Trump ci offre su un piatto d’argento l’occasione di mettere all’angolo gli USA, cancro del mondo
di OTTOLINATV (Giuliano Marrucci)
Trump ha dichiarato apertamente guerra al vecchio ordine mondiale frutto di 40 anni di globalizzazione neoliberista (che, detta così, suona anche parecchio bene), se non fosse che il modello proposto assomiglia da vicino all’era dei conflitti inter-imperialistici che ci ha portato dritti a due guerre mondiali e che Trump inaugura con una valanga di regali senza precedenti alle multinazionali USA, che dovranno essere finanziati tassando in varie forme il resto del pianeta; e, quando le tasse coloniali non basteranno, annettendo direttamente le aree che più gli interessano. Con stupore di tutti – ad essere onesti – nonostante la produzione da record di ordini esecutivi nelle prime 24 ore di mandato, sul fronte dei dazi e della guerra commerciale per ora Trump ha fatto solo annunci: il primo è stata la minaccia di dazi del 25% per i veicoli che arrivano da Messico e Canada, dove vengono prodotti il 40% dei veicoli venduti ogni anno negli USA, in parte non irrilevante da produttori europei – a partire da Stellantis che, ricordiamo, significa anche marchi come Chrysler, Jeep e Dodge; anche Volkswagen subirebbe una botta gigantesca, a partire dal suo mega-stabilimento di Puebla, che da solo produce oltre 450 mila veicoli l’anno, l’80% dei quali è destinato al mercato USA.
Come degli Zuckerberg qualsiasi, le case automobilistiche però, invece che incazzarsi, hanno sconigliato e sono corse da Re Donald per promettere che si adegueranno ai suoi diktat: John Elkann, dopo essere entrato nel CDA di Meta, come il capo Mark si è trasformato ormai in una sorta di militante MAGA; Volkswagen, invece, ha rafforzato il suo impegno per i 10 miliardi di investimento per lo stabilimento di Chattanooga e per la joint venture col marchio locale Rivian. Tutti soldi che, ovviamente, verranno tolti dagli investimenti in Europa, dove non c’è nessun Trump che prenda per le orecchie la casa automobilistica e la costringa a fare gli investimenti necessari per evitare la prima chiusura nella storia del gruppo di 3 stabilimenti in Germania. Mentre bastonava le multinazionali altrui, Trump faceva un regalo gigantesco alle sue, soprattutto a quelle degli oligarchi del big tech che per primi si sono inchinati al regno di Re Donald e hanno sfilato prima in ginocchio alla Versailles di Mar-a-Lago e poi si sono presentati in ghingheri tutti insieme appassionatamente alla cerimonia di investitura imperiale; tutte aziende che devono una buona fetta della ricchezza e della loro capacità di colonizzare digitalmente il nostro continente a un particolare che ha molto a che fare con l’imperialismo e il neocolonialismo, e molto poco con la capacità di innovazione: pagano meno tasse di una qualsiasi kebabbaro di periferia. Contro questo vero e proprio furto sistematico di ricchezza da parte della nuova aristocrazia del tecno-feudalesimo, dopo lunghissime trattative e tentennamenti, l’OCSE era arrivata a negoziare un’imposta minima globale sulle società: questa imposta permetteva di andare a chiedere alle aziende che, attraverso triangolazioni di vario genere o accordi fiscali ad hoc, pagano poco o niente di tasse, di pagare la differenza. Come abbiamo sottolineato svariate volte su Ottolina, la global minimum tax aveva una quantità infinita di limitazioni, a partire dall’aliquota che è appena del 15%; rappresentava, comunque, un primo timido (ma significativo) passo avanti per far pagare qualcosa anche a chi ha sempre vissuto parassitando su tutti gli altri. Gli USA, che sono sempre molto attenti all’equità e alla giustizia da ben prima che tornasse Re Donald, hanno sempre temporeggiato e non l’hanno mai adottata; ora Re Donald ha fatto il passo successivo: non solo l’ha definitivamente stracciata, ma addirittura ha ordinato la messa a punto di sanzioni contro tutti i Paesi che si azzardano ad applicarla contro le multinazionali dei suoi amichetti multimiliardari che gli hanno garantito fedeltà. Come scriveva ieri Consortium News, tra le tante sparate di Re Donald di una cosa si può essere certi: “non è davvero un traditore della sua classe”.
Intanto, però, un piccolo risultato concreto l’attesa del regno di Trump lo ha già portato: secondo i dati di Bank of America pubblicati ieri, a gennaio c’è stato il record di capitali che dai mercati finanziari statunitensi sono fuggiti verso quelli europei; le borse europee, per la prima volta in quasi 10 anni, hanno doppiato quelle d’oltreoceano segnando un +5,5% dal primo gennaio, contro il +2,8 di quelle USA. A pesare, come sottolineiamo da mesi, è il timore che le priorità dell’agenda Trump – dai dazi alla lotta all’immigrazione – tornino a far salire l’inflazione e, quindi, giustifichino tassi di interesse più alti più a lungo da parte della FED, un timore che, ricordiamo, nelle ultime settimane ha causato un altro fenomeno piuttosto indicativo: mentre la FED infatti tagliava, per quanto di poco, i tassi di interesse, gli interessi effettivi che il Tesoro era costretto a riconoscere agli investitori per piazzare i suoi titoli di Stato continuavano a salire e il dollaro continuava a rafforzarsi fino a sfiorare la parità con l’euro; due ostacoli giganteschi per Make America Great Again. Secondo stime del prestigioso Pictet Group riportate da Morya Longo sul Sole di stamattina, “Le politiche di Trump aggiungeranno, nell’arco dei quattro anni di mandato, 3 punti percentuali di inflazione in più rispetto a scenari senza queste politiche”.
Ma, come sempre, pensare che i vincoli esterni (che il mercato, in qualche modo, impone) siano sufficienti per far cambiare direzione alla politica può risultare velleitario: per cambiare la direzione politica servono scelte politiche e nessuno come Re Donald, con tutta la spavalderia del suo ciuffo arancione, sta spingendo in una direzione che potrebbe rendere quelle scelte politiche inevitabili. Ieri, infatti, è successa una delle cose più incredibili alle quali abbia mai assistito: in mezzo alla solita sequela di minchiate, Ursula Bordeline (ripeto: Ursula Borderline) ha detto delle cose sensate. Giuro! L’ho proprio sentita con le mie orecchie, ‘nce potevo crede! Anzi no, spe’, non è tutto: anche dove le ha dette è significativo. A Davos, al World Economic Forum. Avete capito bene: una delle peggiori e più servili politiche di tutti i tempi, nel luogo simbolo per eccellenza della gigantesca rapina avvenuta sulla nostra pelle che si chiama globalizzazione neoliberista, ha detto cose che (con un piccolo sforzo di ottimismo) possono essere interpretate come ragionevoli. “Le regole di ingaggio tra le potenze globali stanno cambiando”, ha affermato; e “non dovremmo dare nulla per scontato. Dobbiamo cercare nuove opportunità ovunque si presentino e impegnarci oltre i blocchi e i tabù. L’Europa è pronta al cambiamento”
Oltre i blocchi vuol dire tante cose, ma il giorno dopo l’insediamento di Trump, principalmente una: la Cina. “E’ tempo di perseguire una relazione più equilibrata con la Cina, in uno spirito di equità e reciprocità”, “approfondire le nostre relazioni” ed “espandere i nostri legami commerciali e di investimento”: altro che decoupling! E l’obiettivo principale è chiaro: l’autonomia energetica dell’Europa che – visto che di materie prime non ce ne abbiamo e visto che gli USA hanno sempre utilizzato la loro colossale macchina bellica per controllare le rotte commerciali di chi ce l’ha – significa sostanzialmente una cosa sola: le rinnovabili. “L’energia pulita è la risposta a medio termine, perché è economica, crea buoni posti di lavoro in patria e rafforza la nostra indipendenza energetica” sottolinea la Borderline: “Già oggi l’Europa genera più elettricità da vento e sole che da tutti i combustibili fossili messi insieme, ma c’è ancora molto lavoro da fare” e per farlo, va da se, bisogna integrare le nostre filiere produttive con il leader indiscusso di tutto quello che ha a che fare con la transizione ecologica – dalle materie prime, all’apparato produttivo, a tutte le tecnologie di frontiera – e cioè, appunto, la Cina. Integrando le filiere produttive con quelle avanzatissime costruite dai cinesi, saremmo in grado di produrre tutto quello che serve per la transizione ecologica non solo dell’Europa, ma anche dei nostri vicini, a partire dall’Africa alla quale potremmo offrire l’opportunità di avviare un processo di sviluppo che è l’unica risposta seria e strutturale che possiamo dare ai fenomeni migratori; in cambio, potremmo sfruttare per il nostro consumo domestico un po’ delle sterminate risorse del continente in termini di sole e di vento. Per farlo, serve un investimento gigantesco in termini di infrastrutture. La buona notizia, però, è che i capitali non ci mancano; nonostante il PIL nominale in dollari dell’Unione europea, negli ultimi 15 anni, da essere superiore a quello USA oggi è inferiore di oltre il 30%, i cittadini europei continuano ancora oggi a risparmiare poco meno del doppio di quelli statunitensi: 1.400 miliardi l’anno, più che sufficienti per fare tutte le transizioni che vuoi; solo che oggi, in buona parte, invece che rimanere in Europa vanno a finanziare la bolla finanziaria USA, che gli USA poi usano per farci concorrenza sleale a noi finanziandoci i monopoli tecnologici che fagocitano tutti i mercati più avanzati, e ci condannano alla decrescita infelice. L’obiettivo ora sarebbe che tornino a finanziare lo sviluppo dell’Europa e non del nostro padre padrone; ovviamente, gli strumenti che l’ultraliberista Von Der Leyen pensa debbano essere utilizzati per ottenere questi obiettivi sono sempre e solo quelli di chi come unico scopo ha arricchire chi i soldi ce li ha già e non permettere agli altri di vivere una vita dignitosa.
Il punto è che, a differenza del passato, senza ritagliarsi un po’ di sovranità anche per quelli che vuol difendere la Borderline le cose si sono cominciate a mettere maluccio: fino a un po’ di tempo fa, infatti, gli USA e le sue oligarchie erano saldamente al centro dell’impero; erano quelli che guadagnavano di gran lunga di più sia in termini di quattrini che di potere e influenza, ma il loro sistema garantiva di rubare risorse a tutto il resto del mondo e una fetta andava in tasca anche agli alleati europei; mano a mano che il resto del mondo ha cominciato a organizzarsi per provare a farsi rubare meno risorse possibili, quella torta da spartirsi s’è rimpicciolita e le briciole che spettavano agli amici della Borderline sono diminuite, fino a che non solo non ce ne sono rimaste più, ma addirittura le oligarchie USA hanno cominciato a fregarsi anche un pezzettino sempre più consistente della torta che producevamo qua in Europa. Con i democratici, però, questa cosa era coperta da un bello strato di retorica e gli amici della Borderline (che non hanno mai brillato per coraggio) continuavano a sperare si trattasse di una cosa passeggera; ora l’innegabile merito di Trump è di aver cominciato a dire chiaramente che, invece, è solo l’inizio e che fino a che gli amici della Borderline non troveranno il coraggio di puntare i piedi, lui e gli oligarchi amici suoi della nostra fetta continueranno a prendersi un pezzo sempre più grosso. E ora, appunto, per la prima volta sembra che qualcuno ‘sti piedi abbia iniziato (timidamente) un po’ a puntarli.
Ora, a questo punto, la domanda che sorge spontanea è: ma cosa mai me ne dovrebbe fregare a me se la torta se la prendano gli amici di Trump o gli amici della Borderline? A me comunque non mi rimane in mano niente! Nì: sì, perché se speri che gli amici della Borderline siano più generosi e ti concedano la tua parte da buoni samaritani, evidentemente non hai capito come funziona il giochino; ma anche no, perché in realtà una differenza c’è, eccome, che è sempre la solita vecchia differenza che c’è tra vivere in un Paese indipendente o in una colonia, o un protettorato e, cioè, che se sei un Paese indipendente, poi come viene spartita la torta dipende anche dallo scontro tra le diverse classi sociali. Se sei una colonia, è tutto deciso a tavolino prima di iniziare la partita. Le regole del gioco della partita che ha in mente la Borderline come rappresentante delle borghesie europee che vorrebbero ritagliarsi qualche margine di autonomia sono piuttosto chiare: i capitali devono rimanere qui non perché ce li obblighiamo, ma perché è più conveniente; per farlo, dobbiamo rafforzare il mercato unico dei capitali, che adesso è troppo frammentato. In soldoni, significa che dobbiamo favorire la concentrazione in ogni modo possibile e creare dei monopoli su cui dirottare il grosso delle risorse finanziarie; e per favorire questo processo di concentrazione e la creazione dei monopoli, ovviamente – come vecchia ricetta liberista insegna – dobbiamo deregolamentare il più possibile.
La nostra ricetta, ovviamente, è diametralmente opposta: per noi i capitali rimangono in Europa non perché è più conveniente, ma perché è obbligatorio; e quei soldi non servono a formare i monopoli, ma a finanziare aziende che competono tra loro sulla base di chi è più bravo a innovare. Come succede in Cina, dove, per un fenomeno incomprensibile ai nostri analfoliberali, più l’economia cresce, più i margini di profitto diminuiscono (e pure il numero dei miliardari). Insomma: ovviamente non è che la Borderline è la soluzione ai nostri mali; anzi, fino ad oggi ne è stata una delle cause principali (e siamo sicuri che farà del suo meglio per esserlo anche in futuro), come in generale il capitalismo tedesco e l’Unione europea nel suo insieme. La buona notizia è che se davvero fossero costretti dalla rivoluzione trumpiana a provare a giocarsi una nuova partita domestica – per quanto la nostra squadra, quella di chi vive del suo lavoro, sia ad oggi oggettivamente scalcinata – in realtà qualche chance ce la potrebbe pure avere; il punto è che il modello che propone la Borderline, che non brilla per lungimiranza e inventiva, potrebbe non essere sostenibile: la Borderline, infatti, in soldoni ripropone il vecchio modello mercantilista che la Germania ha sempre perseguito dai tempi delle riforme di Schroeder, un modello iniquo e perverso allora come oggi, ma che in più oggi, molto banalmente, potrebbe non essere nemmeno realistico.
Per essere mercantilista, infatti, c’hai bisogno di qualcuno che poi le merci te le compri e quel qualcuno, stringi stringi, fino ad oggi sono stati proprio gli USA, che producono niente e consumano parecchio (tanto che, come abbiamo visto, manco risparmiano); anche da questo punto di vista Trump e la sua agenda protezionista potrebbero farci un bel regalino: se il mercato USA non c’è più e nel resto del mondo hanno questa strana abitudine di lavorare e produrre, non ci rimane che consumare in casa, sia le famiglie con i consumi veri e propri che le aziende e lo Stato con gli investimenti. E per permettere a famiglie, aziende e Stato di consumare, bisogna dargli i soldini, il contrario dell’austerity che piace alla gente che piace; quindi la strada per imporre politiche un pochino più generose potrebbe essere meno in salita di quanto pensiamo. E forse un pochino l’ha capito addirittura la Borderline: la scelta di puntare tutto sulle rinnovabili, infatti, è quella che meglio si adatta a questo modello; con le rinnovabili, infatti, invece che attraverso materie prime che non hai, l’energia la produci attraverso cose che puoi costruirti a casa (dai pannelli, alle pale, alle batterie) e, quindi, non c’ha la scusa di dover competere su ‘sticazzi di mercati internazionali per esportare robe a prezzi concorrenziali per bilanciare le importazioni di zozzerie fossili e dintorni.
Grazie presidente! Era da quando Francia e Germania, a differenza dell’Italia, si rifiutarono di partecipare alla guerra criminale in Iraq che aspettavamo un assist del genere per tornare a parlare in questi termini, quasi come se non fossimo una colonia: non ce lo scorderemo! Voi, nel frattempo, non vi scordate che anche gli ottoliner tengono famiglia… Aiutaci a camparla: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Maurizio Belpietro
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