Leonardo e il porto di Genova: un hub militare che si spaccia per logistica
DA LA FIONDA (Di Giuseppe Gagliano)

Genova è stata indiscussa protagonista di grandi promesse: la “ripartenza”, la “vocazione logistica”, il “capitale del Mediterraneo”. Dietro queste frasi però si nasconde un piano ben più strategico: trasformare le banchine in piattaforme per armamenti e tecnologie dual‑use, con Leonardo (ex Finmeccanica) al timone del gioco. E il tutto sotto la copertura rassicurante di “sicurezza regionale” e “innovazione tecnologica”.
Il 12 novembre 2018, il CEO Alessandro Profumo firma un Memorandum con Regione Liguria, Comune e Autorità Portuale di Genova per “progetti e dimostrazioni tecnologiche a supporto della sicurezza regionale”. Tradotto: videocamere, droni, radar, sorveglianza elettronica… il tutto presentato come misura a servizio dei cittadini, mentre i monitor diventeranno spie per container militari.
Leonardo era già strettamente legato all’industria della difesa: controllata al 30 % dal Ministero dell’Economia e partner di NATO per sistemi di sorveglianza a terra. Ma ora ha conquistato un posto fisso in porto: sotto un pretesto di “resilienza territoriale”, si è inserita come main partner tecnologico, senza gara né trasparenza nei contratti.
Il memorandum prevede collaborazione su “monitoraggio territoriale, cyber‑security, tracciamento merci”. Lo schema TPCS e GTS3 del triennio 2024‑26 punta ad integrare telecamere, scanner doganali, droni marini e sorveglianza 24/7, creando una rete cittadina che, se interfacciata ad algoritmi militari, può controllare qualsiasi traffico, civile o bellico.
Nel frattempo, progetti europei su “multi‑modal logistics” puntano a collegare porti e ferrovie anche per la military mobility – ovvero il trasferimento rapido di truppe e mezzi – tra cui Genova e La Spezia.
Leonardo non si limita al trasporto merci. È partner tecnico della NATO su sistemi di sorveglianza a terra (AGS). Il suo bilancio integrato 2023 conferma joint‑venture con KNDS per nuovi Main Battle Tank. Colombo come hub logistico? Gli scenari si sprecano: armi in arrivo, manutenzione in loco, test di tecnologie dual‑use.
Genova non è Istanbul. È vicino a basi NATO e all’asse Est‑Mediterraneo, teatro di crisi geopolitiche come Libia, Siria e conflitto russo‑ucraino. Avere un “porto intelligente” significa controllo sui flussi, ma anche accesso rapido a risorse militari, droni marini, radar navali, tecnologia antimissile e insight logistici su scala continentale.
In tutto questo, la politica cittadina resta complice o silente. Nessuna gara pubblica, nessuna verifica parlamentare, nessuna consultazione democratica. Leonardo annuncia “hub del futuro”, l’Autorità portuale lo firma… e via, non resta che caricare container senza sapere cosa c’è dentro. Il porto rischia di diventare un “porto delle ombre”, dove, dopo il gate doganale civile, si gestisce – con occhi elettronici – una parte della catena d’armamenti occidentale, senza dettagli su destinazione o contenuto.
Il Comitato portuale ha assistito all’operazione con sorprendente docilità: alcuni membri hanno ammesso di aver appreso dei protocolli solo a giochi fatti, con firme già apposte da Regione e Autorità. Nessun passaggio in consiglio comunale, nessun dibattito pubblico: eppure si sta rimodellando il cuore logistico della città.
Sul fronte sindacale, la FILT‑CGIL ha sollevato dubbi sulla “militarizzazione delle banchine” e sulle conseguenze per i lavoratori civili: «Caricano container come se nulla fosse, ma ignorano il carico. Serve trasparenza». Altre sigle, come USB, hanno organizzato scioperi di solidarietà e presidii, sostenendo che lo scalo non può trasformarsi in snodo di armi verso l’estero.
Genova, grazie al corridoio Reno‑Alpi e ai collegamenti ferroviari, è parte di grandi catene logistiche europee. Ma con Leonardo in campo, la città potrebbe diventare nodo stabile per la military mobility voluta da Bruxelles, con trasporto rapido di truppe e mezzi tra Penisola e Nord Europa. Non è astratto: altre esercitazioni NATO, come Defender Europe, hanno coinvolto Livorno e Taranto. Se Genova segue, il traffico civile potrebbe subire rallentamenti e controlli extra per far spazio alle colonne militari.
Le banchine liguri, a pochi chilometri dalla base NATO di La Spezia, potrebbero diventare piattaforme per operazioni nel Mediterraneo orientale, in Libia, Mar Rosso o Mar Nero, con conseguenze imprevedibili. L’Italia rischia di trascinare Genova in questa “guerra delle rotte” che contrappone NATO, Russia e Cina per il controllo dei mari.
Nei quartieri vicini al porto monta la protesta civile: comitati e associazioni ambientaliste hanno iniziato a manifestare davanti ai moli con slogan come “The war starts here” e “Fermiamo la logistica di guerra”, denunciando che Genova non può diventare retrovia militare. Alcuni anziani parlano di container senza etichetta e chiedono semplicemente: “Ma cosa passa di nascosto?”.
Investigate Europe ha documentato le proteste dei “dockers against arms” contro le esportazioni verso l’Arabia Saudita, portando Genova sotto i riflettori europei. Numerose testate locali hanno raccontato lo sdegno crescente della comunità, mentre comitati di residenti chiedono al Comune e alla Regione chiarimenti su accordi firmati senza gara, studi d’impatto ambientale o informazione pubblica.
Presidi continui al varco San Benigno vedono cittadini con bandiere e megafoni sfidare pullman carichi di container sospetti, sperando in spiegazioni su cosa realmente entri e esca dai moli.
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In sintesi, mentre Leonardo consolida la sua presenza strategica, la città reagisce con inquietudine. Genova vive la tensione tra la vocazione commerciale e la nuova identità militare del porto. Da un lato c’è una comunità attiva, che si mobilita; dall’altro, una politica sorda, uffici silenti, lobby silenziose.
Il nodo ora è chi controlla: appalti aperti, contratti pubblici visibili, sindacati informati, ruolo istituzionale attivo. Perché se alla “logistica integrata” sostituiamo la “logistica bellica”, le banchine smettono di essere motore d’economia e diventano parte delle rotte delle guerre del XXI secolo. E quella, per Genova, non è una rivoluzione: è un tradimento.





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