Sono in Germania – e nella Ue – i maghi del debito pubblico
di CONTROPIANO (Claudio Conti)
La Germania è davvero un modello. Più difficile definire di “cosa” lo sia.
La narrazione che va per la maggiore, all’interno dei suoi confini e fuori, è che sia un modello di virtù economica, di passi fatti alla lunghezza della gamba, tenendo basso il debito pubblico e privato, lavorando tanto e senza troppo lamentarsi, ecc. Nonostante questa morigeratezza estrema, godono ancora di un rilevante sistema di welfare, anche lì in via di smantellamento, che permette per esempio alle donne di fare figli e gestirli grazie a un notevole sistema di asili nido pubblici, ecc.
Come fanno?
Tutte queste cose gliele pagano in parte – da quasi quindici anni – i cittadini e gli investitori di altri paesi; e in special modo quelli dei paesi Piigs.
Come? Finanziando il debito pubblico della Germania, che non è basso come si dice (inferiore percentualmente a quello italiano, è vero, ma comunque ben sopra i parametri di Maastricht) ma in compenso gode di interessi da pagare spesso negativi. Cosa significa? Che chi compra bund tedeschi, da qualche anno e sicuramente da quando è iniziata la crisi finanziaria da cui non siamo mai usciti (2008), accetta di rimetterci qualcosina pur di tenere al sicuro i propri soldi. In pratica, lo Stato tedesco non paga interessi sul proprio debito pubblico e quel debito è posseduto in massima parte da clienti esteri.
Di fatto la Germania importa capitali ed esporta debito, come facevano un tempo quelli che “vivevano al di sopra delle proprie possibilità”.
Ciò è possibile grazie alla moneta unica e ai trattati dell’Unione Europea, che sono stati provvidenzialmente scritti sulla base dell’eserienza fatta – sempre dallo Stato tedesco – negli anjni della riunificazione del paese, dopo il crollo del Muro. Un meccanismo studiato e descritto, in italiano da Vladimiro Giacché nel suo libro Anschluss. L’annessione: L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, che è stato così sintetizzato da Matteo Gorini:
“Questo libro di Giacchè svela come la riunificazione delle due Germanie abbia significato la quasi completa deindustrializzazione dell’ex Germania Est, la perdita di milioni di posti di lavoro e un’emigrazione di massa verso Ovest che perdura tuttora, spopolando intere città e che, a quasi 25 anni dal crollo del muro, continua ad accentuarsi.
La storia di questa “unione che divide” è una storia che parla al nostro presente perchè è la stessa ricetta alla base dell’Euro. La decisione di attuare subito l’unione monetaria tra le due Germanie, prima di aver attuato la necessaria convergenza tra le due economie, ha portato al collasso economico quella dell’Est.
Dalle vicende tedesche l’Europa può trarre una lezione di storia importante per il suo futuro. Inoltre, a differenza della Germania est, che in virtù dell’unione politica con la Germania ovest può beneficiare di consistenti trasferimenti fiscali nel welfare (che tuttavia non bastano a rilanciarne l’economia), gli altri paesi della zona euro non ricevono dalla Germania alcun trasferimento fiscale perchè l’unione politica europea non esiste (nè esisterà, perchè nè il centrosinistra nè il centrodestra tedeschi sostengono tale progetto).”
Qaundo si discute infatti di “terzo pilastro dell’Unione bancaria” o di “politica fiscale comune” (se c’è una politica economica di fatto continentale, chiamata “austerità”, e una politica di bilancio inchiodata all’asse unitario della “legge di stabilità”, sarebbe logico avere anche gli altri pezzi) improvvisamente l’Unione Europea diventa incapace di procedere. Perché la Germania non intende assolutamente “condividere il rischio”, ossia garantire con risorse proprie gli squilibri che lei stessa va creando ed ha creato.
Scriviamo “Germania” ben sapendo che l’ottica nazionalistica è parzialmente deviante, visto che le multinazionali produttive o finanziarie non hanno patria (né religione). Ma lo Stato tedesco gioca un ruolo fondamentale nel determinare le politiche europee – anche in nome e per conto del capitale multinazionale – in modo che non danneggino mai il “modo di vita germanico” e gli equilibri sociali interni. Tutte le favolette sui nordici “formiche” e i mediterranei “cicale” sembrano prese e tradotte dal manuale del leghista ingenuo, ma lì costituiscono senso comune.
Il segreto del debito pubblico tedesco non è affatto ignoto agli addetti ai lavori, né tantomeno alle classi dirigenti nei vari paesi dell’Unione. E’ infatti solare che se i capitali emigrano verso la Germania “fuggono” da altre destinazioni, privando altri territori ed altre economie di investimenti di ogni tipo.
Ma si fa finta di nulla perché i rapporti di forza sono quel che sono, e si fa prima a fare il culo a lavoratori pensionati e giovani del proprio paese che a convincere Schaeuble-Merkel-Dijsselbloem (e gli interessi che rappresentano) a “disegnare un’altra Europa”.
Per darvene una prova ripubblichiamo qui un articolo denso di informazioni e dati apparso su IlSole24Ore nel febbraio di quest’anno. Perché la storia del debito pubblico è sempre molto lunga, ma bisogna anche saperla raccontare…
Germania, record di debito pubblico «esportato»
Marco Fortis
La Germania è universalmente nota come un grande Paese esportatore di manufatti. Pochi sanno invece che è anche la nazione europea maggiore esportatrice di debito pubblico. Infatti, il debito tedesco finanziato da non residenti ha raggiunto a fine 2014 quota 1.239 miliardi di euro, il livello più alto della Ue, davanti alla Francia (1.165 miliardi) e all’Italia (molto più distaccata con 716 miliardi).
Secondo la Bundesbank, a fine 2014 il debito pubblico tedesco era pari complessivamente a 2.184 miliardi di euro.
Un ammontare così suddiviso tra settori detentori: alla Bundesbank 4 miliardi; alle banche 612 miliardi; alle altre istituzioni finanziarie 190 miliardi; a famiglie e imprese 138 miliardi; e, appunto, agli investitori non residenti 1.239 miliardi. Cifre coincidenti con quelle dell’Eurostat, secondo cui nel 2014 il debito pubblico tedesco era finanziato da non residenti per il 56,8% mentre quello italiano lo era soltanto per il 33,6%. (Eurostat, “In most EU Member States, the largest share of public debt is held by non-residents”, News release n. 101, 10 giugno 2015).
La crescita del debito pubblico estero della Germania è stata continua sin dall’inizio del decennio scorso ma ha raggiunto i suoi livelli più intensi proprio durante la recente crisi europea e mondiale. Alla fine del 2000 il debito pubblico tedesco detenuto da investitori non residenti era infatti pari a soli 441 miliardi, a fronte di un debito pubblico finanziato da investitori tedeschi quasi doppio, uguale a 805 miliardi. Da allora il quadro si è completamente rovesciato. Il debito interno tedesco è rimasto quasi piatto, essendo aumentato fino al 2014 di soli 145 miliardi, raggiungendo quota 940 miliardi, mentre sono stati soprattutto gli stranieri a sostenere la imponente crescita del debito totale di Berlino: +789 miliardi rispetto al 2000. In altri termini, l’aumento del debito pubblico complessivo della Germania dai 1.246 miliardi del 2000 ai 2.184 miliardi del 2014 è stato finanziato per oltre l’85% da investitori non residenti. I tedeschi si sono sobbarcati soltanto il restante 15 per cento.
Stare nell’euro ha dunque permesso alla Germania non soltanto di esportare auto e altri manufatti a un vantaggioso tasso di cambio fisso verso gli altri Paesi della moneta unica ma anche di attrarre più investimenti verso il proprio debito. Il fenomeno ha assunto proporzioni particolarmente rilevanti durante l’ultima crisi dell’Eurozona, di cui la Germania ha grandemente beneficiato sotto il profilo finanziario. Nel pieno del contagio greco, infatti, i bund sono diventati un bene rifugio e sono stati acquistati anche a tassi molto poco convenienti (se non “irrazionali”). Sicché dal 2009 al 2014 il debito pubblico totale della Germania è cresciuto di 400 miliardi ma gli stranieri ne hanno comprato per ben 341 miliardi.
È stato soprattutto durante la prima fase dell’ultima crisi che il debito tedesco ha potuto godere di questo gradito supporto esterno, senza il quale gli investitori tedeschi (soprattutto le banche) avrebbero invece dovuto farsi loro carico della crescita dell’indebitamento del proprio Paese.
nfatti, nel 2010 il debito pubblico estero tedesco è salito di 155 miliardi, poi di altri 100 nel 2011 e infine di 61 nel 2012: +316 miliardi in soli tre anni! Una raccolta provvidenziale non solo per far fronte all’aumento della spesa pubblica corrente (grazie alla quale la Germania ha potuto sostenere il proprio Pil) ma anche per finanziare i costi dei salvataggi bancari (basti pensare al caso Hypo Re). A tali salvataggi bancari, infatti, va attribuita una quota rilevante dei 306 miliardi di aumento del debito totale tedesco del 2010, che fu finanziato per 151 miliardi da residenti (133 dalle banche) e per 155 miliardi da non residenti.
Poi, l’anno successivo, nel 2011, il debito pubblico totale tedesco aumentò di soli 29 miliardi, il che permise ai residenti di venderne per circa 72 miliardi (le banche se ne alleggerirono per 59), mentre i non residenti ne acquistarono per altri 100 miliardi. In altre parole, a consuntivo il bailout delle banche tedesche è costato veramente poco alla Germania, in quanto non lo hanno finanziato i contribuenti tedeschi ma soprattutto quelli stranieri. Paradossalmente, senza la crisi della Grecia e senza la corsa ai bund tutto ciò non sarebbe potuto avvenire e il salvataggio degli istituti tedeschi dissestati sarebbe andato pressoché a carico della Germania stessa, cioè delle sue altre banche (già molto gravate di derivati e titoli non liquidi). Un doppio paradosso, si potrebbe dire, perché se fosse andata in quel modo probabilmente oggi non vedremmo nemmeno i “falchi” tedeschi tanto accalorati a voler imporre un tetto al quantitativo di titoli pubblici detenuti dalle banche europee.
Del tutto opposta è la situazione dell’Italia, il cui debito pubblico totale dal 2009 al 2014 è salito da 1.770 a 2.136 miliardi di euro, con una crescita (inferiore a quella tedesca) di 366 miliardi interamente sostenuta dal nostro sistema finanziario. Infatti, l’aumento del debito italiano è stato totalmente a carico dei residenti, che ne hanno acquistato in più per 389 miliardi mentre i non residenti ne hanno ceduto per 23 miliardi. In altre parole, l’Italia ha più che interamente “nazionalizzato” la crescita recente del proprio debito pubblico, mentre la Germania l’ha pressoché interamente esportata.
La capacità dell’Italia di governare con le proprie forze il debito pubblico persino in un periodo di grave crisi economica come quello degli ultimi anni è dimostrata anche dal fatto che la crescita del nostro debito è andata via via rallentando sensibilmente. Il tasso percentuale di aumento annuo del debito italiano in valore è sceso dal 4,2% del 2012 al 4% del 2013, al 3,2% del 2014 sino al minimo dell’1,6% del 2015. Inoltre, l’Italia è l’unico Paese che non ha effettuato il bailout delle proprie banche, mentre la Germania, come abbiamo visto, è persino riuscita a suo tempo a farsi finanziare dall’estero gran parte del salvataggio pubblico dei propri istituti.
Fonte:http://contropiano.org/interventi/2016/09/13/germania-nella-ue-maghi-del-debito-pubblico-083406
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