Ashura: la filosofia del martirio e uno stile di vita – tra formazione esistenziale e politica contemporanea
di GEOPOLITIKA.RU (Zeinab Mehanna)

Introduzione: Ashura come evento formativo al di là della storia
Parlare di Ashura non significa semplicemente raccontare un evento accaduto nel tempo e nello spazio, ma evocare una rottura formativa nella coscienza morale dell’umanità e nell’immaginario religioso dell’Islam, in particolare nel pensiero sciita. Ashura non è un momento passato, ma piuttosto un’esperienza esistenziale-filosofica che ridefinisce il rapporto dell’umanità con il tempo, la morte, la verità e l’autorità. Il martirio di Husayn a Karbala nel 61 AH (680 d.C.) non fu una fine, ma la genesi di ciò che il discorso filosofico chiama “uomo teleologico”, l’essere che offre il proprio corpo in sacrificio per un valore superiore alla sopravvivenza materiale. Da questo punto di vista, la filosofia dell’Ashura emerge non come una semplice reazione all’oppressione, ma come una riconfigurazione dell’essere stesso. Il martirio non è più la conclusione della vita, ma l’inizio dell’esistenza morale e politica.
La filosofia del martirio: quando la morte diventa un atto esistenziale
Il martirio nel paradigma di Karbala non è una fuga dalla morte, ma un abbraccio consapevole e volontario di essa come testimonianza della verità. L’imam Hussein Ibn Ali (as) non fu semplicemente ucciso, ma offrì sé stesso come sacrificio sacro. Questo atto colloca il suo martirio nell’ambito del pensiero esistenziale-etico simile al “morire per l’altro” nelle filosofie di Kierkegaard, Levinas e persino Heidegger (anche se attraverso la sua analisi ontologica dell’essere-verso-la-morte). In questo schema, il martirio non è un annientamento, ma la realizzazione esistenziale dell’essere umano completo, colui che raggiunge l’apice del divenire morale. Karbala diventa così un vero mito esistenziale, nel senso di Paul Ricoeur di “mito che rivela”, non di mito che inganna.
Nell’escatologia sciita, il martirio non è legato all’aldilà come mera ricompensa personale, ma come attuazione cosmica della giustizia. Il martire non si limita a guadagnarsi il paradiso, ma partecipa alla ricostituzione della giustizia divina nel mondo, come esprime Allama Tabataba’i nella sua esegesi di coloro che sono “uccisi sulla via di Dio”.
Ashura come atto formativo di resistenza nella modernità politica – Libano 2024: Essere di fronte al nulla
La guerra del 2024 tra Hezbollah e Israele, scatenata in solidarietà con Gaza, non è stata solo uno scontro militare, ma una rievocazione contemporanea della metafisica dell’Ashura. I combattenti hanno marciato sotto lo striscione “Non ti abbandoneremo mai, o Husayn”, una dichiarazione non solo di fedeltà religiosa, ma anche di identificazione esistenziale con un modello di umanità che abbraccia la morte per preservare un mondo capace di giustizia. Qui, il sostegno del popolo palestinese, prevalentemente sunnita, da parte dei combattenti sciiti diventa una manifestazione filosofica dell’unità panislamica. Nel sud del Libano, la comunità sciita non ha pianto i martiri come vittime, ma li ha celebrati come vincitori nella lotta esistenziale.
La morte non ha cancellato il sé, ma lo ha affermato. Così, ogni funerale è diventato una “scena filosofica di immortalità morale”, una testimonianza della morte come generatrice di significato, non di assurdità.
Iran 2025: guerra alla luce della formazione ashuraica
Il conflitto in corso tra Iran e Israele rivela la profonda integrazione della filosofia dell’Ashura nel discorso politico e spirituale. La leadership iraniana, in particolare la Guida Suprema Ali Khamenei, ridefinisce la politica non come un ambito di calcolo pragmatico, ma di dovere sacro (taklif), secondo cui la verità non è una strategia politica, ma un imperativo ultraterreno. I membri del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) non sono semplici soldati, ma gli “eredi di Husayn”, impegnati in quella che il filosofo francese Michel Henry definirebbe “incarnazione cosmica”, un’immersione corporea nel combattimento spirituale.
Pertanto, la morte dei leader militari iraniani non è considerata una perdita militare, ma una “ascesa formativa alla stazione dell’eternità”, come affermato dall’agenzia di stampa iraniana Tasnim (giugno 2025).
Il martirio come riconfigurazione del tempo
L’Ashura insegna che il tempo non è lineare, ma ciclico. Ciò che è accaduto a Karbala si ripete ovunque l’ingiustizia sia accolta con il silenzio. Questo spiega perché Karbala trova eco in Iraq, Yemen, Libano e Palestina. I martiri non sono “ripetizioni”, ma manifestazioni contemporanee di un archetipo esistenziale eterno. In Iraq, questo è incarnato in slogan popolari come “Ogni terra è Karbala, ogni giorno è Ashura” e, in Yemen, con il grido di battaglia di Ansar Allah: “Ci inchiniamo solo a Dio”.
Questi non sono semplici slogan di mobilitazione, ma dichiarazioni filosofiche: ogni momento di ingiustizia fa rivivere Karbala, spingendo l’individuo verso la “scelta karbaliana”.
La società sciita: da comunità rituale a collettivo formativo
L’Ashura ha trasformato le comunità sciite da congregazioni ritualistiche a società interpretative-esistenziali, per usare il quadro concettuale di Paul Tillich, comunità che interpretano l’esistenza attraverso la lente della morte sacra. In Libano: il “majlis husayni” si è evoluto da rituali di lutto a seminari di coscienza politica e filosofica. I bambini del sud sono cresciuti con la convinzione che Husayn “non è morto”, ma “ha generato significato”. Di conseguenza, i media della resistenza trasmettono la “gioia del martirio”, non il dolore della perdita. In Iraq: soprattutto a Karbala e Najaf, la rievocazione annuale dell’Ashura non è solo una cerimonia, ma un rinnovamento esistenziale.
Il pellegrinaggio dell’Arbaʿeen, dove milioni di persone camminano in devozione, non è un rituale ma un atto dell’essere che afferma la vita attraverso la resistenza. In Yemen: per Ansar Allah, la morte sulla via di Dio ridefinisce la dignità, non come reazione ma come struttura intrinseca del sé credente. Come proclamò Husayn: “Se non avete religione e non temete l’aldilà, almeno siate liberi nella vostra vita terrena”.
Conclusione: da Karbala all’Uomo dell’Aldilà
L’Ashura non è solo una rivolta politica o una rivolta sociale; è la manifestazione dell’essere umano che sceglie il significato piuttosto che la sopravvivenza. Ricostruisce i valori universali sulla base dell’azione etica libera ed eleva l’umanità al rango di “martire cosmico”, colui che non perisce ma inaugura una nuova temporalità morale. Per i martiri dell’Asse della Resistenza, la morte non è una fine, ma l’inizio di una nuova missione nel tempo morale del mondo. L’Ashura rimane quindi un linguaggio esistenziale aperto, una grammatica attraverso la quale le nazioni interpretano il loro presente e creano il loro patto spirituale-politico.
Articolo originale di Dr. Zeinab Mehanna:
https://katehon.com/en/article/ashura-philosophy-martyrdom-and-way-life-between-existential-formation-and-contemporary
Traduzione di Costantino Ceoldo





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