Ecco perché l’Italia paga il pregiudizio dei gestori stranieri
de IL SOLE 24ORE (Vito Lops)
Se chiediamo a un cittadino straniero di chiudere gli occhi e di pronunciare le prime tre parole che gli vengono in mente pensando all’Italia molto probabilmente saranno: spaghetti, pasta e pizza. Se poniamo lo stesso quesito a un gestore finanziario straniero (che magari non ha mai messo piede in Italia ma ha in portafoglio una quota di titoli di Stato italiani) molto probabilmente saranno: spaghetti, pizza e….debito pubblico.
È vero. Quanto al debito pubblico l’Italia ha oggettivamente una cattiva fama. In effetti, se rapportato al Pil, il debito pubblico italiano è tra i peggiori al mondo. Siamo al 132%, vicinissimi al Portogallo (130%) in una classifica guidata dal Giappone dove il debito pubblico viaggia oltre il 220% del Pil. È una classifica alquanto strana, però, dato che il Giappone, nonostante l’enorme massa di debito pubblico, è oggi considerato il bancomat mondiale dagli investitori globali che acquistano la divisa nipponica (yen) proprio per effettuare operazioni finanziarie di carry trade (ci si indebita in un Paese dove i tassi sono bassi per investire il denaro in aree che pagano interessi più elevati).
È una classifica alquanto strana anche perché durante le tempeste finanziarie gli investitori si rifugiano proprio in Giappone (nonostante sia il Paese più indebitato al mondo in rapporto al Pil) e vendono Italia. Lo abbiamo visto chiaramente nel 2011 quando il rendimento dei BoT a 12 mesi ha superato l’8% mentre i titoli nipponici continuavano a viaggiare vicini a 0.
È evidente quindi – come dimostra la distanza di percezione degli investitori tra Italia e Giappone – che il debito pubblico non è sufficiente per spiegare la solidità o la vulnerabilità di un Paese.
A distanza di qualche anno il mondo è profondamente cambiato. Nel frattempo la Bce ha deciso (luglio 2012) di tutelare i Paesi dell’Eurozona (Grecia esclusa) acquistando i titoli di Stato sui mercati aperti. Una protezione che adesso scoraggia gli speculatori dall’aggredire un Paese (gli investitori, persino gli hedge fund più aggressivi, ci pensano più di due volte prima di schierarsi contro la potenza di fuoco teoricamente illimitata di una banca centrale).
Tuttavia, per quanto l’Italia risulti oggi più protetta di un tempo, elementi di vulnerabilità finanziaria sono ancora presenti. Lo abbiamo visto chiaramente negli ultimi due mesi quando lo spread Italia-Spagna è passato da -15 punti base (quindi la Spagna era considerata più rischiosa) a +30 (oggi i BTp hanno rendimenti più elevati di 30 punti base dei Bonos perché l’Italia è tornata ad essere considerata più rischiosa).
Questo perché gli investitori iniziano a preoccuparsi dell’eventuale sconfitta dell’attuale premier al referendum costituzionale in programma il 4 dicembre. L’agenzia di rating Fitch (che oggi si pronuncerà sul rating sovrano dell’Italia) ha del resto più volte indicato che in caso di vittoria del “no” lo spread tra Italia e Germania (oggi a 140 punti) potrebbe ampliarsi. Come dire che gli investitori sono pronti a vendere il debito pubblico italiano (per riprezzarne un rischio più elevato) se arrivassero scossoni importanti sull’attuale governo (che piace ai mercati finanziari).
Un attacco che potrebbe essere perpetrato sul debito pubblico (ma con proporzioni minori rispetto al 2011 considerato che oggi c’è la Bce a fare da scudo) e su banche e assicurazioni italiane che detengono in pancia un controvalore di circa 450 miliardi di titoli di Stato italiani, un quarto del totale.
Questo ci porta a dedurre che l’Italia è oggi a livello finanziario ancora vulnerabile, sia per la via indiretta del debito che per quelle dei suoi istituti finanziari. Come mai? «L’Italia paga un pregiudizio di fondo degli investitori stranieri sul debito pubblico – spiega Mario Spreafico, responsabile degli Investimenti, Schroders wealth management -. Ma si tratta, appunto, di un pregiudizio. L’Italia, in sostanza, paga il fatto che in questo momento i mercati peccano talvolta di superficialità perché governati da una cultura sovranazionale di stampo anglosassone che si basa sui massimi sistemi, semplifica e non osserva nello specifico.
Se “i mercati” andassero a vedere nello specifico nel caso dell’Italia vedrebbero che dietro l’elevato ammontare di debito pubblico c’è un attivo, ovvero un patrimonio privato, di circa 8 volte. In questo caso i mercati guardano solo il passivo, e non l’attivo. In sostanza gli investitori professionali internazionali non considerano l’altro lato della medaglia: e che cioè l’Italia è uno dei primi
Paesi al mondo per risparmio e ricchezza pro-capite. Non a caso l’industria del risparmio gestito ha uno dei maggiori fatturati al mondo in Italia. Ma purtroppo molti dei grossi investitori nella cosiddetta asset allocation a volte prendono decisioni ingegneristiche, invece di guardare alla sostanza le cose, ovvero ponderare il debito pubblico con il patrimonio privato. E quindi penalizzano oltremodo il debito pubblico italiano (e Piazza Affari, ndr) durante le fasi di incertezza mettendone in dubbio la sua sostenibilità nonostante l’elevato livello di patrimonio privato che ne è lo specchio».
In effetti si continua a ignorare che il debito pubblico è il credito privato. Si continua a ignorare che se uno Stato spende 100 (investendo o riducendo le tasse) quei 100 non si volatilizzano, ma vanno al privato. Si continua a ignorare che debito pubblico e alto livello di credito/patrimonio privato sono due facce della stessa medaglia, speculari.
«Va detto che per via di questo pregiudizio dettato da una lettura superficiale e semplicistica che viene data dall’estero, quello che è potenzialmente un elemento di forza (ovvero l’appealing del debito all’estero) rischia di trasformarsi in un elemento di debolezza durante le turbolenze. Oggi infatti circa il 35% del debito italiano è in mano a investitori stranieri. E anche molti fondi residenti in Italia che detengono il debito pubblico sono gestiti da gestori stranieri. Investitori pronti a vendere e far ballare i tassi in caso di tensioni, oltre i livelli che sarebbero fisiologici».
« Lo stesso errore a mio avviso – prosegue Spreafico – viene commesso quando vengono vendute con violenza le banche italiane (quest’anno hanno perso circa il 40% del valore in media in Borsa). Molti dei gestori che le scaricano dal portafoglio magari non hanno mai messo piede in Italia e non conoscono la realtà specifica del sistema bancario italiano, sovrappesandone i rischi anche in questo caso a causa di un pregiudizio – conclude -. Si tratta molto spesso di valutazioni fatte sulla carta che vanno al di là di ogni logica imprenditoriale. C’è da dire che avendo cambiato 50 governi in 50 anni questo pregiudizio in parte ce lo siamo andati a cercare. Ma razionalmente non possiamo sottolineare che resta un pregiudizio e, come tutti i pregiudizi, non corrisponde alla realtà. Che però penalizza l’Italia oltremisura».
In sostanza, se è vero che l’immagine che hanno dell’Italia i turisti che la etichettano in base ai luoghi comuni di pasta e pizza, lo stesso principio vale per molti gestori stranieri che non dovrebbero limitarsi a giudicare l’Italia considerando solo l’elevato debito pubblico. Rapportato al credito privato, non è così cattivo come può sembrare.
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