Intervista esclusiva al prof. Marc Lavoie – 28/10/2016
di CSEPI (Domande: Aldo Scorrano, Fabio di Lenola – Traduzione: Jacopo Foggi)
Marc Lavoie è professore presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Ottawa, dove ha iniziato a insegnare nel 1979. Le principali aree di ricerche riguardano il pensiero post-keynesiano e l’economia monetaria. Nel 2007 ha collaborato al sMarc Lavoieeminario Monetary Economics: an integrated approach to money, income, production and wealth, assieme a Wynne Godley, già docente di Economia Applicata a Cambridge. Le sue pubblicazioni sono innumerevoli e spaziano da articoli scientifici a libri di settore. E’ stato l’editore associato della Encyclopedia of Political Economy (1999), ed è stato visiting professor presso le università di Bordeaux, Nizza, Rennes, Digione, Grenoble, Limoges, Lille, Paris-1 e Paris-Nord, così come presso Curtin University di Perth, in Australia. Inoltre è anche un Research Fellow presso la IMK Hans Böckler Foundation in Düsselforf e Policy Fellow presso il Broadbent Institute di Toronto. Ha tenuto conferenze presso la scuola estiva post-keynesiana a Kansas City, al Levy Economics Institute e a Berlino.
Csepi (D): 1- Sulla MMT e la teoria del circuito monetario.
In un suo articolo di qualche anno fa scrisse una critica ‘amichevole’ della MMT, potrebbe indicarci brevemente i punti di forza e i limiti di questa teoria?
Lavoie (R): Io sono essenzialmente d’accordo con quanto sostenuto dagli esponenti della MMT, in particolare con l’analisi da loro fatta sugli effetti della spesa pubblica e delle tasse sul bilancio della banca centrale e su quelli delle banche commerciali. Alcuni critici affermano che tutto ciò era già noto, ma ovviamente fino a che gli esponenti della MMT non lo avevano riportato alla ribalta, queste cose erano state dimenticate da quasi tutti i nostri colleghi. La mia unica preoccupazione, come ho espresso nel mio articolo, era che nel loro sforzo di convincere i lettori i sostenitori della MMT semplificassero eccessivamente, al punto da creare qualche confusione tra i loro colleghi economisti
1.a) Molti critici della MMT insistono sul fatto che consolidare la banca centrale e il ministero del tesoro sia un errore (una semplificazione eccessiva della realtà). Gli economisti MMT (ma anche Sergio Cesaratto nel suo recente lavoro http://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/01603477.2016.1147333) rispondono dicendo che a livello operativo non c’è alcuna differenza tra consolidare o meno. Qual’è la sua posizione a riguardo?
(L): Io dico spesso che il consolidamento può essere giustificato per alcuni scopi ma non per altri. Quando si deve tentare di spiegare com’è che la spesa dello stato porta le banche commerciali ad acquisire depositi (quelli che vengono spesso chiamati ‘riserve’ o ‘saldi di regolamento’) presso la banca centrale, io penso che sia meglio evitare il consolidamento, altrimenti si potrebbe tralasciare il punto importante, cioè che prima di poter spendere il governo deve acquisire dei depositi presso la banca centrale, o vendendo dei titoli oppure ottenendo degli scoperti di conto dalla banca centrale laddove ciò è consentito.
1.b (D): In riferimento ai Piani di Lavoro Garantito, è vero che potrebbero generare degli effetti deflattivi dovuti al fatto di impostare le paghe al minimo salariale?
(L): Questo è un punto di contrasto tra i sostenitori della MMT e alcuni dei suoi critici. Gli MMTers pensano che poiché i lavoratori che non trovano lavoro verranno assunti dallo stato con il Programma di Occupazione di Ultima Istanza (ELR) ad un salario nominale prefissato, tutti i salari rimarranno in linea con lo stipendio del ELR. Ma in passato l’esistenza di un determinato minimo salariale non ha mai fermato l’aumento dei prezzi e dei salari. Altri critici paventano che la creazione di un Programma di ELR possa infine portare alcuni governi a sostituire i posti di lavori ben pagati e sindacalizzati con i lavori a basso stipendio del programma.
1.c (D): Un altro punto che spesso si accusa la MMT di trascurare è il rapporto con il settore estero. Si dice che la MMT trascuri gli effetti duraturi che un deficit commerciale può causare all’economia nazionale. Lei che cosa ne pensa?
(L): E’ vero che alcuni, come Mosler, continuano a dire che i deficit commerciali significano che il paese in disavanzo sta ricevendo maggiori beni e servizi esteri in cambio di promesse su pezzi di carta. Sono certo, però, che i sostenitori della MMT siano ben consapevoli del fatto che i disavanzi esteri, a parità di condizioni, hanno un impatto negativo sull’occupazione e sull’attività economica. Rispetto al settore estero, direi semmai che gli MMTers tendano a minimizzare il possibile impatto negativo di un deprezzamento della valuta, in particolare per i paesi in via di sviluppo o emergenti.
1.d (D): La teoria del circuito monetario da un ruolo centrale alla funzione della moneta, in cui essa è strettamente connessa alle variabili dell’economia reale come il livello di produzione, i profitti delle imprese, l’occupazione ecc. In breve, il circuito può essere così sintetizzato: l’apertura di credito bancario alle imprese; il suo conseguente utilizzo all’interno dell’economia produttiva (l’economia reale); il rimborso del debito: la moneta creata ritorna alle banche, con l’aggiunta di una porzione di interessi. In questo processo, da dove provengono gli interessi guadagnati?
(L): Questo è il cosiddetto dilemma degli interessi della teoria del circuito monetario. Come fanno le imprese a fare profitti, e come fanno a ripagare gli interessi alle banche? Come possono ricevere più unità monetarie di quelle che hanno prima distribuito? Questo dilemma esiste solamente nella teoria del circuito a causa dell’assunto che vi sia una sorta di flusso a senso unico. In realtà, quando alcune imprese fanno profitti, questi vengono distribuiti alle famiglie che le spendono nuovamente nell’economia; analogamente, via via che le banche ricevono degli interessi, questi pagamenti vengono redistribuiti ai depositanti che poi li rispendono. Il mio amico Gennaro Zezza, esso stesso un allievo di Augusto Graziani, il creatore della teoria del circuito monetario in Italia, ha spiegato questo meccanismo in un paio di articoli.
1.e (D): Qual’è il ruolo della Banca Centrale nel processo produttivo?
(L): Il ruolo della banca centrale è essenzialmente (e normalmente) di tipo difensivo; deve fornire le banconote e le riserve di cui il sistema bancario ha bisogno, al tasso di interesse che essa pensa adatto alle circostanze economiche. In molti paesi, ma fino a tempi recenti non nell’eurozona, la banca centrale è non solo prestatrice di ultima istanza per il sistema bancario al fine di evitare crisi bancarie; essa è anche l’acquirente di ultima istanza, cioè quello che deve comprare i titoli di stato (a lungo termine) che il settore privato non intende mantenere, così da tenere il tasso di interesse sotto controllo e in linea con l’obiettivo d’interesse di breve periodo.
2 (D): I paesi dell’area euro, in particolare quelli del sud, mostrano tassi di crescita molto bassi e livelli di disoccupazione molto elevati. A questo riguardo, la Bce, nel tentativo di produrre effetti sulla crescita e sull’occupazione, ha utilizzato strumenti non convenzionali come il Quantitative Easing, senza però ottenere risultati su questi indicatori se non quello di stabilizzare l’euro. Anche le cosiddette “riforme strutturali”, che si traducono in pratica in tagli al welfare e in misure contro il mondo del lavoro, continuano ad essere il fulcro dell’agenda europea. Di cosa, invece, avrebbe bisogno l’Europa?
(L): All’inizio degli anni ’90 molti miei colleghi europei dicevano che gli Stati Uniti erano sull’orlo dell’abisso e che l’Unione Europea li avrebbe presto superati. Sappiamo tutti cosa è successo: gli Usa hanno avuto il boom degli anni di Clinton, mentre i paesi europei che intendevano unirsi all’Eurozona hanno lottato e sofferto per soddisfare i parametri di Maastricht. Adesso, con tutti i nuovi Patti, i paesi dell’Eurozona o non osano oppure non viene loro consentito di adottare i veri programmi fiscali espansivi che sarebbero necessari per accrescere la domanda aggregata e fare in modo che l’economia ricominci ad andare, come è stato fatto negli Usa e in Cina dopo la crisi finanziaria. La Commissione Europea continua a sostenere il consolidamento fiscale, laddove i numeri dimostrano che una politica fiscale espansiva, per quanto nella fase iniziale porti ad un aumento del debito pubblico in rapporto al Pil, porterebbe infine ad una caduta di questo rapporto.
Come per i programmi di Quantitative Easing della Bce, che consentono alle imprese o ai ricchi investitori di sostituire degli asset illiquidi con moneta; ma se questi poi decidono di utilizzare questo denaro per rimborsare i propri debiti o per investirli in borsa o all’estero, ciò non ha alcun impatto positivo sull’attività economica europea.
Quanto alle cosiddette riforme strutturali del mercato del lavoro, queste sono perlopiù focalizzate sull’obiettivo sbagliato: tu puoi addestrare i cani a trovare gli ossi, ma se ci sono 100 cani e 90 ossi, vi saranno sempre dieci cani senza osso. Rendere più facile per le imprese licenziare i lavoratori o avere lavoratori meglio formati non creerà più posti di lavoro se non c’è un aumento delle vendite o della domanda aggregata.
3 (D): Le socialdemocrazie europee sono state finora incapaci di riformare l’eurozona. Il caso di Tsipras è emblematico, con la Grecia ridotta adesso ad un ‘paese del Terzo Mondo’. È veramente possibile riformare l’euro e l’Unione Europea oppure no?
(L): Ci sono alcuni segnali incoraggianti, come la Bce, che pur essendo stata in gran parte responsabile della crisi finanziaria avvenuta nell’Eurozona tra il 2010 e il 2012 ha mostrato che le istituzioni possono cambiare. Tuttavia, quando guardiamo invece al processo politico in quanto tale, come ha dimostrato il caso della Grecia di Tsipras, penso piuttosto che una riforma dell’euro e dell’Unione Europea sembra quasi senza speranza.
3.a (D): L’Italia, secondo Lei, dovrebbe uscire dall’eurosistema? Se si, quali sarebbero al di fuori della moneta unica i limiti in termini di politica fiscale per un paese come l’Italia?
(L): È una decisione difficile. Vi è un certo numero di paesi che non fanno parte dell’Unione Europea, e un numero più ampio di paesi che non fanno parte della zona euro; e non sembrano soffrirne molto. Io direi che tutto dipende dalle regole sulla moneta in cui ridenominare gli asset e i debiti, poiché un’uscita dell’Italia significherebbe una svalutazione della moneta locale. Se l’Italia uscisse dall’eurozona i debiti del governo italiano verrebbero ridenominati in lire o in euro? Ma se l’Italia uscisse sono sicuro che altri paesi farebbero presto lo stesso.
4 (D): Qual’è la relazione tra la politica e la scienza economica? L’economia è una scienza ‘non partigiana’ o risponde alla logica di classe?
(L): Keynes era solito dire che i politici erano ‘gli schiavi di economisti defunti’; di contro, il famoso economista americano Paul Samuelson, diceva che per capire l’evoluzione delle idee economiche si doveva cercare dove erano i soldi. In altre parole, egli pensava che gli economisti seguissero l’umore dei politici e le opinioni delle classi dominanti. La scienza economica non può essere una scienza oggettiva; tutti noi abbiamo dei pregiudizi a delle inclinazioni che hanno una qualche influenza sul lavoro accademico che facciamo. E questo vale sia per il lavoro teorico che per quello empirico.
5 (D): Target 2: Cosa è? E come funziona?
(L): Target 2 è il sistema di compensazione e di regolamento dell’Eurozona. Quando un’impresa italiana esporta dei beni alla Francia, il pagamento va dalla Banca di Francia fino ad arrivare alla Banca d’Italia. La banca dell’esportatore ha quindi un aumento del suo conto di riserva presso la Banca d’Italia, mentre l’importatore francese vede diminuire le proprie riserve [le riserve della propria banca] presso la Banca di Francia. In questo caso, la Banca di Francia ha un debito nei confronti della Banca d’Italia. In altri termini, la Banca d’Italia ha un entrata positiva sul bilancio di Target2 mentre la Banca di Francia ha una voce negativa, quindi un saldo negativo in Target2. La stessa cosa avviene se gli investitori francesi trasferiscono i propri depositi bancari dalla Francia all’Italia. Quando tutto procede bene questi movimenti finanziari si compensano. Nel caso dell’esportatore italiano e dell’importatore francese, la banca italiana dell’esportatore starebbe facendo un prestito alla banca francese sul mercato interbancario a breve termine, così che i saldi di Target2 dei due paesi non si modificano. Ma quando le banche perdono fiducia l’una con l’altra, come è successo durante la crisi finanziaria dell’eurozona, le banche non intendono più prestarsi tra loro. Nel 2010-2012, le imprese e le famiglie ricche hanno spostato i loro depositi dal sud alla Germania, di conseguenza i saldi di Target2 della Germania sono schizzati in alto mentre quelli dei paesi del sud sono diventati pesantemente negativi
5.a (D): Esiste veramente un problema connesso agli squilibri delle bilance dei pagamenti tra i paesi dell’UME?
(L): Non vi è alcun tipo di problema legato ai saldi positivi o negativi di Target 2, e questo è il motivo per cui per un lungo periodo nessuno se ne è preoccupato. Dovremmo aspettarci grandi saldi Target 2 solo quando il mercato interbancario si blocca. Si è cominciato a porsi domande su questi saldi solo quando l’uscita di diversi paesi dall’eurozona era diventata una possibilità concreta, a causa del rifiuto della Bce di giocare a pieno il suo ruolo di prestatrice di ultima istanza
6 (D): In Italia vi è un dibattito infuocato circa il debito pubblico, che viene visto come un male che deve essere combattuto (cioè ridotto). Di conseguenza, anche la spesa pubblica è sotto attacco. Potrebbe spiegarci brevemente cosa è il debito pubblico e se questo crea problemi per l’economia, o se al contrario si tratta di una necessità economica?
(L): Il debito pubblico attuale è la somma di tutti i passati disavanzi dello stato. L’Italia ha avuto un grosso debito pubblico per molti anni, e fino a che non sono state messe in campo le regole di Maastricht di ridurlo al 60% del Pil, nessuno sembrava prestargli attenzione. Avere un largo debito pubblico non è necessariamente una cosa negativa, dal momento che il debito può essere associato dall’altro lato del bilancio ad un asset finanziario o ad asset reali che generano benefici per la società, come strade, ponti, edifici o un migliore sistema di istruzione. I sostenitori della MMT sottolineano, giustamente, che in un’economia chiusa la controparte del debito pubblico è costituita dagli attivi finanziari netti detenuti dal settore privato. Perciò, se il settore privato desidera risparmiare di più senza investire di più, allora il settore pubblico dovrà andare in deficit, altrimenti il serbatoio diverrebbe l’economia. Questo è stato enfatizzato recentemente in un libro di Richard Koo, un consulente finanziario, che descrive in particolare quello che è successo all’economia giapponese, dove il rapporto tra debito pubblico e Pil ha superato il 200%. Si noti anche che se non ci fosse alcun debito pubblico, le istituzioni finanziarie non avrebbero nessun accesso ad asset finanziari iper-sicuri.
Gli autori Keynesiani difendono generalmente un approccio al debito pubblico ispirato alla ‘Finanza funzionale’: i surplus e i deficit dovrebbero essere impostati con l’obiettivo di ottenere la piena occupazione, non di raggiungere una qualche regola arbitraria come quella del 60% percento di rapporto debito/Pil.
6.a (D): Sempre su questo, in che modo il governo genera spesa pubblica?
(L): Per spendere, il governo deve prima avere dei fondi da cui può prelevare per effettuare i suoi pagamenti dal conto bancario presso la banca centrale. I fondi sono sul conto o perché in passato si sono raccolte le tasse e non sono state spese, oppure perché la banca centrale ha acquistato direttamente i titoli emessi dal governo. Nell’eurozona questa seconda possibilità è vietata, di modo che le banche centrali nazionali e la Bce possono acquistare questi titoli solo sul mercato secondario, che significa che i titoli devono prima essere comprati dalle istituzioni finanziarie. In questo caso, il governo vende i propri titoli, acquisendo in questo modo dei depositi sui suoi conti nei bilanci delle banche commerciali, dopodiché questi depositi vengono trasferiti sui bilanci della banca centrale. Ma ciò significa che i depositi delle banche commerciali presso la banca centrale (le loro riserve) vengono diminuiti, così che la banca centrale deve prima dare degli anticipi alle banche commerciali. Si tratta di una complicazione non necessaria. Sarebbe molto più semplice se la banca centrale potesse acquistare i tioli di stato direttamente sul loro mercato primario, o se la banca centrale concedesse degli scoperti di conto al governo, come funzionava di solito prima dell’avvento dell’era neoliberale e come funziona ancora oggi in numerosi paesi al di fuori dell’Eurozona.
6.b (D): È corretto dire che lo stato spende prima (ex-ante) e dopo raccoglie le tasse (ex-post)?
(L): Questo è quanto affermano i sostenitori della MMT. Forse i lettori hanno notato la somiglianza con il circuito monetario presentato più sopra. Nel circuito monetario standard, prima le imprese spendono, distribuendo i salari, e dopo raccolgono le entrate dai consumatori. Nel circuito monetario statale sostenuto dalla MMT, lo stato prima spende e dopo riceve le tasse, sulla base dell’argomento che le banche commerciali non possono pagare le tasse per conto dei loro clienti a meno che esse non abbiano già delle riserve accumulate presso la banca centrale. Ma questo può avvenire solo se le banche centrali hanno fatto degli anticipi alle banche commerciali o se il governo ha già speso, consentendo così alle banche di accumulare riserve. Come nel caso del circuito monetario, è un discorso logico. In realtà la tassazione e la spesa avvengono simultaneamente.
L’unica cosa certa è che la spesa pubblica genera un aumento delle riserve bancarie presso la banca centrale, mentre le entrate fiscali generano una caduta delle riserve bancarie. Quando vengono pagate le tasse, la moneta utilizzata non scompare, ma va sul conto del governo alla banca centrale.
Come abbiamo evidenziato prima, il ruolo della banca centrale è normalmente un ruolo puramente difensivo: essa deve compensare questi cambiamenti nell’ammontare dell’offerta autonoma di riserve, in modo da assicurare che l’offerta di riserve sia uguale all’ammontare che viene domandato dal sistema bancario, così che il tasso di interesse a breve rimanga al livello-obiettivo stabilito dalla banca centrale. Come ho detto in precedenza, il problema dell’eurozona come funzionava prima del 2010 era che alla Bce era stato vietato dai trattati di acquistare le obbligazioni degli stati sul mercato primario, mentre per tradizione essa si autoimponeva il divieto di comprarli anche riguardo al mercato secondario. Questo ha significato che la determinazione dei tassi di interesse a lungo termine erano lasciati interamente nelle mani dei mercati finanziari. Tra il 2010 e il 2012 la Bce ha sempre reagito troppo tardi e troppo poco alle pressioni dei mercati finanziari sui tassi di interesse. I mercati finanziari si sono infine calmati quando Draghi e la Bce avvertirono che avrebbero utilizzati tutti i loro poteri.
Fonte:http://csepi.it/index.php/21-interviste/87-intervista-al-prof-marc-lavoie
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