, doverosa.
Fatta questa necessaria e convinta premessa, andiamo un po’ ad indagare su quanto sta avvenendo in Iran.
L’Iran viene dipinto dalla vulgata mediatica occidentale come lo “stato canaglia” per eccellenza. Da qualche tempo e per ovvie ragioni questo inquietante primato è stato attribuito alla Russia di Putin, ma non c’è dubbio che fin dalla rivoluzione che spodestò lo Scià nel 1979, l’Iran sia stato considerato come il peggio del peggio del mondo, una spregevole tirannia caratterizzata dal più bieco oscurantismo integralista, un vero e proprio inferno sulla terra soprattutto, naturalmente, per le donne. E’ la ”reductio ad hitlerum” a cui è destinato chiunque non sia allineato al pensiero neoliberale occidentale.
In realtà le cose sono parecchio più complesse di questa demonizzazione mediatica.
Innanzitutto l’Iran è uno stato con una struttura istituzionale e costituzionale molto complessa. Certamente non può essere definito uno stato liberale secondo le nostre categorie occidentali, ma non c’è dubbio che esista in quel paese una dialettica politica anche molto radicale, fra posizioni politiche spesso profondamente diverse che rappresentano interessi sociali diversi e che si declinano in partiti politici in competizione fra loro. Sia il Parlamento, che elegge il capo del governo, sia l’Assemblea degli Esperti (che ha il potere di veto sulle candidature per il Parlamento), che elegge, a scrutinio segreto, la Guida Suprema (al vertice della piramide istituzionale) sono eletti a suffragio universale. Un grande potere lo esercita il Consiglio dei Guardiani (composto di sei membri nominati dalla Guida Suprema e di altri sei nominati dal Parlamento, da rinnovare ogni tot numero di anni) che è un organismo preposto a controllare l’operato del governo e soprattutto che le leggi approvate siano conformi ai dettami costituzionali.
Da tutto ciò si evince come l’Iran – dove certamente la casta sacerdotale è al vertice dello stato e detiene un grande potere – non possa essere considerato, tout court, una tirannia. Intanto perché non solo il Parlamento ma anche l’Assemblea degli Esperti (che elegge la Guida Suprema) sono eletti dal popolo e poi perché l’ordinamento costituzionale è il risultato di un processo rivoluzionario che ha visto e vede tuttora il sostegno della maggioranza della popolazione.
Arriviamo, dunque, alla prima (solo apparente) contraddizione. L’Iran – paese non allineato al mondo occidentale e nemico giurato di Israele e Arabia Saudita – viene criminalizzato nel modo sopra detto. Al contrario, l’Arabia Saudita, una monarchia assoluta, diciamo pure una feroce tirannia, è uno stretto alleato del’Occidente, degli USA e di Israele. Parliamo di un paese che ha la più alta percentuale di condanne a morte nel mondo (la maggior parte dei condannati sono lavoratori immigrati) in relazione al numero di abitanti, dove non esiste alcun tipo di libertà politica e religiosa, dove i più elementari diritti sono calpestati, dove si è perseguitati soltanto per il fatto di professare una religione diversa da quella di stato (wahabita), dove le donne, fino a pochi anni fa, non avevano neanche il diritto di prendere la patente di guida.
Eppure questa orrenda dittatura è uno dei bastioni del mondo occidentale nell’area mediorientale, insieme ad Israele (uno stato dai confini volutamente non ancora definiti e che si fonda sull’apartheid del popolo palestinese) e alla Turchia (che da sempre opprime e massacra il popolo curdo-turco oltre a perseguitare tutte le forze realmente di opposizione al caudillo Erdogan al potere).
E’ quindi evidente come la criminalizzazione dell’Iran sia strumentale. Uno strabismo consapevole dato da ragioni politiche e geopolitiche.
Ed eccoci alla seconda (ed anche in questo caso, solo apparente) contraddizione. Le donne in Iran sono pienamente inserite nella società civile e politica, costituiscono la maggioranza della popolazione universitaria e, di conseguenza, sono maggioranza anche nelle professioni (medici, avvocati, ingegneri, giornalisti e quant’altro). Al contrario di ciò che accade in Arabia Saudita dove, appunto, le donne (così come quasi totalità degli uomini, anche se in forme e modalità in parte differenti) non godono di nessun diritto.
Certamente, in Iran vige una legge che impone a tutte e a tutti, donne e uomini, di seguire determinati usi, costumi e regole di vita, peraltro con il consenso della maggioranza della popolazione. Chiarito che in una democrazia degna di questo nome le minoranze devono avere garantita la piena agibilità e che – come ho già scritto nell’incipit – è intollerabile che tali usi e costumi debbano essere imposti, è altrettanto evidente come questa imposizione non riguardi solo la popolazione femminile ma l’intero corpo sociale, a prescindere dal genere di appartenenza.
Ma la “condizione delle donne”, come sappiamo, è il piede di porco della narrazione ideologico-mediatica occidentale. Pochi sanno che in quel paese, nei decenni scorsi, tanti oppositori, e in particolare i comunisti, sono stati duramente perseguitati (altro che obbligo del chador con relative sanzioni…), ma certo in Occidente non sono state lanciate campagne mediatiche per denunciare la loro persecuzione e quella di altre forze di opposizione…
E’ quindi evidente l’atteggiamento strumentale di questa narrazione che serve a coprire il palese tentativo da parte dell’Occidente di destabilizzare quel paese facendo leva sul tema a cui più di altri l’opinione pubblica occidentale e non solo è stata resa maggiormente sensibile. Ci si guarda bene, naturalmente, dallo spiegare che le leggi che regolano le questioni “morali” in Iran vengono applicate severamente a tutti e a tutte. L’adulterio, ad esempio, è considerato un reato per il quale tutti e tutte vengono perseguiti/e. Se qualche strillone occidentale a stipendio si peritasse di verificare i numeri, verrebbe a conoscenza (ma molto probabilmente lo sa…) che le condanne per adulterio colpiscono gli uomini ancor più delle donne. E verrebbe anche a sapere che la maggior parte delle condanne a morte per reati violenti legati a questioni di ordine “morale” (omicidi di mogli e mariti per adulterio o simili) riguardano gli uomini, così come la pressoché quasi totalità delle condanne a morte comminate in quel paese per altri reati (tutti dati che chiunque può verificare dai siti di “Amnesty International” e “Nessuno tocchi Caino”). Ma questa lettura equilibrata e lucida della realtà minerebbe alla radice la suddetta narrazione che, a quel punto, diventerebbe inservibile anche e soprattutto ai fini geopolitici.
Le rivolte di questi giorni – che pure hanno ragioni concrete e condivisibili – sono quindi state alimentate e strumentalizzate dai media e dal mondo occidentale. Rivolte sociali che nel passato hanno visto come protagonisti settori popolari e operai sono state ignorate, anche perché sostenute in alcuni casi dai settori politici più conservatori. Ma anche in questo caso la vulgata mediatica non spiega che in quel paese non valgono le nostre categorie. I cosiddetti “riformisti” rappresentano la cosiddetta “borghesia del bazar”, quella più interessata ad un’apertura al mondo occidentale, mentre alcuni partiti “conservatori” – pensiamo a quello guidato a suo tempo da Ahmadinejad (dipinto come uno mostro dai media occidentali, perse le elezioni e se ne andò a casa) – sono quelli più vicini alle istanze popolari e nello stesso tempo i più osservanti delle tradizioni e delle regole “morali”.
Naturalmente il sistema mediatico occidentale, ormai ridotto ad ufficio stampa e comunicazione della NATO, deve silenziare tutto ciò per ragioni che è superfluo, a questo punto, spiegare.
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