Tesi, antitesi, sintesi
di ALESSANDRO GILIOLI
«La Prima Repubblica non si scorda mai», canta Checco Zalone nel suo ultimo film, e la strofetta è stata ripresa ieri in giro per sfottere un po’ l’idea di riforma elettorale grillina, basata sul proporzionale con preferenze.
In verità la proposta M5S è un filo diversa da quella che ha regolato l’Italia dal ’46 al ’93: c’è una soglia di sbarramento variabile ma di fatto attorno al 5 per cento, ci sono le preferenze negative, ci sono circoscrizioni medio-piccole che potrebbero consentire di governare anche a un partito che nel voto popolare complessivo non arriva al 50 per cento, quindi una specie di premio di maggioranza.
Resta che sicuramente la proposta grillina è più simile alla legge in vigore fino al ’93 che non a quelle successive (Mattarellum, Porcellum, Italicum), quindi è indicabile come un ritorno al passato.
Anche qui però ci sono alcune sfumature, perché se parliamo di passato occorre aggiungere che il primo sistema elettorale dopo l’unificazione del Regno d’Italia era una Camera eletta col ballottaggio e un Senato di nominati, il che forse può fare venire in mente qualcosa di molto attuale.
Caduto il fascismo, si decise di eleggere la Costituente attraverso il proporzionale con preferenza e il metodo fu poi riversato anche nelle elezioni del Parlamento ordinario. In sostanza, il sistema fu inventato dal governo provvisorio di allora: De Gasperi, Nenni, Togliatti, Amendola, Scoccimarro, Visentini, Segni, insomma non proprio degli scappati di casa.
Per inciso, il meccanismo ha funzionato per quasi mezzo secolo, durante il quale l’Italia ha avuto la crescita economica maggiore della sua storia, la scolarizzazione maggiore della sua storia e il miglioramento del welfare e dei diritti dei lavoratori maggiore della sua storia.
Tutte le leggi venute dopo sono invece durate poco: con il Mattarellum abbiamo eletto solo tre legislature e altrettante con il Porcellum, mentre l’Italicum rischia di essere la prima legge elettorale abolita prima ancora di aver regolato una sola elezione.
Insomma, se un sistema elettorale si deve giudicare per buon funzionamento e lunga durata, ci sono pochi dubbi: da un punto di vista storico, quelli del ’46 avevano fatto un lavoro più solido rispetto ai loro successori.
Questo – è ovvio – non significa che oggi si possa ripescare quel meccanismo, ormai vintage. Nel frattempo è tutto cambiato, né i partiti né la società sono quelli del Dopoguerra, eccetera eccetera.
Però forse tutta questa vicenda forse può farci fare qualche riflessione in più.
Può farci cioè uscire dalla furia destruens con cui abbiamo bollato per vent’anni tutto quello che aveva a che fare con il primo cinquantennio democratico, insegnandoci piuttosto a dividere il grano dal loglio.
Può aiutarci a vedere le cose in modo storico, magari come ci ha insegnato Hegel: tesi (Prima repubblica), antitesi (la Seconda), sintesi (quello che dobbiamo costruire).
Detta diversamente, sarebbe sciocco non vedere che anche alcuni estremismi ideologici della Seconda Repubblica stanno battendo in testa: come la governabilità a costo di irridere la rappresentanza, la polverizzazione dei corpi intermedi, l’ossessione di eliminare qualsiasi “laccio o lacciolo” al mercato etc.
Certo, non si torna al pre-93, è ovvio e si è già detto sopra. Ma pure l’onda della demonizzazione totale per tutto quello che avevamo fatto prima sta finendo. E anche la Seconda Repubblica, con i suoi tic e i suoi dogmi, è già vecchia, superata: proprio come la Prima.
La principale differenza, forse, è che per la Seconda non ci sarà mai nessuno Zalone a cantarne la nostalgia.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/09/21/tesi-antitesi-sintesi/
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