Piombo, piombo ovunque
di LA FIONDA (Michele Agagliate)

Qui non si tutela la natura: la si prende a fucilate. E se protesti, ti ritrovi un capriolo decapitato sotto casa.
Benvenuti nel paese dove la caccia non è più un’attività regolata, ma un diritto naturale dell’italiano medio armato. Dove lo Stato, mentre tartaglia sui diritti umani, spara a quelli animali. Dove il verde della bandiera, più che ricordare i prati, ricorda i mirini. Dove il 2 giugno – festa della Repubblica – si festeggia a colpi di doppietta, con un ministro dell’Agricoltura che pare uscito da un cosplay rurale di Rambo, e che sogna un’Italia finalmente libera… libera di abbattere qualsiasi cosa cammini, voli o respiri nei boschi.
Nel 2025, l’Italia è diventata una barzelletta da esportazione: non bastavano gli ospedali a pezzi, le scuole fatiscenti, le ferrovie che sembrano Binari per Kabul – ora ci mancava solo l’abolizione delle regole sulla caccia. Deregolamentare la caccia come risposta ai problemi ambientali è come curare il mal di testa con una fucilata. Ma tant’è. D’altronde, siamo il paese in cui si può ancora discutere se il bracconaggio sia folklore o reato.
E allora eccoli, gli apprendisti stregoni della politica, intenti a smontare pezzo per pezzo le ultime difese della fauna selvatica. Perché non c’è nulla di più moderno, evidentemente, che riportare il paese indietro di trent’anni, come se il tempo fosse una fiction Rai e la Costituzione una cartolina da piegare.
“Tutela della biodiversità”? Roba da radical chic. “Salvaguardia degli ecosistemi”? Uffa, che noia. Molto meglio qualche petto d’anatra selvaggia alla griglia, con contorno di pallini di piombo e procedura d’infrazione europea come dessert.
Ma attenzione: qui non si parla solo di caccia. Qui si parla di potere, di ideologia, di una visione tossica del mondo in cui la natura è una proprietà e gli animali un bersaglio mobile. Qui si parla di una deriva che puzza di Medioevo, ma col Wi-Fi.
E non è un caso. Perché quando uno Stato comincia a strizzare l’occhio ai violenti, ai fucilatori seriali, ai cultori dell’adrenalina balistica, succede che quella violenza, pian piano, si espanda. Dalle campagne ai social, dai fucili alle minacce. E a farne le spese, non sono solo i caprioli.
Il WWF l’ha detto chiaro e tondo: l’Italia non è – o non dovrebbe essere – una Repubblica fondata sulla caccia. Ma evidentemente al ministro Lollobrigida e al suo governo dev’essere sfuggito quel dettaglio minore chiamato Costituzione, riformata nel 2022 per mettere nero su bianco che l’ambiente va tutelato, “anche nell’interesse delle future generazioni”.
E invece, eccolo lì, il DdL “Spara e Spareremo”, degno di un western girato male. Una proposta di legge che, se approvata, aprirebbe le gabbie al peggio del peggio: caccia senza limiti, controllo ridotto all’osso, equiparazione del bracconaggio a passatempo folkloristico. Una deregulation così sfacciata da far sembrare le leggi del Far West una normativa svizzera.
Secondo la ricostruzione satirica del comico Fill Pill – che ormai fa più servizio pubblico di mezza Rai – il disegno di legge sarebbe stato scritto così: un cacciatore chiede, un uomo con la cravatta scrive. Tutto qui. La bozza del ddl è talmente sbilanciata che fa sembrare i cinghiali più tutelati nei videogiochi che nei boschi italiani.
Ma non finisce qui. Se questo DdL passasse, i rischi sarebbero enormi: più piombo nei campi, meno sicurezza per escursionisti, più potere ai bracconieri, più multe europee per infrazioni ambientali. E sapete chi paga? Tutti noi. Così, mentre quattro lobby armate brindano col prosecco sopra le carcasse, il contribuente si ritrova a finanziare sanzioni internazionali, ospedali per intossicazioni da piombo e medici veterinari che non bastano mai.
Lollobrigida nel frattempo si atteggia a paladino del popolo rurale, ma sembra più interessato ai voti dei fucili che alla sopravvivenza della fauna. E se qualcuno osa dissentire? Peggio per lui.
Perché, nel frattempo, c’è anche chi la paga cara, questa battaglia per difendere la natura.
Tra Cerreto d’Esi e Matelica, nelle Marche, succede qualcosa che non dovrebbe accadere in un Paese civile. Succede che il responsabile regionale della LAC (Lega per l’Abolizione della Caccia), Danilo Baldini, si svegli e trovi nei pressi della propria abitazione la carcassa di un capriolo con la testa mozzata. Non un incidente, non un caso: un messaggio. Un atto intimidatorio, come confermato anche dal veterinario del CRAS intervenuto con i Carabinieri Forestali. E non ci vuole un profiler dell’FBI per capire a chi fosse indirizzato.
Il problema non è solo la crudeltà dell’episodio – già basterebbe – ma ciò che esso rivela: il clima. Un clima che autorizza l’odio contro chi difende, protegge, denuncia. Un clima costruito pezzo dopo pezzo, disegno dopo disegno di legge, da chi legittima culturalmente la violenza contro gli ambientalisti, trattandoli come nemici pubblici, estremisti da ridicolizzare o zittire.
Perché quando il governo legittima la caccia selvaggia, chi arma le mani di chi spara (non solo contro animali), chi deride l’ambientalismo come una forma di fanatismo da radical chic, sta preparando il terreno per questo: teste mozzate in campagna. Atti da Stato parallelo. Minacce in stile mafia rurale.
E la verità è che queste non sono più eccezioni, ma la conseguenza logica di una campagna d’odio sistematica. Gli animalisti sono i nuovi “rompiscatole”. Quelli che “non capiscono la tradizione”. Quelli che “si mettono in mezzo”. Quelli che “difendono le zecche invece delle persone”.
Ma a danneggiare le persone non è chi difende gli animali: è chi li massacra con arroganza, impunità e complicità politica. Chi si sente così intoccabile da sgozzare un capriolo e lasciarlo lì, come un avvertimento da Gomorra.
E allora no, questo non è folklore venatorio. Questo è terrorismo. E se c’è ancora un briciolo di onestà in questo Paese, bisogna dirlo forte: chi uccide un animale per intimidire, ha perso ogni diritto a definirsi uomo.
Alla fine resta questa certezza amara: viviamo in un Paese dove si può morire per una divisa, ma guai a sventolare una bandiera. Dove il capriolo decapitato è un messaggio più eloquente di qualsiasi comunicato stampa. Dove i fucili hanno diritto di cittadinanza, e gli esseri senzienti no.
Un Paese che si straccia le vesti per ogni bottiglia molotov lanciata oltreoceano, ma non batte ciglio davanti a una legge che autorizza l’omicidio in zona boschiva. Dove il ministro dell’Agricoltura fa il portavoce dei doppiettisti, e il ministro dell’Ambiente fa tappezzeria, tra un’ecatombe e l’altra.
Un Paese dove la giustizia è selettiva, la memoria intermittente e la compassione condizionata: purché stia al guinzaglio della geopolitica, purché non disturbi la lobby giusta, purché non chieda di scegliere da che parte stare.
E allora forse hanno ragione loro, i padroni dell’opinione pubblica: la neutralità è un bene prezioso. Talmente prezioso che se lo sono preso tutto. Lasciando agli altri solo il silenzio. E un capriolo mozzato.
Amen.
FONTE:https://www.lafionda.org/2025/06/05/piombo-piombo-ovunque/





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