Le evidenze della vicenda Abedini -Sala
di INDIPENDENZA! (Canale Telegram)
Con la scarcerazione (dopo 27 giorni) di Mohammad Abedini Najafabadi e il suo rientro immediato a Teheran, si è chiusa una vicenda intrecciatasi con l’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran, vicenda che riflette la subalternità del nostro Paese agli Stati Uniti.
Partiamo dalla fine. Domenica 12 gennaio, il ministro Nordio esercita la facoltà riconosciuta al Guardasigilli dall’articolo 718 del codice di procedura penale, cioè la revoca di una custodia cautelare. Con questo provvedimento politico, depositato alla Corte d’Appello di Milano (obbligata ad attenervisi), l’ingegnere iraniano viene liberato. Queste le motivazioni principali: uno dei reati imputati ad Abedini, «l’associazione a delinquere per violare l’Ieepa (legge sui poteri economici in caso di emergenza internazionale)», non è previsto in Italia. Si tratta di una norma che fa riferimento ad una legge federale statunitense e conferisce al presidente USA il potere di far arrestare ed estradare chiunque nel mondo. Il fatto che Washington ne preveda l’osservanza all’estero è molto indicativo della sua supponenza. Nordio aggiunge che non avrebbero trovato riscontro le altre due ipotesi di reato, secondo cui l’ingegnere con la sua società svizzera di droni avrebbe sostenuto l’IRGC, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, inserito dagli USA nella lista delle organizzazioni terroristiche, ma –si badi bene– non da quella dell’ONU né dell’Unione Europea. Nordio si limita a dire che prove non sono state fornite, ma il punto è che, quand’anche fosse, per l’Italia l’IRGC non è un’organizzazione terroristica. Insomma, Washington ha preteso che l’Italia si attenesse a sue normative, suoi ‘desiderata’, suoi interessi.
Ora, le motivazioni che ha rilevato Nordio non erano già evidenti prima? Qual è la filiera di responsabilità che ha portato l’Italia ad un sequestro di persona in patente illegalità? Un sistema politico e giudiziario non subalterno mai avrebbe dovuto avviare una procedura che ha portato una ‘catena di comando’ ad attivarsi, inviare la Digos a Malpensa, arrestare Abedini che scendeva dall’aereo e apprestarsi alla sua prevedibile estradizione. Al momento dell’arresto, peraltro, gli sono stati sequestrati pc, smartphone, chiavette usb e schede tecniche, materiale che interessa molto gli USA e che non è escluso possa essere consegnato via rogatoria.
Questo atto di illegalità si sarebbe consumato se, tre giorni dopo (il 19), non fosse intervenuto l’arresto, a Teheran, della giornalista Sala, secretato dalle autorità italiane fino al 27 e poi dalle stesse comunicato. Un arresto che ha creato problemi al governo italiano (successive dimissioni di Elisabetta Belloni dalla guida dei servizi segreti italiani incluse?) facendo emergere la vicenda di Abedini, altrimenti condannato all’irrilevanza e al silenziamento con relativa estradizione negli States. La scarcerazione della Sala (8 gennaio) è avvenuta dopo che la Meloni è volata, nella notte tra il 4 e il 5 gennaio, nella residenza a Mar a Lago del presidente entrante Donald Trump per chiedere il permesso di liberare Abedini ed ha avuto il placet. Era pronta a parlarne anche con l’uscente Biden, impegnato però per l’emergenza incendi a Los Angeles. Autorizzata la liberazione del sequestrato (resta l’incognita –diciamo così– della contropartita politica che Washington si aspetta dall’Italia), fornite da Roma rassicurazioni a Teheran, si è arrivati alla scarcerazione della Sala.
Teheran, con intelligenza diplomatica e saggezza, ha elogiato «la cooperazione di tutte le parti interessate», ha parlato di un «malinteso» ed ha espresso soddisfazione perché il «problema è stato comunque risolto grazie al seguito dato dal ministero degli Esteri dell’Iran e alle trattative tra l’intelligence della Repubblica islamica e i servizi segreti italiani».
La vicenda si chiude, ma non (ancora, perlomeno!) la condizione di subalternità del nostro Paese agli Stati Uniti.
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Fonte: https://t.me/rivistaindipendenza/516
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